La distruzione di un sistema sanitario

Dopo gli scritti dal titolo “Distopie pandemiche” e “A-Socialità pedagocica” prosegue con questo terzo articolo l’analisi a firma Winston e Julia.

Il sistema sanitario nazionale così come lo conosciamo è stato creato verso la fine degli anni ‘70 con l’obiettivo di accorpare e regolare le varie casse di mutua allora esistenti.

L’impianto di allora prevedeva la decentralizzazione delle deleghe dallo stato alle regioni e fin dai primi anni la regione Lombardia ha rappresentato una delle eccellenze a livello nazionale.

Dall’inizio degli anni ’90 in questo scenario si è affacciata la sanità privata che pian piano si è presentata come partner statale e sostituto per quelle prestazioni che il pubblico non aveva tempo o risorse per gestire fino ad arrivare a gestire la parte preponderante dei fondi pubblici erogati.

 

La trasformazione in aziende sanitarie degli ospedali ha introdotto logiche di profitto all’interno del sistema, tagli al personale, tagli alla spesa per le prestazioni poco redditizie e carenze delle erogazioni si sono abbattuti sul bene più prezioso che abbiamo, la nostra salute.

Lottizzazione, mercificazione dei servizi sono da allora stati parte integrante del sistema, l’inevitabilità del dovere fare profitto ha scalzato il servizio universale di sanità pubblica.

La precarizzazione del lavoro ha tagliato quel fondamentale legame di solidarietà e comunicazione tra il personale interno ed esterno agli ospedali rendendo evidente il triste paradosso che se sei ricattabile accetti, non ti lamenti e non denunci.

Nella nostra memoria abbiamo impresso l’impegno dei medici che, negli anni ‘70 e ‘80, hanno pubblicamente denunciato i danni derivanti dall’esposizione all’amianto.

E di fronte all’arrivo del Covid-19 il sistema sanitario non ha retto, o meglio non ha potuto reggere.

Il “Rapporto Sanità 2018 – 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale” del Centro Studi Nebo ha presentato la misura esatta dell’emergenza: in meno di 40 anni sono stati tagliati 339 mila posti letto (da 530 a 191 mila) e il rapporto posti letto ogni mille abitanti è passato da 5,8 a 3,6.

Stando ai dati del ministero della Salute, rielaborati da Anaao Giovani (il sindacato dei medici), nel 2010 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.165 istituti di cura, di cui il 54% pubblici e il 46% privati; oggi il numero è sceso a mille unità, ma a diminuire sono state di più le strutture pubbliche, queste ultime dislocate soprattutto in Lazio, Lombardia, Sicilia e Campania.

Dal 2012, governo Monti, il mantra del “del pareggio di bilancio” ha portato ad un inasprirsi delle politiche di taglio della spesa pubblica e delle spese sanitarie.

Il taglio orizzontale del 5% di spesa, che ha penalizzato soprattutto le regioni con i sistemi più inefficienti, ha comportato anche il taglio per i dispositivi sanitari di protezione.

E se consideriamo che le RSA in Lombardia sono per il 95% a gestione privata e assorbono 950 milioni di euro su uno stanziamento totale di 1,5 miliardi, a cui vanno aggiunte anche le rette pagate dagli utenti stessi, capiamo come il privato abbia sempre più assunto un atteggiamento più da parassita che da partner.

Questa gestione ha causato, a giugno, positività al Covid-19 del 42% degli operatori Rsa e il dato è sicuramente sottostimato visto il numero di tamponi fatti.

Che mancassero le mascherine è un fatto noto, come noto è che alcuni di questi operatori la vita l’hanno persa o l’hanno fatta perdere contagiando i loro assistiti, alla faccia dei podisti untori.

La distruzione del sistema sanitario pubblico nazionale è avvenuta gradualmente, è avvenuta per l’incapacità dello stato di resistere alle pressioni delle lobby e degli interessi di potere di chi nelle istituzioni statali ricopre ruoli.

E quindi è sì accaduta per l’avidità di pochi ma anche per l’inerzia di molti (Noi) che di fronte a questo scempio non hanno mai detto NO!

Meditiamo.

Al prossimo articolo

Winston e Julia, Novembre 2020

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