A-Socialità Pedagogica

Prosegue con questo secondo articolo a firma Winston e Julia l’analisi dello sconcertante periodo che stiamo attraversando.

A quasi due mesi dalla riapertura delle scuole crediamo sia interessante analizzarne la nuova realtà.

Cosa è cambiato, quali sono le motivazioni profonde di questi cambiamenti e che impatto stanno avendo e avranno sulle varie parti in causa e sul concetto stesso d’Istruzione.

Per analizzare ciò che sta succedendo ad oggi nel sistema scolastico e valutare i rischi conseguenti alle misure preventive messe in atto, bisogna forse fare un passo indietro e riflettere su quelli che dovrebbero essere i valori e le caratteristiche proprie di un luogo dedicato all’istruzione, alla cultura e alla formazione personale, secondo il significato stesso della parola, dar forma agli individui nella loro completezza.

Per definirsi tale questo luogo dovrebbe garantire agli studenti la possibilità di sviluppare la capacità di relazionarsi e cooperare con il prossimo, assecondando la natura sociale propria dell’essere umano e di sviluppare un senso critico attraverso lo studio e la cultura.

Presupposti questi che sono in netto contrasto con la situazione attuale in cui siamo costretti a confrontarci con una scuola nella quale se già prima le troppe ore passate in classe erano causa di frustrazione e stress ora gli studenti si trovano vincolati nelle aule e costretti ognuno dietro al proprio banco anche durante la ricreazione, tradizionale momento di decompressione e di ritrovo, impossibilitati in pratica a scambiarsi qualsivoglia oggetto, forma d’aiuto o gesto d’affetto.

Tra le altre restrizioni in atto troviamo ovviamente l’obbligo di mascherina per gli studenti al di sopra dei sei anni e per gli insegnanti anche negli asili, il che rende difficile costruire un rapporto di fiducia tra studenti e tra maestri e bambini.

Sempre nell’ottica di una scuola sana ed equilibrata i bambini sono costretti a sfilare in fila indiana per il controllo della temperatura, e nel caso qualcuno risulti con un paio di tacche di febbre viene isolato in un locale a parte in attesa dell’arrivo dei genitori che devono accorrere immediatamente a dispetto degli impegni lavorativi, familiari o delle possibilità pratiche.

Per finire, se così si può dire, assistiamo inermi alla legittimazione della presenza delle forze dell’ordine all’interno delle strutture scolastiche, tra cui asili e scuole elementari, per effettuare controlli ed ammonire gli insegnanti che non si adattano perfettamente alle norme vigenti interpretando un ruolo che non è di loro pertinenza in quanto proprio del direttore scolastico, il tutto senza considerare l’impatto che queste azioni possono avere sugli insegnanti stessi e sui bambini.

Il risultato è che ci si abitua, in previsione dell’ingresso nel mondo lavorativo, a vivere i momenti a scuola e correlati con stress ed è evidente che in queste condizioni diventa pressoché impossibile sperimentare quel che sono cooperazione, fiducia e umanità per cui è fondamentale un contatto diretto e spontaneo.

Il corto circuito della gestione scolastica in tempo di Covid è messo in evidenza dal paradosso interno all’abbinamento di parole Distanziamento Sociale dove troviamo accostati due termini con significati opposti tra loro.

Distanziamento ossia porre distanza, dividere e sociale da socius,che significa compagno, ove sociare significa unire.

La domanda quindi sorge spontanea, come può funzionare una scuola che in quanto tale dovrebbe favorire lo sviluppo completo degli individui in primo luogo attraverso il processo di  socializzazione,seguendo i crismi del distanziamento sociale?

Bisognerebbe mettere sul piatto della bilancia i rischi sanitari da un lato e dall’altro quelli psicologici e formativi degli studenti, tra cui bambini che stanno sviluppando la loro struttura psicologica e che non riescono a cogliere il fattore emergenziale del momento e assimilano come norme di vita queste misure.

Quando sia dal governo che dai media si ha l’impressione di una diffusione di dati allarmistici, talvolta in contrasto tra di loro, e di misure di dubbia efficacia, sarebbe opportuno prendere in considerazione alcuni dati per poter fare una potenziale valutazione dei rischi effettivi.

Mentre i numeri dei decessi rimangono invariati tra i dati diffusi dalla protezione civile italiana e quelli risultanti da studi sierologici il numero dei contagi è ben differente.

Secondo questi studi il numero dei contagiati in Italia sarebbe di molto maggiore rispetto ai dati diffusi dalla protezione civile, di conseguenza il tasso di letalità del virus crollerebbe drasticamente.

Non si può dire lo stesso riguardo i decessi causati da malattie cardiovascolari e tumori che da marzo ad ora sono rispettivamente il triplo ed il doppio rispetto al numero di decessi ufficiali per coronavirus, e sui quali volutamente non viene posta alcuna attenzione.

Viene spontaneo domandarsi allora se il fine giustifica i mezzi, se realmente vi sia la necessità di queste misure preventive e in caso contrario a chi giova tutta questa caotica situazione.

Ragioniamo quindi sulle direzioni che sta prendendo questa faccenda, direzioni le cui forme in alcuni casi si presentano come delle novità, mentre in altri casi sembra di assistere ad un acceleramento di meccanismi che già da parecchi anni sono stati messi in luogo nel sistema scolastico e non solo.

Cerchiamo di individuare il punto d’arrivo verso cui la scuola si sta muovendo già da anni attraverso un’analisi della sua struttura organizzativa e formativa.

Pensiamo ad esempio al sistema di debiti e crediti così come alla scelta di terminologie quali offerta didattica e competenza tecnica, risulta evidente che questi non possono che essere elementi peculiari di una scuola che fonda i suoi valori e le sue finalità su concetti di produttività, specializzazione e profitto in piena ottica imprenditoriale.

Non per nulla da anni assistiamo ad un abbandono delle facoltà umanistiche, che attraverso un percorso di analisi storica favoriscono lo sviluppo di un senso critico in favore di quelle tecniche e scientifiche che permettono di sviluppare conoscenze di settore specifiche e parziali e che formano individui che altro non sono che ingranaggi di una grande macchina interdipendenti gli uni dagli altri.

Cosa significa questo in una società che ci spinge a percepire il prossimo come un fattore di rischio da tenere a distanza?

Significa che questi rapporti di interdipendenza lavorativa sono possibili grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici, che ci permettono di entrare in comunicazione con individui sparsi sul globo che possono colmare le nostre lacune formative con le loro competenze parziali favorendo un processo di normalizzazione ed interiorizzazione di un individualismo che già ci ha contaminati da tempo, favorendo un iper socializzazione digitale a discapito di rapporti umani con le persone che ci circondano per i quali è fondamentale un confronto diretto, fatto di incontro e scontro che permette di formarci anche in relazione all’altro e alla comunità.

Per seguire la parabola di questo processo in atto basti pensare a quanto negli ultimi anni la tecnologia si è inserita nelle scuole dall’avvento del registro elettronico, dei computer individuali e dei tablet e che raggiunge l’apice oggi nella didattica online con tutte le sue sottili sfumature.

Pare assurdo che in un presente nel quale sempre piu’ giovani trascorrono troppo tempo relazionandosi a tecnologie e social network la scuola li ponga ormai praticamente nella condizione di abusarne anche all’interno della struttura scolastica.

In questo articolo ci concentriamo sulla scuola perchè crediamo sia bene ricordare che ciò che avviene al suo interno e i meccanismi che la muovono ci toccano in massa in qualità di genitori, studenti o insegnanti.

Sembra proprio che si stia assistendo ad un capovolgimento totale, quello che dovrebbe essere un luogo sicuro di incontro di giovani menti in pieno sviluppo viene utilizzato sia come terreno di dottrina che come detonatore sociale per far si che nuovi valori si radichino nella coscienza di giovani e bambini e quindi si diffondano nella società.

Bisogna forse fermarsi un attimo e domandarsi seriamente se siamo disposti ad assecondare questo status quo delle cose per timore di un possibile contagio e soprattutto se questo contagio sia davvero piu allarmante di quello in atto sul piano morale e sociale, che sembra aprire la strada ad una nuovo totalitarismo del quale tecnologia e terapia sono strumenti con un peso specifico non indifferente.

Quando tutti camminano in una direzione univoca rendersi conto che forse non per forza è la direzione corretta e decidere di far marcia indietro in mezzo alla folla diventa ben complicato, forse sarebbe il caso di ricordarselo.

Darsi il tempo di riflettere prima di muovere il primo passo potrebbe essere un punto di partenza verso un recupero di consapevolezza quanto mai necessario in questo momento storico.

 

Al prossimo articolo.

Winston e Julia, Ottobre 2020

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