La neolingua bellica

In questi giorni abbiamo assistito all’affermarsi di un lessico militarista che grazie all’emergenza sta facendo passare, con linguaggio di orwelliana memoria,  una pandemia per guerra, le persone vengono chiamate nei media alla disciplina militare come “soldati” o “spie” e il personale sanitario definito come truppe di prima linea contro l’invasore straniero, impegnate in questa battaglia che combatte, non l’umanità intera, ma la nazione per trovare il proprio riscatto.

In effetti un parallelo medico-soldato si può fare da questo punto di vista: l’impreparazione. l’Italia ha intrapreso guerre sempre male equipaggiata e sacrificando senza pietà quelli che chiama suoi figli.

Così, oggi come ieri, chiamano eroi chi mandano al sacrificio zittendo così spunti critici fastidiosi. Pensiamo che queste situazioni siano causate dall’aver tolto alla sanità i fondi in funzione di altri interessi, soprattutto privati (militari, grandi opere, industriali,autostrade, ecc) e ciò avvenuto mentre tutti puntavano il dito su 4 barconi. Non siamo tutti un po’ responsabili? Non è ora di cambiare mentalità?

Parallelamente l’esercito vero e proprio è dispiegato ovunque con compiti di polizia e così, per dare un senso allo sperpero di denaro nel campo militare, i media li passano come costruttori di ospedali, nonché medici. Non era meglio qualche militare (e aereo) in meno e qualche vero medico e ospedale (e non da campo) in piu? Per portare le bare serviva proprio l’esercito o serviva solo per creare il phatos nazionalista e attraverso le immagini gistificazionalista? Tutto ciò vale veramente la pena? Mentre ci poniamo queste domante dobbiamo tenere presente che i militari sono dispiegati anche per evitare che la gente (affamata) rubi nei supermercati.. Con denuncie, violenze ed arresti.

“ci avete insegnato a memoria contro la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”.

E appunto, collegato anche a questi furti, abbiamo letto di possibili rivolte al sud Italia,fomentate a loro dire da misteriose forze antagoniste, un pò come è accaduto per le carceri. Puntando così il dito su un capro espiatorio (anche fantasioso) piuttosto che criticare la realtà che queste situazione genera.

Un capro espiatorio che ormai non si rispecchia più nel migrante ma si ritrova più spesso in chi non si omologa e di fronte a queste ingiustizie si ribella, tra l’altro senza mettere in pericolo la salute gli altri (come invece fa chi tiene aperte le fabbriche).

Per chiudere , è evidente pensare che con l’economia ferma (a livello mondiale) e col settore primario senza i suoi schiavi da sfruttare, nei prossimi mesi si assisterà a un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità nonché del debito pubblico. I cui costi saranno presumibilmente sulle spalle di chi sopravvive “tirando un po’la cinghia”.

E le forze armate così sdoganante sono pronte, perché il malessere, il malcontento aumenterà e la repressione sarà necessaria. In questo scenario abbiamo assistito forse alla preparazione del loro campo di battaglia con la militarizzazione del linguaggio, dei luoghi e delle nostre azioni.

E il tutto è anticipato dall’uso dilagante di questa neolingua bellica.

Rifiutiamo il linguaggio militarista, ripensiamo il presente:

“E’ una pandemia, non è una guerra.

Siamo persone non siamo soldati.

Siamo consapevoli non siamo obbedienti.

Siamo solidali non centra niente la patria”

 

Valsabbin* Refrattar*

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