Anche quella mattina

Normale, Banale e Male.

Anche quella mattina, compiendo i cerimoniosi passi della sua abitudinaria esistenza, dopo barba e caffè, si diresse verso la porta d’entrata del condominio. Puntuale come ogni giorno degli ultimi quattro anni, da quando con la moglie Carla aveva abbandonato il borgo natio nell’Agro Pontino per trasferirsi nella Capitale del rinato Impero, trovò ad attenderlo il giornale. Con un gesto repentino lo portò a sé, richiuse la porta e si diresse verso la poltrona, avido di notizie riguardo le sorti di Primo Carnera; pareva infatti certo che da un momento con l’altro la montagna che cammina, che infinite sconfitte addusse allo straniero, avrebbe annunciato la scelta di appendere i guantoni al chiodo. Al primo colpo d’occhio, non ancora seduto, realizzò che quel giorno di fine autunno il Corriere della Sera trattava argomenti ben più seri e spinosi. La prima pagina era infatti completamente dedicata all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri delle leggi per la difesa della razza.

Nel quarto d’ora che lo separava dall’appuntamento con il tranvia che l’avrebbe trasportato al Liceo dove era docente, Lorenzo apprese parte dei provvedimenti diretti alla marginalizzazione ed esplicita discriminazione dei semiti, orditi con il nobile intento di preservare e proteggere la razza ariana da pericolose contaminazioni. Il tempo stringeva, e dopo aver indossato la camicia nera d’ordinanza, ed aver afferrato la sua valigia da lavoro, si affrettò verso la fermata. Alle otto in punto fece il suo ingresso in classe, omaggiato da tutti i presenti a riverirlo sull’attenti. Il suo pensiero corse a Prospero, che a quell’ora stava certamente ossequiando un suo paria fra i banchi della scuola che frequentava.

Innocente Salvini, Balilla, 1941 (Cocquio Trevisago, Museo Innocente Salvini)

Lorenzo adorava quel giovane uomo che il buon Dio aveva donato a lui e Carla a coronamento del loro matrimonio. Il regime, che esortava ad avere una prole numerosa, avrebbe dovuto loro perdonare l’incapacità di procreare altri figli per la Patria; assidua era stata la loro dedicazione, alla quale purtroppo non fece seguito risultato alcuno dopo il primogenito. Le sue ore di lezione trascorsero lente e monotone, l’insegnamento del latino aveva oramai assunto per lui i tratti di una marcata meccanicità che poco spazio lasciavano all’entusiasmo. La militare disciplina degli alunni rendeva l’ambiente scolastico simile a quello di una caserma, dove l’assenza di fantasia e creatività facevano apparire ogni giornata simile alla precedente lasciata alle spalle . Nel viaggio di ritorno verso casa, si trovò a meditare sui passi compiuti per non vanificare i risultati di tanti sacrifici materiali; in primis quelli dei suoi genitori, che per strappare almeno uno degli otto figli alla maledizione dell’insalubre terra paludosa, nella loro condizione di modesti braccianti avevano profuso tutte le loro energie e possibilità economiche. Ed in secondo luogo alle sue non meno sofferte tribolazioni. La sua abnegazione nel percorso di studi presso la Compagnia di Gesù era stata totale.

Lorenzo aveva passo passo scientemente rinunciato ai bassi istinti del suo mondo contadino, per divenire mirabile esempio di educazione e compostezza. Fece tutto il possibile per fecondare il fiore che gli era stato offerto, conscio che il frutto dell’ascensione sociale per le classi basse fosse riservato a pochissimi fortunati eletti. E vi era riuscito. Quando nel 36, maestro da quattro anni, davanti alla stretta voluta dal ministro De Vecchi per il mondo accademico, decise di prendere la tessera del partito per poter continuare ad esercitare la sua professione non si era certo equivocato. Quella era la scelta giusta, oltre che necessaria per non gettare nel cesso gli sforzi fatti.

Altri colleghi, pochi per la verità avevano scelto di non piegarsi e si erano ritrovati senza lavoro e senza agibilità sociale. Lorenzo per aggiustare i conti con la sua coscienza ed arrivare ad assolversi quando parlava di quegli indomiti lo faceva con fredda sufficienza. Loro se lo potevano permettere, lui no.

Per lui e la sua famiglia un tal gesto di ribellismo avrebbe significato il ritorno alla palude, alla coltivazione conto terzi di terre ingenerose per le quali le visioni di riscatto promosse dalle istituzioni restavano al momento un lontano miraggio. Dalla scelta del tesseramento al calzare una camicia nera il passo era stato breve. In fin dei conti era riuscito a ridargli la giusta neutrale dimensione di indumento. La indossava senza convinzione e se per il suo entourage e per i suoi superiori vederlo così vestito risultava rassicurante tanto valeva, per lui restava una camicia. Così considerata smetteva di essere un simbolo di adesione e sudditanza, lo sforzo non era poi così grande. Ancora una volta si disse di SI, sono nel giusto! I pensieri l’avevano portato lontano, troppo lontano, tanto che solo grazie ad una improvvisa frenata del mezzo tornò alla realtà, accorgendosi di aver oltrepassato la sua fermata. Dopo esser sceso dal tranvia alla successiva, percorse il mezzo miglio che lo separava da casa a passo svelto. Notò con una leggera inquietudine che su svariate attività del quartiere campeggiava un cartello che recitava: ”NEGOZIO ARIANO”. Altre saracinesche erano invece abbassate.

Ad attenderlo in salotto trovò Carla e Prospero. L’operosa moglie aveva servito il pranzo alla solita ora e per non privarlo di calore e fragranza, di fronte al ritardo del marito, l’aveva coperto con dei piatti fondi. Lorenzo per far schermo alla sua sbadataggine addusse che il ritardo era dovuto ad una importante riunione avuta al suo istituto. Pranzarono abbondantemente, grazie a Dio in casa loro non mancava nulla. I discorsi a tavola furono sobri e leggeri, in particolare Prospero tenne banco raccontando con fierezza degli arditi esercizi ginnici svolti a scuola in mattinata con la Gioventù italiana del littorio. Fu quando l’adolescente si accomiatò per buttarsi sui libri di matematica che lo attendevano nella sua stanza, che l’espressione di Carla si fece greve. Il marito lo percepì all’istante, tre lustri di tetto coniugale avevano portato ad una conoscenza reciproca che arrivava ad illuminare i più reconditi angoli dell’intimo. Alla domanda: “C’è qualcosa che non va cara??” non si fecero attendere le di lei esternazioni. Un forte bisogno di condividere con il compagno di vita inquietudini e perplessità era presente in Carla già da qualche tempo. Si mise dunque a raccontare di come il culminare di una propaganda divisiva e discriminatoria in vere e proprie leggi le creassero forti preoccupazioni. Non solo a livello meramente etico, non pochi dei vessati per appartenenza etnica avevano per lei lineamenti e voce, Il suo lavoro di sarta l’aveva portata alla conoscenza di numerose famiglie ebree, ed in alcuni casi le frequentazioni legate alla sua attività si erano trasformate in rapporti di amicizia. Quella mattina, al suo rientro a casa dopo aver accompagnato il figlio a scuola, e aver consegnato i lavori terminati ai clienti, anche lei aveva trovato il tempo di sfogliare il giornale.

L’indignazione che montava con il passare delle pagine era culminata su un editoriale del direttore Borelli, che, ingagliardito dalla croce di guerra recentemente ottenuta come volontario in Etiopia, esortava gli italiani al patriottico gesto della delazione verso i vicini, rei di cospirare contro il bene comune per appartenenza etnica o vigliacchi comportamenti. Per Carla dissentire attivamente era diventato oramai un bisogno fisico. Lorenzo, che in cuor suo condivideva i sentimenti della moglie, non venne però meno al suo accomodante ruolo di mediazione con i fatti. Iniziò rassicurandola sul fatto che poco sarebbe cambiato nella loro quotidianità. Passò poi in rassegna tutte le svantaggiose conseguenze che avrebbero dovuto affrontare se si fossero mostrati contrari al corso degli eventi. Proseguì poi cercando di coscienziare Carla sulla futilità di qualsiasi gesto di ribellione personale per loro; dalle leggi fascistissime del 26, rettificate con Regio Decreto del 31, assembramenti e riunioni erano soggette a fortissime restrizioni. Queste inibizioni avevano inevitabilmente portato allo sfilacciamento di ogni tessuto sociale che non fosse il partito.

La stragrande maggioranza delle coscienze critiche e degli oppositori che non avevano scelto l’esilio o la clandestinità, o che non erano finiti al confino e nelle patrie galere, galleggiavano in una brodaglia che dava ad ogni pensiero di iniziativa il gusto della sterilità. Terminò poi, senza troppa convinzione, adducendo che in fin dei conti era la Scienza stessa che indicava la via ai legislatori. Risaliva infatti alla recente tarda estate la pubblicazione del Manifesto della Razza, redatto e firmato da alcuni fra gli scienziati più in vista del momento. Scrutando le reazioni espressive di Carla capì che la sua tirata non aveva toccato le giuste corde . Piazzò quindi un’ultima stoccata . Toccò il tasto che sapeva avrebbe emesso la nota più acuta, tirando in ballo il bene del figlio e della famiglia stessa. In nome di quella necessità primaria una buona madre doveva per forza di cose rinunciare a qualsivoglia genere di visione personale, sacrificando volontà e propositi sull’altare del nucleo familiare. Carla davanti a tale argomentazione, ancora una volta abbassò il capo e mando giù, come tante volte aveva dovuto fare in passato per assecondare le resilienti attitudini del marito.

Per lei non era stato affatto facile far dimenticare in primo luogo a sé stessa le simpatie socialiste di suo padre, che inevitabilmente avevano marcato la sua educazione e la sua sensibilità. Il suo stomaco però contrariamente alle sue speranze, sembrava non abituarsi mai del tutto agli amari bocconi da deglutire, e quel sapore di rassegnazione le risultava ogni volta più indigesto. Fino a che punto un essere umano avrebbe potuto perdere di vista la personale percezione etica del bene per sottostare a leggi che ad ogni passo allargavano il divario fra ciò che è il giusto e ciò che è invece la giustizia? Carla se lo chiedeva da troppo tempo e da parecchio aveva dentro di sé la risposta. Mancava solo il coraggio delle proprie azioni; un abisso ogni giorno più profondo separava oramai i due coniugi e per evitare di finirne risucchiato Lorenzo non seppe far di meglio che gettarsi ancor più anima e corpo nella carriera. Non poche posizioni di rilievo si erano liberate nel mondo accademico in seguito alla cacciata di semiti e dissidenti. Per un uomo dotato di disciplina e zelo si potevano spalancare porte per il raggiungimento di obiettivi inarrivabili fino a qualche tempo prima. Carla dal canto suo reagì al gelo coniugale aprendo una valvola di sfogo sul mondo.

La necessità di poter condividere le sue inquietudini morali con qualcuno che la potesse capire fino in fondo la portò a riagganciare i rapporti con Emma, una amica di vecchia data, anche lei emigrata dall’Agro Pontino, e anche lei proveniente da una famiglia notoriamente antifascista. I rapporti fra le due si rinsaldarono rapidamente e la consonanza di sentimenti aveva portato in breve tempo alla reciproca fiducia. Fu così che quando Emma le propose di partecipare a delle riunioni clandestine di una camera del lavoro, Carla accettò senza remore e con entusiasmo. Parteciparvi le aveva fatto sperimentare un senso di pienezza tale che non si era tirata indietro neppure davanti al compimento di alcuni volantinaggi di materiale contro il regime nel suo quartiere, seppur conscia di cosa avrebbe comportato per lei e la sua famiglia essere sorpresa facendolo.

Questi piccoli avventurosi spiragli di ribellismo le avevano permesso di rendere da un lato meno pesante la maschera che portava in casa; dall’altro le avevano permesso di visualizzare il momento nel quale l’avrebbe gettata. La Storia con la maiuscola fece ingresso al loro domicilio un giorno di mezza estate del 41 attraverso la cassetta della posta.

Da quel momento gli eventi, che parevano restare sospesi da tempo immemore in una bolla eterea, precipitarono fino a schiantare con una velocità inaudita. Quando Carla adocchiò l’indirizzo mittente la busta divenne di una pesantezza insostenibile. Fu Lorenzo ad aprirla ed afferrare la cartolina precetto che chiamava il giovane Prospero alle armi. Il padre si era adoperato con tutte le sue forze presso ogni eccellente conoscenza per evitare quel momento, ma evidentemente non era bastato. Dopo aver letto al figlio della convocazione presso il distretto militare competente, trovò vigliaccamente la solennità di annunciargli che sarebbe presto divenuto un prode ufficiale del patrio esercito. A queste parole per la prima volta in tanti anni Carla perse il contegno remissivo che si addiceva al suo ruolo femminile gridando: “Tu sei solo l’ombra riflessa di ciò che fù un uomo!”

Insieme a Prospero se ne partì l’ultima ratio che poteva ancora dare un senso alla loro unione. L’illusione di poter continuare a vivere una vita serena aggrappati ad uno scoglio mentre la marea inesorabile continuava a montare era definitivamente svanita.

Carla fece la sua scelta prima che l’acqua raggiungesse la gola. Il biglietto che poche settimane dopo l’arruolamento del figlio lasciò sul tavolo della cucina recitava poche parole ma dense di significato: “Quando l’ingiustizia si fa legge la resistenza è un dovere, io voglio vivere, rinunciare a libertà e morale per sopravvivere non è degno di un essere umano”. Lorenzo non la rivide mai più . Solo a guerra finita seppe da un fratello di lei che si era rifatta la vita con un gappista dopo aver partecipato attivamente a quel che fino a poco tempo prima era definito criminale banditismo, ma che oramai tutti iniziavano a chiamare lotta di liberazione. A quell’altezza oramai anche lui conosceva sin troppo bene quanto velocemente la realtà potesse irrompere nelle storture di una narrazione zeppa di menzogne.

Per mesi e mesi aveva letto ed udito di come il valoroso esercito italiano, al fianco dei suoi alleati, si coprisse di gloria su ogni fronte. La propaganda organizzata dalle tante bocche di giornali e radio era stata spazzata via di un sol botto dalla verità di un’altra epoca che avanzava; allo stesso modo di come spazzata via era stata la vita di suo figlio sul fronte russo. La medaglia al valore che lo ricordava pareva un’ultima tragica beffa a lui riservata dal regime, al quale aveva permesso di farsi trasformare da uomo libero ad automa e schiavo. Anche Lorenzo avrebbe potuto rifarsi una vita nel nuovo mondo, in fin dei conti un individuo resiliente e servile come lui sarebbe stata una pedina utile ed interessante anche per l’emergente sistema di potere. Essere antifascisti in assenza di fascismo era risultato essere un facile camaleontico approccio per molti.

Ma Lorenzo, ad un ulteriore rilancio al ribasso, preferì un ultimo gesto di dignità, un cappio ed una corda.

 

Winston

Inverno 2020-2021

 

 

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