Archive for the ‘Storia e memoria’ Category

L’invasione italiana della Jugoslavia

giovedì, Aprile 8th, 2021

Dei fanti e alpini devoti alla mamma e delle vie di Bondone e Baitoni.

Una ricorrenza in questi giorni è passata in sordina, l’indigestione di notizie legate al periodo pandemico ha tolto lo spazio a tutto il resto. Stiamo parlando dell’invasione della Jugoslavia che lo scorso 6 aprile ha festeggiato, se così si può dire, l’ottantesimo anniversario.

Il 6 aprile 1941 le truppe fasciste italiane e naziste tedesche con altri alleati diedero il via all’Operazione 25, nome in codice dell’invasione del Regno di jugoslavia.

Una invasione senza neppure una formale dichiarazione di guerra che, come usanza dell’epoca, veniva presentata dall’ambasciatore nelle mani del governo nemico, ennesima riprova della miopia dei governi nazionalisti alla faccia di chi ancora oggi parla di onore di quei regimi (dichiarazione che anche qualora fosse stata presentata nulla avrebbe tolto alle nefandezze e viltà di quei regimi).

Una invasione che ha avuto come prima conseguenza la capitolazione dell’esercito jugoslavo e successivamente la spartizione dei territori. All’Italia fascista toccarono parte della Slovenia, della zona costiera croata e di parte del Montenegro e Albania.

Da quel momento presa il via l’opera di pulizia etnica e di soprusi , confermati dalla viva voce del duce che nel 1943, ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, due anni dopo dell’invasione, disse: “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”.

Questa data ha un significato molto particolare per chi quei crimini li ha subiti e questo giorno in quei paesi è ampiamente ricordato . Per rendersi conto di quello che è stata l’occupazione italiana di quelle aree è sufficiente passeggiare per i paesi croati o sloveni; uno stillicidio di targhe in ricordo dei caduti, delle centinaia di crimini e violenze, esodi forzati, stupri e privazioni perpetuati dai malefici italiani, dagli alpini e fanti devoti alla mamma e alla patria.

Violenze documentate che andrebbero ricordate annualmente anche soprattutto a chi vuole la giornata del ricordo del 10 febbraio eretta a monumento nazionale, il ricordo che pone al centro dell’attenzione le conseguenze (sempre terribili anche se funzionalmente sovrastimate) e non le cause date dalle proprie responsabilità.

Insomma un giorno dove il ricordo lasci spazio alla memoria storica, condivisa. Ovvio non per i fascisti o i nazionalisti di sorta.

Oggi anche nei nostri paesi troviamo i segni di quel periodo.

Li troviamo nella memoria ma anche nell’intitolazione di alcune vie e sembra assurdo che dopo più di 80 anni ci siano ancora. Stiamo parlando delle intitolazioni approvate nel 1939 dal Podestà di Storo che a Baitoni e Bondoni (al tempo i 2 paesi furono aggregati al comune di Storo con Darzo e Lodrone) procedette con l’intitolazione di alcune via a fascisti della prima ora, come Tullio Baroni e Tito Minniti a Bondone e Aldo Sette a Baitoni.

Sarebbe davvero bello che quelle intitolazioni lasciassero spazio ada una nuova consapevolezza conseguente ad una vera presa di coscienza delle responsabilità perché è davvero assurdo che a più di 80 anni di distanza ci sia ancora il ricordo di queste figure che hanno contribuito a rendere il mondo un posto peggiore.

La biografia legata alle nostre responsabilità è enorme, sta solo alla nostra volontà farlo.

Nel rispetto di quelle sofferenze e di tutte le nostre responsabilità.

Valsabbin* Refrattar*

Nella foto: Donna Jugoslava poco prima di essere fucilata da soldati italiani.

Il giorno del ricordo

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

Come ogni anno il 10 febbraio ci troviamo a parlare del giorno del ricordo istituito nel 2004 dal governo Berlusconi II, su spinta della componente nazionalista di quel governo, con l’intento di commemorare le  vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel dopoguerra.

Abbiamo già trattato l’argomento in numerosi articoli in parte raccolti nella dossier “Storia e memoria” al link https://lavallerefrattaria.noblogs.org/post/category/storia-e-memoria/confine-orientale/ e anche quest’anno abbiamo deciso di non fare mancare il nostro contributo.

Lo vogliamo fare non raccontando quello che è accaduto nel confine orientale ma ciò che è successo agli alleati del regime fascista, ai tedeschi nazisti.

La capitolazione della Germania nazista ha portato allo smembramento dei territori che la componevano, sia delle regioni più periferiche che della città di Berlino che allora fu divisa in 4 zone di influenza. Ma fu nei territori più lontani, per lo più annessi militarmente negli anni precedenti che avvenne la scorporazione più significativa e dove si verificarono le espulsioni più pesanti. Dalla Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Paesi Bassi , Romania solo per citarne alcuni  cominciò un incessante esodo che subì delle accelerazioni nel quinquennio successivo alla fine della guerra e che si stima interessò dai 12 ai 16 milioni di cittadini origine tedesca espulsa da quei territori e che comportò uno stillicidio di soprusi e violenze impartiti alla popolazione dai vari eserciti vincitori occupanti.

Senza dimenticarsi mai delle tragedie umane che una uccisione o l’esilio provocano vediamo come i numeri in Italia siano ben diversi; le ricerche dell’Irsec (Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia) e le interessanti pubblicazioni di numerosi studiosi delle Università friulane e non ci indicano come l’esodo, più o meno forzato, delle genti giuliane e dalmate si attesti attorno a 150-200mila persone e i morti trovati nelle foibe poche migliaia di persone, più probabilmente tre o quattro.

Per molti di loro potrebbe comunque trattarsi di un controesodo in considerazione delle politiche demografiche promosse da i governi regi dalla fine della prima guerra mondiale e finalizzate a italianizzare e di sostituire etnicamente quelle popolazioni che fino ad allora erano vissute in pace.

Ribadendo che dietro questi numeri ci sono vite e drammi e contestualizzando storicamente la situazione non possiamo non renderci conto di come gli esodi siano stati un fenomeno di proporzioni europee promosso dai governanti di turno con delle politiche mirate per garantire dei bacini elettorali etnicamente omogenei o per liberare delle aree ricche di materie prime o centrali rispetto a interessi economici o strategici. E parallelamente di come quei sistemi politici utilizzassero l’omicidio, più o meno preventivo, per garantirsi quei fini. E le uccisioni delle foibe, tra l’altro non ben identificabili anche perche furono ampiamente utilizzate per nascondere i propri crimini dai tedeschi e dai fascisti, devono essere lette in questo senso, certamente terribile, e non possono essere stigmatizzate a senso unico o peggio essere ingrandite a dismisura; non possiamo dimenticare il milione di morti di Gasparri, pari all’intera popolazione della Venezia Giulia o delle decine o centinaia di migliaia dello “storico” Paolo Mieli.

In Europa e in Germania questo aspetto l’hanno forse compreso meglio degli italiani. Vi potete immaginare la cancelleria Merkel che parla di pulizia etnica nei confronti delle popolazioni tedesche? Ve la immaginate berciare di sciagura nazionale o delle terribili sofferenze senza proferire una parola sulle cause come hanno fatto gli ultimi due presidenti della repubblica italiana che con la stessa leggerezza sono passati dai bei discorsi a Sant’Anna di Stazzema a quelli a Basovizza? Parole pesanti come lapidi che di fatto avallano l’impianto voluto dall’estrema destra nazionalista che vuole imporre un’antistoria sulle foibe per equipararle ai crimini fascisti e nazisti.

Ovvio no. Per un semplice motivo, che i tedeschi i conti con la storia e con le proprie responsabilità forse li hanno fatti e hanno compreso che certi accadimenti non sono altro che effetti dati da delle cause ben precise. Forse hanno capito che il seme malato dell’ignoranza più o meno voluta può essere sconfitto con la consapevolezza, non certo con le leggi che rendono illegale il fascismo o il nazismo o che istituiscono un giorno di commemorazione e raccoglimento sia esso della memoria o del ricordo e con gli anticorpi che una società ha e che si crea combattendo con il nemico invisibile e sottile che sono le proprie responsabilità storiche.

Esodi e uccisioni sono i risultati dei calcoli politici, della difesa del potere istituzionale e sono i frutti amari dei regimi totalitari novecenteschi comunisti o fascisti e delle ideologie nazionaliste, patriarcali e militariste.

Le stesse portate avanti da chi oggi vorrebbe questo giorno eretto a monumento nazionale.

Valsabbin* Refrattar*

Foto:1942 eccidio Podhum Croazia dove il regio esercito italiano fucilò 91 civili, inviò ai campi di annientamento circa 800 persone e bruciò le loro 320 case.

Il giorno della memoria

mercoledì, Gennaio 27th, 2021

Mi ha stupito oggi ascoltare tante parole e leggere sui social e non solo molti post e condivisioni, tante frasi cariche di significato, tanti aforismi così ludici nel trasmettere dei sentimenti, riguardanti la ricorrenza del giorno della memoria, giornata internazionale istituita, nel giorno della liberazione dei russi del campo di eliminazione di Auschwitz, per ricordare le vittime dell’olocausto.

Mi ha stupito in positivo perché ho percepito (povero illuso…) che forse un certo sentimento di sdegno rispetto a quei fatti è comune e assodato in buona parte della nostra società ma parallelamente mi ha fatto fare un pensiero amaro rispetto a chi oggi, nel concreto e nella quotidianità, continua ad opporsi a quegli abomini umani.

Sono fortunatamente molti, ma nello specifico parlo delle donne e degli uomini che hanno imbracciato le armi del coraggio e della coerenza e sono andati a combattere militarmente un concetto fascista di società, un regime autoritario e patriarcale e che dalle placide vite di uno stato occidentale sono andate e andati in Curdistan contro lo stato islamico e la Turchia.

Loro hanno fatto tesoro della Memoria che permette di conoscere i meccanismi che hanno portato all’instaurarsi del fascismo, che fa capire come si sia affermato e come sia stato assorbito più o meno passivamente dalla gente e che ha avuto come triste epilogo l’olocausto che in questa giornata vuole essere ricordato.

E lo stato lo sa ed è per questo che li ha pagati con una moneta molto simile al conio degli anni 30 e 40.

A queste persone è stata affibbiata la sorveglianza speciale, provvedimento che viene direttamente dall’impianto repressivo del codice Rocco approvato in piena era fascista e tranquillamente riproposto senza che nessuno se ne preoccupi, anche oggi.

Credo sia proprio quando dalla memoria si passi all’azione che l’essenza stessa del concetto di stato emerga insieme all’ipocrisia della libertà concessa e che non può tollerare che oltre all’apparenza di un post o di un sentire si vada poi nella pratica quotidiana.

Ed è per questo che viene usato il bastone della repressione nei confronti di coloro che hanno saputo andare oltre alla commozione e al raccoglimento che questa giornata riserva e in prima persona si sono messi in gioco e hanno messo in gioco il bene più prezioso che abbiamo, la vita e il nostro amore per difendere l’idea universale di libertà e per bloccare sul nascere le basi che portano ad un certo futuro nuovo olocausto.

Senza scomodare Brecht o Martin Niemöller del prima verranno gli zingari e poi, quando tutti saranno presi, non verrà più nessuno a salvarci, assolutamente pertinente per questa giornata, voglio concludere con questa breve riflessione:

la Memoria oltre a darci la forza e la consapevolezza per evitare di commettere gli stessi errori del passato, ci rende consapevoli che la nostra Libertà passa solo dal nostro impegno diretto e quotidiano, ricordando le vittime, odiando i carnefici e smascherando le ipocrisie fondamento del fascismo insito nell’idea stessa di stato.

Pernice Nera

Ma chi c’era?

sabato, Novembre 14th, 2020

Pochi giorni fa, esattamente il 4 novembre, anniversario dell’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti che mise fine al bagno di sangue della prima guerra mondiale, abbiamo potuto leggere la lettera destinata agli studenti delle Marche scritta di pugno da Marco Ugo Filisetti direttore generale dell’ufficio scolastico regionale. Il messaggio, riportato di seguito, vuole ricordare le vittime della Grande Guerra.

In questo giorno il reverente pensiero va a tutti i figli d’Italia che dettero la vita per la Patria, una gioventù che andò al fronte e la vi rimase. Una gioventù lontana dai prudenti, dai pavidi, coloro che scendono in strada a cose fatte per dire: “io c’ero”.

Giovani che vollero essere altro, non con le declamazioni, ma con le opere, con l’esempio consapevoli che Un uomo è vero uomo se è martire delle sue idee. Non solo le confessa e le professa, ma le attesta, le prova e le realizza’.

Combatterono per dare un senso alla vita, alla vita di tutti, comunque essi la pensino.

Per questo quello che siamo e saremo lo dobbiamo anche a Loro e per questo ricordando i loro nomi sentiamo rispondere, come nelle trincee della Grande Guerra all’appello serale del comandante: presente!”

Difficile scrivere cose peggiori in 11 righe scarse, una macedonia patriottica che al di là dei toni nostalgici e del termine “presente!”, tanto caro alle destre, concentra falsità e letture storiche virulente. Ma chi c’era?

Quello che oggi sappiamo, che abbiamo letto e studiato e che abbiamo potuto apprendere dalle cronache di allora sfuggite alla censura, riporta delle devastanti condizioni di vita nelle trincee, dell’abitudine alla morte che spesso portò a episodi di autolesionismo, dei soprusi e delle decimazioni e dei giovani figli d’Italia, tanto cari alla patria, mandati al massacro senza il minimo rispetto per la loro vita.

Parla di carriere militari e politiche fatte sui cadaveri.

Parla delle diserzioni di massa dei contadini del sud che tornati a casa per dei periodi di licenza si resero irreperibili rifiutandosi di tornare al fronte e che furono ripresi dai carabinieri armi in mano.

Parla di un sistema brutale e verticistico, militarista, di licenze sospese per una serie infinita futili motivi e di un sistema sanzionatorio pervasivo; si stima, ma purtroppo il dato non è ancora certo e definitivo, che ci furono almeno 350mila processi, 170mila condanne e oltre 4mila a morte.

Sì, loro c’erano davvero.

Parla anche dei cosiddetti patrioti redenti, dei volontari trentini che combatterono volontari con il regio esercito italiano nel Battaglione Volontari Trentini; un grandioso contingente di 800 uomini tra l’altro mai distintosi in nulla. Altro che eroi della quarta guerra risorgimentale.

E la retorica, racchiusa nelle 11 righe scarse lette sopra, mira a cancellare nella memoria tutte queste violenze, privazioni, soprusi e forse verità, e lo fa per un presunto bene superiore: l’unità nazionale.

E non è un caso che l’anniversario del 4 novembre sia stato istituzionalizzato nella “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”, a dettare l’assoluto e indissolubile binomio stato-gendarme. Senza uno l’altro non può esistere.

Lo stato che per sostenersi infiltra i propri gendarmi nelle scuole per imporre la cultura militarista e la sua agenda retorica.

È triste constatare come nei piani di studio delle scuole medie superiori il ‘900 venga già difficilmente trattato e quando viene approfondito sia spesso letto con gli occhi velati dalla congiuntivite politica. Possiamo ben immaginare come il disegno sia chiaro e volto a forgiare nuove generazioni di soldati ubbidienti, pronti a sacrificare la propria vita o la propria libertà per lo stato, che di nuovi figli pronti per il massacro ne ha sempre bisogno.

C’è chi di fronte alle parole di Filisetti chiede le sue dimissioni, chi si indigna, chi fa appelli.

Il sentimento di schifo, di rabbia e d’odio oggi come allora sono immutati, altro che eroismo viva i disertori, sabotatori, i renitenti, tutti quelli che la guerra e l’ignoranza l’hanno odiata e combattuta.

Loro sì che sentiamo presenti nelle nostre quotidianità.

Pernice Nera

D’Annunzio: Un nuovo brand

martedì, Novembre 10th, 2020

D’ANNUNZIO: UN NUOVO BRAND

Questo scritto vuole aggiungere un nuovo contributo alle analisi raccolte nella sezione “Storia e Memoria”, alla luce dell’uscita del film sugli ultimi anni di vita di Gabriele d’Annunzio “Il cattivo poeta”.

Il film è stato presentato il 5 settembre 2020 all’Aurum di Pescara, città natale di D’Annunzio, in occasione della esposizione de “La Carta del Carnaro” e che sarebbe dovuto uscire nelle sale cinematografiche il prossimo 12 novembre.

Due eventi non certo casuali, due ricorrenze centenarie, la firma della “Carta del Carnaro” e la sottoscrizione del trattato di Rapallo.

Il trattato di Rapallo fu l’accordo, conseguente al macello della prima guerra mondiale, del trattato di pace di Parigi e del trattato di Saint-Germain, con il quale il regno d’Italia Italia e il regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabilirono consensualmente i confini delle rispettive sovranità.

Questo provocò l’immediata annessione al Regno d’Italia di Gorizia, Trieste, Pola e Zara e, si stima, più di 800.000 ex sudditi dell’impero austro-ungarico si ritrovarono minoranza in un nuovo paese.

Innegabili furono le conseguenze di questo trattato che colpirono soprattutto le popolazioni non italiane.

Le abbiamo trattate nell’articolo “Le foibe”; la ghettizzazione, ad opera del regno d’Italia, della popolazione jugoslava passò per l’italianizzazione della toponomastica, dei cognomi, l’abolizione dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole, l’obbligo per gli insegnati di essere italiani e che degenerò, nel 1941, con l’invasione tedesca della Jugoslavia del 1941 e supportata dall’Italia fascista, con la circolare 3C che equiparava la popolazione civile inerme ai militari rendendola soggetta a rappresaglie, depredazioni e incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie e internamenti nei vari campi di eliminazione.

Una circolare che possiamo immaginare che strascichi abbia lasciato nelle memorie e non solo della popolazione civile jugoslava.

Noti sono i crimini e le discriminazioni, nota è la madre di queste disgrazie, la guerra, come è nota la strategia di bonifica etnica della regione.

Ma nonostante ciò lo scorso anno abbiamo visto accogliere in pompa magna dalle istituzioni, lacustri e non, la falange di Riccardo Gigante che così ha potuto raggiungere nel riposo eterno il suo amico D’Annunzio nel mausoleo del Vittoriale degli italiani.

Gigante che da sindaco di Fiume appoggiò tutte le politiche di italianizzazione forzata dell’area, e dal 1941, sostenne l’invasione della Jugoslavia. Figura che mise le basi per il perpetrarsi di quei crimini e che trovano conferma e appoggio nelle parole pronunciate da Mussolini, il 22 settembre 1920 a Pola: «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone […] credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

E se sul film non avendolo visto non possiamo esprimere un giudizio vogliamo con questo scritto evidenziare come troppo spesso realtà e fantasia si mischino e la storia, con le sue ricorrenze, venga troppo spesso presa a pretesto per fini diversi dalla sua analisi e divulgazione.

E se il film lo può fare per una mera questione commerciale, o almeno ci auguriamo possa essere solo così, la figura di D’Annunzio no. Dietro questa c’è molto di più e conferma ci viene dalla bocca dell’attuale sindaco di Pescara, Carlo Masci che in occasione della presentazione della Carta del Carnaro si è espresso così: ”D’Annunzio è un brand formidabile per Pescara che deve riconoscersi nella sua immagine. Molte città si definiscono dannunziane, ma c’è un’unica città in cui è nato e solo noi possiamo fregiarci del suo nome”.

Ma cosa c’è dietro questo brand? E cosa c’è da rispecchiarsi nell’immagine dell’autoproclamatosi vate?

C’è una cultura nazionalista, patriottica, sessista, guerrafondaia che tanti danni e dolori ha causato.

Dietro questa figura c’è un revisionismo storico, costante e incessante che mira ad inserire uno spirito identitario, oggi pienamente calato nella narrazione tossica che cancella le colpe e esalta le gesta, ad uso e consumo delle varie componenti nazionaliste istituzionali e non.

Uno scempio rispetto alla realtà, alle sofferenze patite, perché forse ciò che servirebbe è un’autocritica e un’attenta analisi, una presa di coscienza dei crimini commessi e l’accettazione che da ricordare non sono solo propri ma tutti, ovviamente da ricordare con rabbia. Aspetti che sarebbe davvero bello avessero una centralità non solo nella vita culturale ma anche nelle giornate come quella del 10 febbraio.

Ma si sa, un brand serve per far soldi o voti, non Cultura!

Valsabbin* Refrattar*

La storia scritta dalla politica

sabato, Febbraio 15th, 2020

Con questo sesto scritto concludiamo la prima serie di analisi riguardanti lo stretto rapporto esistente tra storia e memoria e delle loro mistificazioni in questi anni inserite nell’agenda politica e che si inquadrano nella riscrittura di un passato che sta compromettendo un futuro libero.

Oggi che il vento soffia nelle vele della propaganda dei partiti nazionalisti e identitari e la narrazione storica sta pian piano sostituendo delle verità con il ricordo e la memoria, si cominciano già a vedere alcuni dei risultati di questo processo.

La sostituzione di verità storiche con la memoria o il ricordo, porta alla commemorazione di alcune vittime, decontestualizzando le loro morti dalle cause, mistificandone i numeri ed equiparando episodi di violenza da una parte pianificati a tavolino e dall’altra contingentati in uno scenario di guerra.

Perché si può essere uniti nel momento ultimo della morte ma ciò non può in alcun modo cancellare le responsabilità che si hanno avuto in vita.

Tutto ciò è funzionale e finalizzato a dimenticare e edulcorare ciò che è stato il ventennio fascista e intorbidendo la memoria perché certe dinamiche tipiche di quegli anni anche oggi si stanno riproponendo.

La riabilitazione di ciò che è stato il regime fascista, dei suoi crimini e responsabilità, si collega con un aspetto odierno: la sempre più costante presenza delle forze armate nelle nostre quotidianità.

Dalle serie televisive spuntate come funghi nei palinsesti televisivi i cui protagonisti sono poliziotti, carabinieri o militari, alla presenza dell’industria bellica nell’economia fino alla presenza nei luoghi deputati all’istruzione, per la loro formazione nelle università o per il loro proselitismo nelle scuole.

Una presenza sempre più assidua anche nei nostri paesi e che abbiamo riscontrato in 2 fatti accaduti nei mesi scorsi: la presenza di un generale degli alpini a Odolo a parlare delle missioni di “pace” neologismo per nascondere la realtà, un neocolonialismo finalizzato alla predazione e la giornata di tesseramento della sezione paracadutisti di Idro le cui parole d’ordine “dio patria e famiglia” sono state riprese dal cappellano militare nell’omelia.
Parole pesantissime, definite come valori inscindibili, presi in prestito dalla peggiore e più becera propaganda e retorica nazionalista del regime fascista.

E questa loro presenza è assolutamente collegata con la riscrittura della storia.

Basti pensare che la gente se solo qualche anno fa avesse visto i militari nelle università, nelle scuole o nelle fabbriche, avrebbe immediatamente pensato a qualcosa di molto preoccupante per la democrazia.

Ma come è collegata?

Lo sdoganamento del regime fascista è lo sdoganamento anche del suo sistema valoriale, basato sull’obbedienza, sulla de-responsabilizzazione e sulla creazione di una identità fatta escludendo il diverso, dove diverso assume svariate accezioni.

Si può essere diversi per provenienza, lingua o dialetto, etnia, religione, appartenenza politica o più semplicemente il diverso è chi non si omologa.

Valori che riteniamo in parte essere condivisi dal sistema militare.

Cancellare il proprio passato, riscrivere una storia dove i criminali diventano le vittime, dove le colpe diventano meriti pone le basi per la promozione di precise politiche e strategie.

Politiche e strategie fatte per la difesa degli interessi economici sia interni che esterni ai confini nazionali, interessi che devono essere militarmente difesi.

E un dato di fatto, non un’opinione, che la spesa militare italiana stimata al ribasso sia pari a 76 milioni di euro al giorno, 28 miliardi di euro all’anno, pari a quasi 2 manovre economiche.

E che la Nato vorrebbe che questa salisse fino a raggiungere il 2% del Pil (oggi siamo all’1,15%).

Ed è altrettanto noto che le politiche di quei partiti che quotidianamente vomitano odio contro il “diverso” di turno accusato di rubare soldi e futuro agli “italiani” assolutamente non si sognano di chiedere i soldi dove ci sono.

E parallelamente non è un caso la sovrapposizione degli stati dove è presente un contingente militare italiano e la presenza degli interessi economici dell’Eni sia pressoché totale, per l’esattezza all’85%.

L’esaltazione della nazione, dell’identità nazionale porta da un lato a giustificare e dare un senso all’occupazione militare di territori liberi come avviene per le missioni di pace o di peace keeping perché spesso un inglesismo garantisce più appeal, e dall’altro all’accettazione di una gerarchia e di una sorta di intoccabilità della divisa indipendentemente dai comportamenti adottati.

E di fatto queste sono solo alcune delle conseguenze della riscrittura ella storica, perché oggi dovremmo sapere cos’è stato il colonialismo e cosa una società militarizzata ha prodotto.

Interessi nazionali da difendere e mettere davanti all’interesse globale o meglio universale, a maggior ragione oggi che le dinamiche sono internazionali,ci fanno dimenticare quella che è la realtà: i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.

E allo stesso tempo sono la base per creare un esercito di schiavi, di omicidi e di martiri, martiri che vengono acriticamente commemorati.

Oggi l’umanità libera ha bisogno di spirito critico e di una sana disobbedienza, di conoscere bene la storia non di quella che sta scrivendo oggi la politica.

Valsabbin* Refrattar*

I conti col passato

giovedì, Febbraio 13th, 2020

Questo quinto articolo della rassegna Storia e Memoria è il frutto delle recenti riflessioni conseguenti al discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della commemorazione ufficiale del “giorno del ricordo”.

Nel suo breve intervento pronunciato al Quirinale lo scorso 9 febbraio, il presidente parla di quei fatti descrivendoli come “una sciagura nazionale” che colpì persone “colpevoli solo di essere italiane” augurandosi infine un “no al negazionismo militante”.

Un discorso in perfetta continuità con quelli dei suoi predecessori e in perfetta continuità negazionista delle cause, come se quelle storie, quei fatti, fossero cominciati l’8 settembre o il 25 aprile e non nei 25 anni precedenti, come se i criminali e i carnefici fossero solo i nazisti prima e i comunisti dopo e non gli italiani prima sabaudi e dopo fascisti.

Riteniamo che le sue parole siano la dimostrazione di come il nostro paese non abbia saputo ancora fare i conti con la propria storia e le proprie responsabilità.

Il “giorno del ricordo”, approvato nel 2004 e voluto dalle destre alleate al Governo Berlusconi II, è funzionale anche all’istituzione. Dividere le genti non è solo la base identitaria delle politiche nazionaliste ma è l’essenza che giustifica l’esistenza degli stati nazione e delle relative, strutture politiche e parlamentari espressione degli interessi delle élite economiche nazionali.

Ci chiediamo con quale faccia l’Italia possa recriminare una supposta pulizia etnica e come possa parlare di martiri con le mani grondanti del sangue delle genti oppresse in tutti gli stati che ha occupato militarmente.

È un’ipocrisia inaccettabile, uno schiaffo verso qualsiasi intenzione di pacificazione tra i popoli.

Pacificazione impossibile se il ricordo di quei fatti avviene commemorando solo i “propri” morti o le “proprie” sofferenze, perché la Slovenia avrà i suoi, la Croazia pure e ovviamente anche l’Italia, ma le cause di quei morti o di quelle sofferenze? Quali sono?

Prendiamo ad esempio un altro stato coinvolto nel turbine dell’inizio del ‘900 e della seconda guerra mondiale: la Germania.

La Germania al termine della guerra ha visto la propria nazione divisa e occupata dagli eserciti vincitori e, ha assistito all’emigrazione forzata delle popolazioni germanofone scacciate da quei territori prima sotto la propria giurisdizione.

Si stima furono circa 7.000.000 i tedeschi cacciati dopo il 10 maggio 1945 dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e da molti altri paesi dell’est Europa di cui 1.200.000 morti a seguito di maltrattamenti, malattie e stenti.

Perché in Germania non hanno una giornata del ricordo? Perché non è in corso un processo così evidente di riscrittura della storia?

Molteplici ovviamente le motivazioni, ma una ci ha colpito e ci ha fatto riflettere. In Germania c’è stato un fatto che ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo: il processo di Norimberga.

Al processo più “famoso”, noto soprattutto per la messa alla sbarra dei gerarchi del III Reich, ne sono seguiti altri 12 in cui stati giudicati i crimini degli ingranaggi che hanno permesso al regime nazista di diventare la macchina mortale che è stata. Sono stati processati i burocrati, i medici, i giudici, i ministri e non ultimi anche i poteri economici tedeschi.

E senza avere nostalgie per manette, catene o celle chiuse a doppia mandata, anzi l’odio verso quel sistema repressivo rimane immutato, non possiamo non sottolineare come questi processi, che hanno coinvolto tutti gli strati della società tedesca, abbiano portato ad una condanna sia dal punto giuridico che civile ed abbiano permesso la presa di coscienza e l’ammissione collettiva delle proprie responsabilità.

In Italia invece?

In Italia pressoché nulla, non c’è stata un’assunzione di responsabilità collettiva, il sistema di comando di prima si è perfettamente riciclato nel nuovo regime democratico, gli ingranaggi non hanno subito alcun processo, né nei tribunali né in piazza; i prefetti nella maggior parte dei casi sono tornati negli uffici occupati prima del 25 aprile, i militari sono in pochi anni tornati ai propri posti di comando e i poteri economici che hanno prima finanziato la dittatura fascista e poi si sono arricchiti con l’industria bellica non sono stati assolutamente toccati ne messi in discussione, anzi nel primo dopoguerra si sono ulteriormente arricchiti sfruttando il boom economico e le sovvenzioni del piano Marshall.

Ed infine, le amnistie hanno concluso l’opera, da quella di Togliatti dopo poco più di un anno dalla fine della guerra all’ultima del 1966.

E questa differenza sostanziale tra quanto accaduto in Germania e quanto accaduto in Italia porta oggi a questi fenomeni di palese revisionismo, di mistificazione di quelle morti e quelle sofferenze e della loro utilizzazione per fini politici. E non possiamo non notare che questo non avviene solo da parte dei partiti di destra ma anche da parte di buona parte delle istituzioni.

Questa retorica sulle foibe e sul “giorno del ricordo” si inserisce nella rivalutazione più ampia del ventennio fascista e sono la degna conseguenza di questo fatto, perché un popolo senza memoria storica è un popolo che commetterà gli errori del passato.

Non è un caso se negli ultimi anni si assiste con sempre più frequenza a episodi revisionisti, come ad esempio la marcia carnevalesca in fez e camicia nera a Predappio in pellegrinaggio alla tomba del duce.

Gli errori del passato, riveduti e dimenticati, fanno oggi piangere nuovi martiri, creano nuove frazioni e fomentano nuovi odi che vanno nella direzione opposta alla pacificazione tra i popoli ma soprattutto creano nuovi soldati.

Un soldato che uccide o che obbliga all’esodo dalle proprie case lo fa perché armato, vestito, nutrito, curato ma soprattutto indottrinato, con un lento e subdolo lavoro che ribaltando le responsabilità riscrive una nuova storia, basato sul ricordo che cancella tutto, anche i conti col proprio passato.

Questi conti in sospeso col passato sono la causa delle tante sventure di questo presente e, se non terremo alta la guardia lo saranno del nostro futuro.

Al prossimo articolo. Valsabbin* Refrattar*

Ti aspettavamo qui

martedì, Febbraio 11th, 2020

“Ti Aspettavamo qui” è il nome dell’iniziativa organizzata dalla Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” che riguarda l’accoglienza, all’interno del mausoleo dove è sepolto il Gabriele d’Annunzio, dei resti mortali di Riccardo Gigante, tra i 10 compagni di guerra scelti dal vate per circondare la sua urna.

Per la verità non si tratta della salma ma della falange di un dito, identificata grazie al Dna di un discendente di Gigante.

Oltre al piacere feticcio della sacra reliquia che ipotizziamo verrà venerata, che nel migliore dei casi andrebbe psicanalizzata “da uno bravo”, non possiamo non spendere due parole su chi è stato Riccardo Gigante e sul senso di questo avanspettacolo.

Gigante, legionario della prima ora partecipò alla “impresa” di Fiume e ne fu prima sindaco poi podestà per 25 anni. Da sindaco di Fiume appoggiò tutte le politiche di italianizzazione forzata dell’area, e dal 1941, sostenne l’invasione della Jugoslavia.

Preso dalle truppe di liberazione della Jugoslavia il 3 maggio 1945 fu fucilato a Castua.

Ti aspettavamo qui.

Queste parole le hanno pronunciate che genti rimaste ad aspettare le centinaia di uomini, donne e bambine massacrate dalle conseguenze delle parole e dalle politiche Gigante che in quel caso hanno armato le dita che hanno premuto sui grilletti, che hanno infoibato la gente innocente uccise dai fasciste o che le hanno rinchiuse dentro dei campi di sterminio.

E visto che le parole sono importanti quanto la memoria e la storia dobbiamo gridare che questa iniziativa è vergognosa per la sua strafottenza, la sua partigianeria e la sua pochezza.

Un revisionismo che cancella le colpe e esalta le gesta di chi, come Giagante, ha gettato le basi, se non appaggiato, omicidi, stupri e violenze.a.

Crediamo forse che ad aspettare quel pezzo di corpo, ben schierato nelle foto, ci sia solo chi con evidente ipocrisia vuole imporre una narrazione storica falsata e che sa benissimo che ne potrà trarre in qualche modo profitto.

Noi nel frattempo non possiamo fare altro che aspettare la verità!

Italiani brava gente

sabato, Gennaio 18th, 2020

Con questo quarto articolo prosegue l’analisi dello stretto rapporto tra storia, memoria e le loro mistificazioni che oggi molti partiti politici stanno operando in questo periodo di crisi di coscienze.

Dopo avere analizzato il motto legato alla difesa dei patrii confini, il “giorno del ricordo” e le foibe ci concentriamo ora su un altro slogan che spesso si sente nelle analisi sulla presenza militare italiana nella seconda guerra che si riduce nella frase “Italiani brava gente”.

L’idea è quella di smontare la retorica fondamento del nazionalismo e sua base ideologica e nello specifico vogliamo fare un’analisi su questa frase, ripresa anche dall’omonimo film molto popolare del 1965, che si sente spesso riportata in contesti diversi tra loro e che negli ultimi periodi la pone al centro del discorso sulla presenza militare italiana nello scenario della seconda guerra mondiale, tralasciando molti aspetti per giungere alla conclusione che i nostri soldati erano tutto sommato migliori dei tedeschi o dei russi. Un esercito di contadini, braccianti o alpini con la perenne nostalgia della mamma o della fidanzata a casa e più legati al proprio mulo che all’arte della guerra.

Al di là di questa vox populi la realtà storica ci dice ben altro, dacché esiste lo stato nazione dell’Italia sono state compiute numerose guerre di aggressione, tutte a carattere di invasione e conquista territoriale o coloniale, il cui elenco, parziale, è stato trattato nel primo articolo.

Queste guerre di aggressione, tipiche di quegli anni e delle politiche del tempo, hanno visto i militari italiani impiegati in diversi teatri di guerra, dai Balcani alla Russia, dal nord Africa alla Francia ed anche in molti altri Paesi.

I crimini italiani sono stati numerosissimi e molto poco giudicati e condannati dai molti tribunali internazionali ma fortunatamente studiati e raccontati da molti storici.

Senza approfondire, ma comunque citando le leggi razziali del 1938 e le leggi repressive nei confronti del dissenso interno al paese, che devono essere considerati con la stessa gravità, l’Italia ha quasi ovunque violato convenzioni sui prigionieri di guerra, ha costruito lager e campi di sterminio nei paesi occupati o nelle colonie conquistate (significativa la storia raccontata nel film “Il Leone del deserto”), e spesso si è distinta per la brutalità contro la popolazione civile con l’utilizzo di gas mortali come l’iprite considerati illegali dalle principali convenzioni internazionali o nella conduzione della lotta ai partigiani con qualsiasi mezzo e metodo, tra cui la rappresaglia e le peggiori ritorsioni sui civili.

Emblematico è il caso dei crimini di guerra compiuti dall’esercito italiano comandato da Pietro Badoglio in Africa orientale durante la Guerra d’Etiopia, crimini compiuti sull’inerme popolazione civile col fine di annientarla e rimpiazzarla con i coloni, che ci fanno immediatamente pensare ai deliranti discorsi odierni sulla sostituzione etnica.

Al termine della seconda guerra, Badoglio venne inserito nella lista dei criminali di guerra dell’ONU su richiesta dell’Etiopia ma non venne mai processato. Badoglio tra l’altro fu nominato capo del Governo del Regno alla destituzione di Mussolini dopo il 25 luglio 1943, a significare la continuità ideale di quei governi su certi temi.

Altrettanto significativi sono i racconti che abbiamo potuto ascoltare in questi anni dai reduci dei nostri paesi, che in un paio di casi ci hanno raccontato di come si fossero trovati a fare da guardia ai campi di sterminio in Jugoslavia e di come anche gli italiani si siano distinti per la brutalità.

Una delle conseguenze della perdita di memoria di questi fatti, la ritroviamo tra l’altro, nell’intitolazione, lo scorso primo settembre, della sede dei fanti di Prevalle a Mario Cigolini.

La storia del Cigolini, raccontata in un libro biografico che lo dipinge addirittura come eroe, l’ha visto prima volontario nella divisione Littorio nella guerra civile spagnola, dove le truppe fasciste furono inviate in via più o meno in via ufficiale a supporto delle truppe franchiste nella lotta contro le truppe repubblicane e internazionaliste spagnole e poi militare nel teatro di guerra del fronte greco dove nel corso di un assalto ha trovato la morte. A seguito di questo episodio gli è stata conferita una medaglia d’oro al valore militare.

Questa decorazione data per un singolo episodio, senza una lettura critica dei fatti, lo eleva ad uno status di importanza ed eroismo cancellando in un secondo la sua storia, sempre al fianco di due delle peggiori dittature europee e al seguito dell’esercito di occupazione in Grecia.

Un singolo fatto è preso e utilizzato per costruire un senso di eroismo, dimenticandosi o meglio intenzionalmente omettendo che l’Italia in Grecia è stata accusata di numerosi crimini di guerra e anche il Cigolini era parte di quel contingente.

Pensiamo che queste associazioni d’armi per poter rinnovare le idee belligeranti e nazionaliste presupposto della loro esistenza abbiano la necessità di martiri ed eroi, senza però dovere rendere conto dei gesti compiuti e del contesto storico di quei fatti dando così una visione parziale, falsata e autoreferenziale di quegli accadimenti.

E proviamo a fare un parallelo, un po’ azzardato, ma assolutamente coerente con la Germania, dove pensiamo che, nonostante anche là il vento nazionalista soffi in poppa ai partiti della destra, sia molto ma molto difficile che oggi possano essere intitolate sedi delle organizzazioni d’armi a soldati della wermacht nazista e tantomeno a soldati delle SS.

Forse questo perché la memoria o il ricordo hanno lasciato spazio ad una verità storica che ha penetrato le coscienze della popolazione e che difficilmente può essere travisata così banalmente.

Con questo stillicidio di vergogne, che potrebbe essere molto più lungo ma che per questioni di spazio abbiamo dovuto sintetizzare, non vogliamo dire che gli italiani si siano comportati peggio degli altri eserciti belligeranti, la storia dei crimini tedeschi, giapponesi o russi o le bombe atomiche americane sono esempi di come alleati e nemici si siano comportati con la stessa brutalità seppur mossi da ideali, mezzi e utilizzando una pianificazione diversa.

Vogliamo però dire che la de-contestualizzazione, la banalizzazione di questi fatti che porta ad una progressiva perdita di memoria anche oggi, a più di 70 anni di distanza, ha come effetto episodi e frasi che ci lasciano davvero sbigottiti.

A così tanti anni di distanza possiamo tranquillamente dire che gli italiani “brava gente” in guerra non lo sono stati, perché la guerra e la sua ferocia, l’idea di disciplina intrinseca nell’esistenza degli eserciti costituiscono le basi per non creare brava gente, ma gente brava in manzoniana accezione.

Crudeli, cattivi, servili, privi di una coscienza ma soprattutto obbedienti, il contrario di ciò che immaginiamo quando pensiamo all’idea di uomini e donne liberi e libere.

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

Le foibe

giovedì, Gennaio 16th, 2020

Con questo terzo articolo proseguiamo con l’analisi dello stretto rapporto tra storia memoria e loro mistificazioni per fini politici e ci colleghiamo alla giornata del ricordo analizzando ciò che è stata la presenza italiana in Jugoslavia e come la propaganda nazionalista ha rivisitato le uccisioni delle foibe senza minimamente valutarne le cause.

Le terre jugoslave furono spesso oggetto di contesa e anche durante la prima guerra mondiali vennero contese da vari eserciti belligeranti. La presenza italiana e le sue politiche “coloniali” le troviamo già prima dell’avvento del fascismo, ossia dal 1920 con il trattato di Rapallo che portò all’occupazione italiana di quei territori e all’approvazione di numerosi decreti col dichiarato obbiettivo di italianizzare l’area.

Fu poi la veemente propaganda nazionalista, che tra l’altro portò all’occupazione di Fiume, che anticipò chiaramente quali fossero le intenzioni riguardanti il destino delle popolazioni slave; ipotesi che trovano conferma nelle parole pronunciate da Mussolini, il 22 settembre 1920 a Pola: «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone […] credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

Questi sentimenti, che si tramutarono presto in politiche, si acuirono con l’avvento della dittatura fascista che dal 1922 approvò una serie di regi decreti finalizzati ad una ghettizzazione della popolazione non italiana e alla sua successiva sostituzione.

Prima agendo sull’italianizzazione della toponomastica decreto n. 800 del 29 marzo 1923 e poi sui cognomi dei cittadini sloveni regio decreto-legge n. 494 del 7 aprile 1927 ma anche con l’abolizione dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole legge n. 2185 del 1/10/1923 (Riforma scolastica Gentile).

In 5 anni tutti gli insegnanti provenivano dalle varie regioni dell’Italia e i non italiani vennero estromessi da tutti gli impieghi pubblici.

SI stima che queste misure colpirono dai 250 ai 320 mila individui sloveni.

Con l’invasione tedesca della Jugoslavia del 1941, supportata dall’Italia fascista, che utilizzò i territori occupati come basi di partenza, la situazione in quelle terre si fece più grave. La repressione ormai estesa portò ad una sequela di crimini verso la popolazione civile, spesso supportati da indicazioni ben precise date dai comandi militari. Un esempio per tutti è la circolare 3C emanata dal generale Roatta che equiparava la popolazione civile inerme ai militari rendendola soggetta a rappresaglie, depredazioni e incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie e internamenti nei vari campi di eliminazione.

Possiamo immaginare il sentimento di quelle popolazioni nei confronti degli italiani.

E fu proprio in questo contesto che i primi che utilizzarono le foibe furono proprio gli italiani e i tedeschi e numerosi sono gli studi che dall’immediato dopoguerra ad oggi hanno cercato di fare luce sul fenomeno e di quantificare il numero di persone decedute in quegli anni.

 

Insomma, numeri diversi che restituiscono un quadro storico complesso dove orientarsi diventa esercizio difficile.

Un paio di anni fa nella nostra provincia comparvero degli striscioni fatti da un qualche gruppo neofascista riguardanti il tema delle foibe che riportava la frase: “Foibe: chiedetelo ai vostri professori”.

Premettendo che troviamo davvero singolare che siano proprio i figli e figliastri dell’ideologia fascista e del becero nazionalismo a chiedere conto delle conseguenze delle azioni dei loro padri, padrini e padroni che per più di un ventennio hanno gettato il seme dell’odio in quelle terre, vogliamo davvero rilanciare questa richiesta. Chiedetelo!

Vi diranno che questa storia non è cominciata l’8 settembre 1943 e nemmeno il 25 aprile del 1945 ma vi diranno che è il frutto di un processo lungo e difficile.

Chiedetelo ai professori, non ai politicanti, chiedetelo a chi la storia l’ha studiata, la approfondisce e la può vedere e non chi la utilizza, la mistifica per meri interessi politici.

E non si parla solo dei partiti o gruppi della galassia dell’estrema destra ma anche di chi rappresenta le istituzioni, come l’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che in un suo intervento, in occasione della giornata del ricordo, aveva, usato termini come “furia sanguinaria”, “barbarie”, “pulizia etnica” e aveva parlato genericamente di “slavi”.

Senza entrare nel merito del discorso pronunciato, appare evidente che ci troviamo davanti ad una serie di preconcetti ed all’uso di una retorica scontata sui Balcani.

Una retorica che a parti invertite ha portato grandi polemiche da parte del governo croato e parallelamente alla celebrazione da parte del governo sloveno il 15 settembre del “ricongiungimento del Litorale alla madrepatria” rammentando le persecuzioni subite dagli sloveni nel Regno d’Italia.

Se da un lato condanniamo i ripetuti crimini italiani, la repressione titina tipica dei totalitarismi novecenteschi e dall’altro possiamo comprendere certi episodi di ritorsione, non possiamo non renderci conto di quanto sia comune la radice di questi mali che possiamo identificare con l’idea di nazione e delle politiche nazionaliste.

Queste istituzioni per mantenere le loro posizioni di potere devono professare l’odio e seminare le divisioni tra i popoli, diversamente le genti saprebbero veicolare la rabbia verso chi opprime davvero.

Le mistificazioni legate alla giornata del ricordo e alle vittime infoibate portano ad una sedimentazione dell’idea di identità nazionale porta a odiare il diverso, anche popoli che per lunghi periodi hanno saputo convivere pacificamente.

Il nazionalismo è come abbiamo già scritto un cancro, che cresce e si sviluppa ben protetto dalle istituzioni, a cui però possiamo mettere un argine. Lo possiamo fare non credendo a questa propaganda, coltivando il dubbio auspicando una vera pacificazione tra i popoli.

Ci chiediamo che senso possa avere commemorare la popolazione italiana vittima della vendetta degli jugoslavi o la popolazione jugoslava vittima dei massacri commessi dai militari italiani senza valutarne le cause e la radice comune.

Queste sono state immani tragedie ed alcuni, con evidente ipocrisia, ne ricordano solo l’ultimo atto, spesso falso!!!

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

Il giorno del ricordo

mercoledì, Gennaio 8th, 2020

Prosegue in questo secondo articolo l’analisi dello stretto rapporto tra storia e memoria e le loro mistificazioni parlando in questo articolo della ricorrenza del giorno del ricordo.

Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Inizialmente imbastita da Fini e Violante, tra mille polemiche legate alle critiche di numerosi storici nel 1998, è stata istituita ufficialmente il 30 marzo 2004 con legge n. 92 su pressione delle destre alleate all’allora governo Berlusconi II. Le prime firme al testo sono quelle dei principali esponenti di destra e si pone l’obbiettivo di: «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

La data del 10 febbraio non è casuale: il dieci febbraio del 1947 è il giorno in cui venne stipulato il trattato di pace di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate che stabilirono l’assegnazione alla Jugoslavia dei territori dell’Istria, della regione di Zara e di buona parte della Venezia Giulia. Le potenze alleate non dimenticarono l’aggressione militare Italia fascista al fianco di nazisti e giapponesi e nemmeno le atrocità da questa commessa (anche se solo in sede di redazione del trattato la considerarono, nonostante l’intervento di De Gasperi, ritennero l’Italia responsabile nonostante il voltagabbana finale.

Premettendo che, in questa riflessione vogliamo dire che non c’è intenzione di non volere ricordare le persone morte nelle foibe o che hanno patito le sofferenze legate all’esodo dalle proprie abitazioni, vogliamo contestualizzare quei fatti, cercando di raccontare cosa sono stati i 20 anni di presenza fascista in quelle terre e le politiche di italianizzazione forzata e smascherando le reali intenzioni dietro a questa giornata.

Altra premessa necessaria riguarda il ricordo (gioco di parole) di un altro giorno, quello della Memoria, giorno internazionale che riguarda la memoria delle vittime del nazi fascismo, ricordati il 27 gennaio, data simbolica della liberazione del lager di Auschwitz da parte dei soldati dell’armata rossa.

La contrapposizione ideologica delle 2 giornate è evidente e strumentale alle politiche di chi ha promosso e voluto il giorno del ricordo, ma anche di chi negli anni l’ha propagandato, partendo da tutti i presidenti della repubblica italiana che dal 2004 si sono succeduti.

L’idea di contrapporre il giorno della Memoria, ricorrenza di carattere internazionale, che ricorda tutte le vittime delle ideologie naziste e fasciste e che hanno colpito chiunque non fosse omologato a quel tipo di società come tutti gli oppositori politici, gli “asociali”, gli omosessuali e le lesbiche, i malati di mente o i disabili, o chi è stato stigmatizzato come gli ebrei, gli zingari o i rom, o chi è stato liquidato perché considerato subumano come i prigionieri di guerra russi, con una giornata che ricorda una parte di morti, è davvero vergognosa.

Il tentativo è chiaro, mettere sullo stesso piano vittime e carnefici paragonando l’imparagonabile ossia un numero non certo di corpi rinvenuti nelle foibe (tra l’altro alcuni chiaramente fucilati dai nazifascisti e molti frutto di vendette personali) con i milioni di morti a seguito del metodico sistema di pulizia etnica e sociale, omicidi e indicibili esperimenti su cavie umane. Questo per riabilitare in maniera velata il fascismo,mostrando gli aguzzini come martiri di una guerra che “capitò”.

E questo ci fa dire che le uccisioni nelle foibe , che tratteremo nel dettaglio nel prossimo articolo, e l’esodo delle genti friulane e dalmate sono state una delle conseguenze delle politiche di italianizzazione forzata e di sfruttamento di quelle aree cominciate non con l’avvento del fascismo ma subito dopo l’annessione di quei territori dopo la prima guerra mondiale, e sono state la conseguenza delle politiche identitarie e nazionalistiche dei comunisti titini che hanno ripreso le modalità tipiche degli eserciti nazi fascisti.

La demonizzazione da parte dei promotori di questo giorno (ossia da parte dei figli e figliastri dei partiti fascisti), dei partigiani comunisti titini per avere fatto quello che hanno fatto, è davvero ipocrita e qualifica molto sulla vera finalità riguardante questa giornata; anzi sembra proprio che buona parte delle vendette private nei concitati e caotici momenti successivi alla fine della guerra, siano state fermate nel momento in cui presero il controllo del territorio..

La critica e la condanna che noi facciamo guardando a questi fatti e a questa ricorrenza istituzionale è il fatto di ridare dignità pubblica a ideologie basate sull’esaltazione della nazione, dei confini e delle frontiere, di popoli intesi come razza, del culto del più forte. Insomma di ideologie che già hanno dimostrato di cosa sono capaci. E questo sì, questo va ricordato!

Questo ci fa presupporre che una certa parte politica, dopo avere messo sullo stesso piano il giorno della memoria  ed il giorno del ricordo, voglia dare il via ad una equiparazione che porti poi ad una minimizzazione delle colpe e che ha come fine una ricostruzione storica falsata e decontestualizzata, che voglia portare una sorta di assoluzione perché loro stessi vittime delle politiche e della repressione comunista come se la loro morte violenta potesse cancellare ogni responsabilità nazi-fascista pregressa.

” se dici una menzogna enorme e continui a ripeterla, prima o poi il popolo ci crederà. La menzogna si può mantenere per il tempo in cui lo Stato riesce a schermare la gente dalle conseguenze politiche, economiche e militari della menzogna stessa. Diventa così di vitale importanza per lo Stato usare tutto il suo potere per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato.” Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich

Senza una continua ricerca, senza lo studio, l’approfondimento e una capacità critica si rischia di fare passare i colpevoli per innocenti, si rischia di travisare chi davvero fu carnefice e causa di quei processi per cui oggi vengono ricordate le vittime.

Si rischia che vengano create le basi perché dei “nostri” morti siano più importanti di altri morti, primo passo e seme velenoso del nazionalismo, padre infetto delle peggiori malattie della nostra epoca.

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

 

Nella foto: villaggio croato dato alle fiamme dai militari italiani durante la seconda guerra mondiale.

La difesa dei patrii confini

martedì, Gennaio 7th, 2020

È grazie alla grande abbuffata di retorica degli ultimi anni, in cui si è commemorato il centenario dell’inizio e fine della prima guerra mondiale che abbiamo cominciato a sviluppare alcune riflessioni sul rapporto stretto tra storia, memoria e loro mistificazioni.

Queste riflessioni e tanti fatti odierni di cronaca ci hanno portato, in occasione della ricorrenza lo scorso 1° settembre degli ottanta anni dall’inizio della seconda guerra mondiale, a mettere nero su bianco tutti questi pensieri.

E l’abbiamo fatto attraverso alcuni articoli che hanno l’intento di ristabilire una narrazione di quei fatti non dal punto di vista memonico o evocativo ma da quello storico, e perché no politico, cercando collegamenti con attualità con la presunzione o l’obbiettivo di mettere il semino del dubbio all’interno dei vostri pensieri.

Questi articoli tratteranno in serie la retorica legata ad alcuni slogan o frasi tipiche di una certa oratoria quali la difesa dei patrii confini, il concetto di patria e patrioti o italiani brava gente, ma tratteranno anche la giornata del ricordo e le foibe.

Partiamo quindi con il concetto di difesa dei patrii confini, frase tipica dei discorsi pubblici detti durante le commemorazioni dei caduti delle varie guerre fatti dalle varie forze d’arme e nostalgici vari ma anche della propaganda di tutti i partiti di destra che basano sul fondamento identitario la loro propaganda e le loro speculazioni politiche.

Ma vediamo quali confini l’Italia ha davvero difeso dal 17 marzo 1861 giorno in cui, con atto formale, il Regno di Sardegna e il suo re Vittorio Emanuele II sancì la nascita del Regno d’Italia.

Le prime guerre che l’allora regno italiano intraprese, oltre all’epopea garibaldina del 1866 che a fronte di tanti volontari idealisti vide l’invasione delle terre trentine o tirolesi che storicamente non possono essere considerate italiane, vanno inserite nel fenomeno tipicamente ottocentesco del colonialismo.

Nel 1869 ebbe inizio una lunga serie di guerre volte all’espansione coloniale italiana, con l’occupazione della baia di Assab in Eritrea, proseguendo nel 1889 con la Somalia definita poi colonia nel 1905, e con la ricerca del posto al sole in Libia all’epoca colonia ottomana, con la guerra italo-turca del 1911 e proseguita nel 1912 con la guerra per l’occupazione delle isole del mare Egeo.

La grande mistificazione è stata poi attuata con la prima guerra mondiale, quando a fronte di accordi ormai noti che avrebbero concesso Trento a Trieste in caso di dichiarazione di neutralità ha visto l’Italia entrare in guerra contro il suo finora alleato, l’impero austro ungherese.

Questo che in caso contrario sarebbe stato definito come tradimento, oggi sappiamo essere stato fortemente voluta dai poteri economici che vedevano nella guerra una grande occasione di aumentare i propri profitti e di direzionare le energie delle rivendicazioni sociali.

E i grandi discorsi retorici particolarmente presenti negli anni del centenario  ci hanno veramente nauseati perché abbiamo la presunzione di sapere bene quello che fosse il sentimento patriottico che animava le genti dei nostri paesi, ovvero inesistente; forse qualche borghese o commerciante che poteva vedere aumentati i guadagni non certo i contadini, che al tempo erano la maggior parte della popolazione paesi e che erano privi di un qualsiasi sentimento o di nozione concettuale di patria e che, erano ben consci del guadagno che avrebbero ottenuto dalla guerra.

Dopo il macello della prima guerra mondiale, l’instaurazione del fascismo ha dato il via ad una serie di politiche nazionaliste che meriterebbero tante riflessioni e alcuni articoli ad hoc, e che portarono ad una sequela di invasioni territoriali che descriviamo di seguito.

Verso la fine degli anni 20 venne completata la conquista della Libia e nel 1928 vennero fatte incursioni per la conquista dell’entroterra etiope. Nel 1936, venne poi inviato un contingente a sostegno delle truppe di Franco nella guerra civile spagnola e tra il 1939-40 le truppe italiane, seguirono le sorti della seconda guerra mondiale, occupando militarmente stati liberi come l’Albania nel 1939, o l’infamia della rappresentata dall’invasione delle Francia nel 1940, della Jugoslavia o della Grecia.

Altro aspetto molto importante per il coinvolgimento di valligiani e che un grande immaginario ci ha riconsegnato è rappresentato dall’invio del contingente italiano in Russia a fianco degli alleati germanici e rumeni, invio conseguente all’operazione Barbarossa, che tratteremo in modo più specifico negli altri articoli. Difficile pensare alla Russia come italico suolo.

Se da un lato possiamo inquadrare storicamente il fenomeno del colonialismo e dare il giusto giudizio politico al ventennio fascista, oggi non possiamo che dare un giudizio di condanna di quel fenomeno e dei presupposti su cui si fonda e pertanto non possiamo considerare “patrio” un territorio occupato per lo sfruttamento delle genti e delle risorse naturali e quindi possiamo certamente dire che nessuna di queste guerre sia stata condotta in difesa ma tutte in offesa.

Pertanto, quando l’Italia ha difeso i propri confini?

Possiamo certamente dire che siano stati difesi dai Partigiani sia prima che dopo l’8 settembre del 1943 durante l’occupazione nazista supportata dagli alleati fascisti dello stato fantoccio chiamato repubblica sociale italiana.

Possiamo dire che sia stata difesi dai disertori renitenti, sabotatori che forse nemmeno avevano il concetto di patria nelle proprie teste e che, con grande sacrificio, si opposero nei mezzi e nei modi alle guerre sopracitate.

E vogliamo aggiungere che ci furono altri che oggi sono italiani che una volta difesero i propri confini da truppe invasori. Furono le genti trentine triestine e tirolesi, che a seguito del tradimento italiano e della conseguente dichiarazione di guerra all’impero austro ungarico nel 1915, e già chiamati alle armi sui fronti galiziani e russi nel 1914, per effetto del Landlibell stipulato nel 1511 da Massimiliano I d’Asburgo furono richiamate a difendere i propri paesi, o forse meglio il proprio Heimat, fino alla fine della guerra. Popoli assoggettati poi al regno italiano con tutti i soprusi e le contraddizioni conseguenti. Ma questa forse è un’altra storia.

E come conclusione possiamo dire che la difesa dei patrii confini o forse meglio la difesa della propria libertà, storicamente è stata attuata verso quel cancro che divora e divide genti uguali fomentato l’odio basato su supposte diversità chiamato nazionalismo e le sue conseguenze e verso i poteri economici che da sempre hanno visto nella guerra e nella propaganda nazionalista un’occasione per aumentare i propri profitti.

E consci di ciò non possiamo che augurarci un mondo senza confini, patrie e frontiere dove nessuno è straniero.

Al prossimo articolo. Valsabbin* Refrattar*