Italiani brava gente

Con questo quarto articolo prosegue l’analisi dello stretto rapporto tra storia, memoria e le loro mistificazioni che oggi molti partiti politici stanno operando in questo periodo di crisi di coscienze.

Dopo avere analizzato il motto legato alla difesa dei patrii confini, il “giorno del ricordo” e le foibe ci concentriamo ora su un altro slogan che spesso si sente nelle analisi sulla presenza militare italiana nella seconda guerra che si riduce nella frase “Italiani brava gente”.

L’idea è quella di smontare la retorica fondamento del nazionalismo e sua base ideologica e nello specifico vogliamo fare un’analisi su questa frase, ripresa anche dall’omonimo film molto popolare del 1965, che si sente spesso riportata in contesti diversi tra loro e che negli ultimi periodi la pone al centro del discorso sulla presenza militare italiana nello scenario della seconda guerra mondiale, tralasciando molti aspetti per giungere alla conclusione che i nostri soldati erano tutto sommato migliori dei tedeschi o dei russi. Un esercito di contadini, braccianti o alpini con la perenne nostalgia della mamma o della fidanzata a casa e più legati al proprio mulo che all’arte della guerra.

Al di là di questa vox populi la realtà storica ci dice ben altro, dacché esiste lo stato nazione dell’Italia sono state compiute numerose guerre di aggressione, tutte a carattere di invasione e conquista territoriale o coloniale, il cui elenco, parziale, è stato trattato nel primo articolo.

Queste guerre di aggressione, tipiche di quegli anni e delle politiche del tempo, hanno visto i militari italiani impiegati in diversi teatri di guerra, dai Balcani alla Russia, dal nord Africa alla Francia ed anche in molti altri Paesi.

I crimini italiani sono stati numerosissimi e molto poco giudicati e condannati dai molti tribunali internazionali ma fortunatamente studiati e raccontati da molti storici.

Senza approfondire, ma comunque citando le leggi razziali del 1938 e le leggi repressive nei confronti del dissenso interno al paese, che devono essere considerati con la stessa gravità, l’Italia ha quasi ovunque violato convenzioni sui prigionieri di guerra, ha costruito lager e campi di sterminio nei paesi occupati o nelle colonie conquistate (significativa la storia raccontata nel film “Il Leone del deserto”), e spesso si è distinta per la brutalità contro la popolazione civile con l’utilizzo di gas mortali come l’iprite considerati illegali dalle principali convenzioni internazionali o nella conduzione della lotta ai partigiani con qualsiasi mezzo e metodo, tra cui la rappresaglia e le peggiori ritorsioni sui civili.

Emblematico è il caso dei crimini di guerra compiuti dall’esercito italiano comandato da Pietro Badoglio in Africa orientale durante la Guerra d’Etiopia, crimini compiuti sull’inerme popolazione civile col fine di annientarla e rimpiazzarla con i coloni, che ci fanno immediatamente pensare ai deliranti discorsi odierni sulla sostituzione etnica.

Al termine della seconda guerra, Badoglio venne inserito nella lista dei criminali di guerra dell’ONU su richiesta dell’Etiopia ma non venne mai processato. Badoglio tra l’altro fu nominato capo del Governo del Regno alla destituzione di Mussolini dopo il 25 luglio 1943, a significare la continuità ideale di quei governi su certi temi.

Altrettanto significativi sono i racconti che abbiamo potuto ascoltare in questi anni dai reduci dei nostri paesi, che in un paio di casi ci hanno raccontato di come si fossero trovati a fare da guardia ai campi di sterminio in Jugoslavia e di come anche gli italiani si siano distinti per la brutalità.

Una delle conseguenze della perdita di memoria di questi fatti, la ritroviamo tra l’altro, nell’intitolazione, lo scorso primo settembre, della sede dei fanti di Prevalle a Mario Cigolini.

La storia del Cigolini, raccontata in un libro biografico che lo dipinge addirittura come eroe, l’ha visto prima volontario nella divisione Littorio nella guerra civile spagnola, dove le truppe fasciste furono inviate in via più o meno in via ufficiale a supporto delle truppe franchiste nella lotta contro le truppe repubblicane e internazionaliste spagnole e poi militare nel teatro di guerra del fronte greco dove nel corso di un assalto ha trovato la morte. A seguito di questo episodio gli è stata conferita una medaglia d’oro al valore militare.

Questa decorazione data per un singolo episodio, senza una lettura critica dei fatti, lo eleva ad uno status di importanza ed eroismo cancellando in un secondo la sua storia, sempre al fianco di due delle peggiori dittature europee e al seguito dell’esercito di occupazione in Grecia.

Un singolo fatto è preso e utilizzato per costruire un senso di eroismo, dimenticandosi o meglio intenzionalmente omettendo che l’Italia in Grecia è stata accusata di numerosi crimini di guerra e anche il Cigolini era parte di quel contingente.

Pensiamo che queste associazioni d’armi per poter rinnovare le idee belligeranti e nazionaliste presupposto della loro esistenza abbiano la necessità di martiri ed eroi, senza però dovere rendere conto dei gesti compiuti e del contesto storico di quei fatti dando così una visione parziale, falsata e autoreferenziale di quegli accadimenti.

E proviamo a fare un parallelo, un po’ azzardato, ma assolutamente coerente con la Germania, dove pensiamo che, nonostante anche là il vento nazionalista soffi in poppa ai partiti della destra, sia molto ma molto difficile che oggi possano essere intitolate sedi delle organizzazioni d’armi a soldati della wermacht nazista e tantomeno a soldati delle SS.

Forse questo perché la memoria o il ricordo hanno lasciato spazio ad una verità storica che ha penetrato le coscienze della popolazione e che difficilmente può essere travisata così banalmente.

Con questo stillicidio di vergogne, che potrebbe essere molto più lungo ma che per questioni di spazio abbiamo dovuto sintetizzare, non vogliamo dire che gli italiani si siano comportati peggio degli altri eserciti belligeranti, la storia dei crimini tedeschi, giapponesi o russi o le bombe atomiche americane sono esempi di come alleati e nemici si siano comportati con la stessa brutalità seppur mossi da ideali, mezzi e utilizzando una pianificazione diversa.

Vogliamo però dire che la de-contestualizzazione, la banalizzazione di questi fatti che porta ad una progressiva perdita di memoria anche oggi, a più di 70 anni di distanza, ha come effetto episodi e frasi che ci lasciano davvero sbigottiti.

A così tanti anni di distanza possiamo tranquillamente dire che gli italiani “brava gente” in guerra non lo sono stati, perché la guerra e la sua ferocia, l’idea di disciplina intrinseca nell’esistenza degli eserciti costituiscono le basi per non creare brava gente, ma gente brava in manzoniana accezione.

Crudeli, cattivi, servili, privi di una coscienza ma soprattutto obbedienti, il contrario di ciò che immaginiamo quando pensiamo all’idea di uomini e donne liberi e libere.

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

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