Archive for Luglio, 2021

Morte accidentale di un medico

sabato, Luglio 31st, 2021

Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l’uno dall’altro e non vivono soli… a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può essere disfatto.

Orwell, 1984

Martedì 27 luglio è stato rinvenuto nella sua abitazione di Eremo di Curtatone il corpo senza vita del Dott. Giuseppe De Donno. Esce di scena senza far troppo rumore sui media nazionali una figura rivelatasi molto scomoda per il pensiero unico del terapeuticamente corretto.

A poco servirebbe speculare chiedendosi se il padre della cura al plasma iperimmune contro il Covid si sia effettivamente suicidato o sia stato suicidato; si rischierebbe, visto i pochi elementi a disposizione, di smarrirsi in ipotesi che darebbero adito ad accuse di complottismo perdendo di vista il nocciolo della questione.

La procura di Mantova ha aperto un’inchiesta per valutare eventuali responsabilità di terzi per istigazione al suicidio. Noi, e con noi chiunque ancora possa fare un uso lucido e logico del pensiero, non dobbiamo attendere la chiusura di quelle indagini per poter dire a voce alta che si, l’ex primario del Carlo Poma di Mantova ha subito pesantissime pressioni finalizzate a gettar discredito sul protocollo di cura messo a punto da lui e dalla sua equipe.

La cura con il plasma iperimmune, ottenuto con il sangue dei guariti, che pure aveva dato inequivocabili ottimi risultati nella sperimentazione da lui condotta (all’ospedale di Mantova su una cinquantina di pazienti trattati, tutti già con forti insufficienze respiratorie, l’esito di guarigione era stato del 100%) è stata metodicamente censurata.

Un primo segnale intimidatorio per De Donno arrivò a inizio maggio 2020 manifestandosi con la visita del NAS dei carabinieri nel suo reparto del Carlo Poma. Nel frattempo prendeva forma una indegna campagna di denigrazione mediatica, con tutti i virologi da salotto pronti ad ogni sorta di acrobazia per gettare dubbi e fango sulla proposta terapeutica portata avanti da De Donno e sulla sua persona. Le comparsate televisive del medico mantovano, dopo un primo fugace momento di visibilità, cominciarono a scivolare in terza serata fino a scomparire. Le sue pagine sui socials, che sin da subito sin sono prodigati per la costruzione del dogma pandemico, vennero a più riprese oscurate. L’Agenzia Italiana del Farmaco e l’Istituto Superiore di Sanità, celermente privarono il Carlo Poma dell’autorizzazione a continuare le sperimentazioni; che furono assegnate a Pisa senza alcuna apparente logica, se non quella di insabbiarle, cosa che puntualmente si è verificata. La narrazione pandemica era agli albori, ma già si parlava di vaccino come unica possibile via di uscita; i miliardari profitti all’orizzonte, e le nuove forme di controllo sociale legate all’emergenza permanente non potevano in nessun modo essere minati dal manifestarsi di cure efficaci, per giunta con il terribile difetto di costare pochissimo.

Poche settimane orsono De Donno ha deciso di dimettersi dal ruolo di primario di Pneumologia dell’ospedale mantovano, per esercitare come medico di base. Oltre alle pressioni ricevute, probabilmente avrà giocato un peso decisivo in questa sua scelta, la raggiunta consapevolezza che oramai in quel ruolo ogni via per una medicina onesta e libera dalle logiche del profitto gli era preclusa. Chissà quale possa essere stato il suo stato d’animo dopo aver appreso che l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha da ottobre 2021 approvato l’utilizzo di cinque cure contro il Covid, quattro delle quali basate sull’utilizzo di anticorpi monoclonali.

In parole povere una riproduzione sintetica in laboratorio degli anticorpi presenti nel plasma iperimmune.
De Donno amava dire che la sua cura era democratica in quanto il popolo donava al popolo (provate ad immaginare quale enorme campagna di solidarietà si sarebbe potuta scatenare per riempire le banche del plasma). La terapia con gli anticorpi monoclonali costerà invece circa 2.000 euro a trattamento. Chi ancora non ammette che la sanità nelle mani del neoliberismo, non punta alla cura del paziente ma a quella del fatturato o è ignorante o è in malafede.
Gli attori che ci stanno trascinando in questo baratro non hanno sulla coscienza solo il Dottor Giuseppe De Donno; sono anche i responsabili materiali della morte di migliaia di persone che potevano essere facilmente curate.

Unica via di uscita la mobilitazione popolare di chi ancora conserva dignità umana; la resistenza attiva da contrapporre alle richieste di resilienza del sistema. Nella speranza che un giorno la Storia possa chiamare la gestione di questa parabola pandemica con il suo vero nome: crimine contro l’umanità.

 

Le risposte di De Donno al Senato (14-05-2020).

Inizierò con la domanda più frequente. Perché Pisa?

Non lo so e sono sconcertato.
Qualsiasi città lombarda andava bene. Non venitemi a dire che la Toscana si è organizzata meglio perché parliamo di cose scientifiche e non politiche. Io non voglio nessun merito, i meriti sono di Baldanti, Franchini e Perotti. Pisa non è in grado, ma perché noi siamo stati colpiti in modo forte, mentre il loro protocollo riguarda cinque regioni che non sono state colpite. Che non mi vengano a dire che si tratta di motivazioni scientifiche perché non ci credo. Per quanto riguarda la diffusione mediatica, devo dire che noi siamo stati relegati da subito in seconda fascia, alle 23.50, mentre il solito virologo che ha detto tutto e il contrario di tutto era onnipresente in prima fascia, probabilmente anche pagato. Sarei molto interessato a sapere questo, perché uno scienziato che viene pagato non è uno scienziato credibile.
Io ho chiuso la libera professione all’inizio di tutto questo, con grossi danni personali, ma va bene perché la scienza è di tutti e noi siamo dei missionari.

Ora le risposte sul piano clinico: stiamo avviando gli studi di follow-up perché molti pazienti colpiti duramente potranno sviluppare delle fibrosi polmonari. Lo vedremo con il tempo. Posso dirvi a pelle che i pazienti che hanno fatto il plasma hanno meno esiti a livello polmonare. Altra domanda frequente è stata sulla disponibilità del plasma per tutti.

Siamo stati in guerra finora e dobbiamo avere le banche del plasma, e per questo mi sono scagliato contro chi mette dubbi in testa ai cittadini. Il nostro sistema trasfusionale è il più sicuro al mondo, e poiché abbiamo moltissimi guariti potremmo avere plasma in grandi quantità. Noi non siamo contrari al vaccino ma ci vorrà tempo, un vaccino fatto in
tre mesi non lo farei mai. Il vaccino previene ma non cura.
Per curare dobbiamo avere un’arma, e l’unica che abbiamo come proiettile magico è il plasma iperimmune. Sulle caratteristiche dei pazienti noi sappiamo che i pazienti in rianimazione rispondo di meno, ma è normale, perché in quella fase i danni sono molto forti. Sulle caratteristiche dei donatori, possono donare tutti i guariti. Dipende dalla
quantità di anticorpi neutralizzanti che il virus ha prodotto nel guarito donatore. Ecco perché facciamo i test di neutralizzazione. Ho utilizzato sieri più o meno concentrati di immunoglobuline con ottimi risultati. Sulle banche del plasma deve aiutarci la politica. Deve coordinare, noi dobbiamo fare gli scienziati. Zaia ha già fatto un percorso di implementazione delle donazioni, con clip che ha mandato in giro in tutta la regione. La Lombardia si sta adoperando, e sono moltissimi i protocolli che stanno nascendo nel mondo, uno di essi arruolerà cinquantamila pazienti. La scienza è una, il ministro della salute non deve mettere gli scienziati uno contro l’altro.

Non esiste colore nella scienza. Tutti salgono ora sul carro del plasma, ma va benissimo. Che tutti usino il plasma.

Winston

A 20 anni dal G8 di Genova 3

sabato, Luglio 31st, 2021

Con questo terzo articolo concludiamo il breve percorso di racconto delle giornate del G8 di Genova e dopo avere ripercorso i fatti principali e le vicende giudiziarie che hanno coinvolto gli allora responsabili dell’”ordine” pubblico e le loro violenze pianificate  in questo articolo parleremo delle vicende che sono occorse ai manifestanti.

Gli scontri di quelle giornate portarono a numerosissimi fermi che spesso si risolsero in multe e sanzioni amministrative ma anche rimpatri forzati e che diedero il via anche a numerosi processi. Quello che più ha avuto eco mediatico è stato quello contro il cosiddetto blocco nero, o processo dei 25, in cui sono stati condannati in primo grado in 24 per un totale di 110 anni, 10 per il reato di devastazione e saccheggio, 13 per danneggiamento e 1 per lesioni. Pene poi riviste in secondo grado e in cassazione.

Sul reato di devastazione e saccheggio ci sarebbe molto da dire: previsto dal codice Rocco in piena epoca fascista e di tempi dove era necessario reprimere qualsiasi forma di dissenso e quasi mai utilizzato dal dopoguerra se non per rari casi negli anni sessanta, è stato rispolverato e applicato prima per punire chi aveva partecipato alla manifestazione organizzata a seguito della morte di Baleno (anarchico morto suicida)  poi proprio per il G8 per punire quei fenomeni di piazza.

Come tutti i reati e le misure che provengono direttamente dal codice Rocco, come la sorveglianza speciale o i fogli di via, anche questo si inserisce nel tentativo dello stato di seppellire sotto anni di isolamento o carcere qualsiasi forma di conflitto o di limitare preventivamente qualsiasi forma protesta pubblica.

Oggi quasi tutti i condannati per quei processi sono in libertà; tra i pochi che sono riusciti a sottrarsi al carcere c’è Vincenzo Vecchi rifugiatosi in Francia. Pochi mesi fa però è giunta anche per lui la richiesta di estradizione ma la Francia, come accaduto per altre situazioni, spinta anche dalle centinaia di mobilitazioni in tutto il territorio transalpino ha vietato l’estradizione e ha passato la palla della decisione alla Corte Europea, considerando la condanna inflitta dai tribunali italiani ingiusta e sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti.

Meno bene invece sta andando a Luca che sta terminando di scontare la condanna per devastazione e saccheggio nel carcere di Cremona e che nei giorni del ventennale ha potuto sentire dalla sua cella la solidarietà di chi non l’ha certo dimenticato.

Le verità processuali hanno solo in parte accertato le violenze e come sempre accade quelle che più hanno fatto clamore sono state quelle compiute dai manifestanti. Troppo spesso si è taciuto sulle condanne della corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia per le sospensioni delle libertà, per la gestione inumana e per le torture in piazza, nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto.

Oggi troppo spesso si parla di verità e giustizia, ma sappiamo benissimo che quella che può uscire da un tribunale può essere una giustizia che di giusto non ha nulla perché la vendetta rancorosa è stata il sentimento predominante di chi ha giudicato gli altri senza avere mai fatto i conti con le proprie responsabilità.

Quelle giornate sono state una delle pagine più buie di questo ventunesimo secolo che tante, troppe, analogie hanno con quelli che sono passati alla storia come anni di piombo dove a pagare caro sono state solo le vittime di quella strategia e i carnefici e i mandanti sono rimasti impuniti se non premiati per il loro operato.

A 20 anni di distanza sappiamo che quelle idee e quelle proteste sono davvero sempre più attuali e necessarie in questo mondo dove quell’idea di sviluppo capitalista proposta da quei vertici sta portando alla devastazione e al saccheggio delle nostre vite e dei nostri territori.

Da Genova ad oggi, in ogni caso nessun rimorso!

Valsabbin* Refrattar*

Verso il totalitarismo tecnosanitario

domenica, Luglio 25th, 2021

Senza volerci autoincensare, attribuendoci il ruolo di inascoltate Cassandre, dobbiamo comunque, in incipit a questo ulteriore pezzo sulla narrazione pandemica, far notare che gli sviluppi degli ultimi giorni altro non fanno che confermare appieno le analisi e le ipotesi portate avanti su questo blog già dalla primavera 2020.
L’ampliamento delle libertà negate in assenza del così chiamato Green Pass, segna un ulteriore
accelerazione verso la piena manifestazione del fenomeno con cui siamo chiamati a confrontarci.
La pressione monta ulteriormente verso chi scelleratamente ancora si ostina a ritenersi padrone del proprio
corpo e non intende bere dal calice del salvifico Graal vaccinale.
A poco servono le obbiezioni riguardanti la sperimentalità del trattamento, la totale assenza di conoscenza
riguardo possibili effetti avversi a medio e lungo termine.
A nulla serve appellarsi alla costituzione, a Norimberga, a Oviedo.
Lo Scientismo dilaga e rinnegando ogni forma di dibattito asfalta le basi proprie della Scienza medica.
I principi di dimostrabilità e confutazione, di precauzione (primum non nocere) vengono sepolti sotto il
peso del nuovo pensiero magico. Il vaccino innalzato al livello di sacramento eucaristico dal primo giorno di
narrazione pandemica è l’unica soluzione per uscire da questa pandemia.
Lo Scientismo non ha bisogno di dover spiegar nulla, nemmeno come sia possibile che i dati di “infezioni” e
ospedalizzazioni siano peggiori quest’anno in Italia con un 50% della popolazione vaccinata rispetto allo
stesso periodo dell’anno scorso senza vaccini, oppure perché i numeri relativi alle “nuove varianti” abbiano
maggiore incidenza proprio nei paesi che più di tutti hanno vaccinato (Israele ed Inghilterra).
Lo Scientismo diviene pensiero unico grazie ad un fuoco di copertura mediatico senza precedenti. Per fare
solo un esempio nonostante fonti ufficiali e pubblicamente consultabili, vale a dire EudraVigilance
(UE,SEE,Svizzera), Mhra (Regno Unito) e Vaers (USA), abbiano registrato più lesioni e decessi correlati alla
vaccinazione dal lancio dei preparati “anti Covid” rispetto a tutti i vaccini precedenti messi insieme fin
dall’inizio storico delle registrazioni, no vi è di ciò menzione alcuna sulla stampa ufficiale.
Non esiste alternativa, chi parla di cure precoci, di necessità di tornare ad investire nella sanità, chi mette in
dubbio l’efficacia e il rapporto costo-beneficio del siero salvavita, per quanto eminente fosse nell’era ante
pandemia, ora deve tacere.
Immediata viene richiesta pubblica abiura. Esemplificativo il caso di Crisanti che dopo aver dichiarato a fine
novembre scorso: “con i dati attualmente a disposizione non mi vaccinerò” a distanza di pochi giorni
rinnegava satana offrendo il braccio in diretta televisiva.
Per chi invece sceglie di non abiurare e si ostina a chiedere trasparenza e dibattito la condanna è
l’ostracismo, la gogna mediatica, i provvedimenti disciplinari ove possibile. Forse in un giorno non lontano il
rogo purificatore.
Molti fra coloro che non erano stati piegati al vaccino da mesi e mesi di puro terrorismo mediatico sul
Covid, si stanno prestando ora alla condizione di cavie umane spinte dalla negazione di elementari diritti
civici e dell’individuo.
Costoro non percepiscono che piegandosi a questi meschini ricatti si infilano in una gabbia più stretta della
precedente; verranno peraltro presto scatenati come massa critica verso chi ha deciso di non uniformarsi,
giocando su una polarizzazione che porta al divide et impera.
Non si illudano costoro, ubbidendo a testa bassa il risultato sarà catastrofico, e questo emergenzialismo che
si autoalimenta non finirà mai. Basti pensare ai nuovi criteri annunciati per i colori delle restrizioni nelle
regioni, con soglie da giallo con 10% delle rianimazioni occupate (si noti che nell’ultimo decennio per tutta la stagione influenzale in Italia si è viaggiato ad una media del 70% delle intensive occupate, soprattutto a
causa di costanti tagli operati dai filantropi che ora vogliono salvarci la pelle ad ogni costo). In pratica al
Molise, con 39 letti posti in terapia intensiva disponibili basteranno 4 ricoverati per far scattare l’allerta.
In altri termini questo significa fine emergenza MAI.
Solo rifiuto e resistenza di una parte consistente della popolazione potrebbero spezzare la spirale
emergenziale e ottenere un cambio di paradigma. Un esempio concreto è il risultato della milionaria
manifestazione di Londra del 26 Giugno scorso che ha portato in pochi giorni a un ribaltamento del discorso
governativo; con un nuovo ministro della sanità che definisce la terribile variante Delta poco più di un
raffreddore con cui bisogna convivere, e ammette che obbligando il sistema sanitario a trascurare ogni altra
patologia in nome della lotta al Covid si è ottenuta una catastrofe ben maggiore.
Altra prova di quanto la resistenza paga è la notizia, di queste ore, che per il personale sanitario del Veneto,
le sospensioni dal servizio per il personale non vaccinato (primo caso di obbligo di categoria al mondo)
saranno congelate; se confermate avrebbero infatti comportato lacune negli organici (già stringatissimi) tali
da non poter garantire il funzionamento del servizio sanitario.
Fronte al clima di assedio contro chi non intende cedere al ricatto, che già assume a livello semantico i
connotati di una operazione militare (si parla apertamente di disertori a cui dare la caccia, di renitenti da
stanare) urge una presa di coscienza a cui faccia seguito resistenza costante ed attiva.
Un regime totalitario prende piede passo dopo passo attraverso un climax di provvedimenti restrittivi e
repressione. Gli stessi italiani del secolo scorso si trovarono proiettati nel fascismo attraverso una spirale di
eventi che non possono essere colti dalle masse mentre li si attraversa. Solo la liberazione e la successiva
storiografia hanno in parte messo a nudo la tirannia del ventennio.
Per chi come noi dall’esperienza storica della resistenza trae ispirazione e linfa vitale, è doveroso farsi
sentire nelle piazze, superando anche i mal di pancia dovuti alla probabile copresenza di figure che
appartenenti al milieu opposto e contrario.
La vergognosa attitudine della sinistra istituzionale (e purtroppo non solo) che si fa carnefice delle più
elementari libertà di un popolo, lasciando paradossalmente l’estrema destra sul piedistallo della difesa dei
diritti dell’individuo; lungi dal rappresentare un ostacolo, questo deve essere per noi ulteriore stimolo a
portare i nostri contenuti, smascherando populismi e false propagande tese a fornire false soluzioni al
problema.
Ancora una volta ribadiamo che quella in atto è la strumentalizzazione di una emergenza sanitaria
(ingigantita mediaticamente e alimentata da decenni di tagli alla sanità pubblica e alla medicina del
territorio) tesa a legittimare una stretta autoritaria imposta dall’oligarchia finanziaria dominante.In altre
parole lotta di classe dall’alto. Per questa ragione l’unica nostra risposta valida per la difesa delle nostre
libertà e dei nostri corpi sarà lotta di classe dal basso.
Muovendo dal presupposto che sono finiti i tempi in cui si è vissuto sulla rendita di lotte passate, portate
avanti con il sangue da precedenti generazioni.
Gli spazi di agibilità civile e politica che quelle lotte hanno generato, e che hanno permesso a molti di
simulare conflitto negli ultimi 40 anni, possono dirsi esauriti. Chi sceglierà ancora una volta di schierarsi e
battersi per il futuro nostro e delle generazioni a venire ancora una volta dovrà farlo con molti concreti
sacrifici sul proprio corpo; e per come stiamo messi ora, la strada sarà lunga, tortuosa e gli esiti incerti. Ma
come ben sappiamo chi non lotta ha già perso, e in qualche modo è già morto.
Winston

Estate (ricreazione) 2021.

A 20 anni dal G8 di Genova 2

venerdì, Luglio 23rd, 2021

Prosegue con questo secondo scritto l’analisi e il racconto delle giornate di protesta e proposta contro del G8 svoltosi a Genova nel luglio del 2001.  A 20 anni di distanza da quei fatti ciò che troppo spesso resta nelle nostre memorie sono le violenze di quei giorni che hanno avuto il suo culmine con l’uccisione di Carlo Giuliani.

Il G8 di Genova ha per certi versi rappresentato un punto di svolta sia per le tecnologie utilizzate per “dissuadere” e contenere i manifestanti, ad esempio con l’uso di gas lacrimogeni normalmente utilizzati in teatri di guerra, che per gli episodi di violenza organizzati e le sospensioni ripetute e pianificate a tavolino delle libertà personali dagli allora vertici al comando nominati dall’allora governo Berlusconi.

La scelta di mandare a macellare i manifestanti nelle strade, come con i pacifisti con le mani dipinte di bianco alzate caricati a freddo, o nella scuola Diaz o i soprusi della caserma di Bolzaneto dove le forze dell’ordine picchiavano i fermati al coro di “un due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove” hanno portato a processi con condanne oggi definitive, sia per chi ha ordinato quelle torture che per chi le ha eseguite ma anche per chi ha depistato le indagini successive.

La cosa che sorprende, ma neanche troppo, è vedere come le stesse persone condannate per quegli episodi siano negli anni state sempre promosse e abbiano potuto continuare a ricoprire dei posti di comando nella gestione della sicurezza nazionale.

Come Gilberto Caldarozzi allora numero due dello Sco (servizio centrale operativo, unità che coordina le squadre mobili delle questure italiane) condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per aver partecipato alla creazione di false prove, nel 2017 nominato vicedirettore della Dia, direzione investigativa antimafia.

O come Francesco Gratteri condannato per falso aggravato per l’irruzione alla scuola Diaz che oggi dichiara che fu ingannato e che non deve chiedere scusa, ingannato da chi e perché non è dato sapersi; o di Gianni de Gennaro capo della polizia durante il G8, per cui l’Italia è stata condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo per non avere impedito le torture, sempre promosso a posti di comando e sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo Monti. Dal 2013 al 2020 è stato presidente dell’azienda Leonardo (ex Finmeccanica), fiore all’occhiello dell’industria della morte italiana.

Lo scorso novembre è stata approvata dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e dal capo della Polizia Franco Gabrielli la promozione a vicequestori di due funzionari di polizia condannati in via definitiva per le false molotov alla scuola Diaz; molotov che hanno costituito l’alibi perfetto per l’irruzione di quegli sgherri e i successivi pestaggi indiscriminati.

Solo alcuni nomi che però ci indicano chiaramente come lo stato i suoi più fedeli e zelanti servitori li ha sempre premiati.

E se i processi hanno forse accertato solo una piccola, minuscola parte di verità, parziale e troppo spesso funzionale, da Genova ad oggi la presenza delle forze dell’ordine e la necessità di controllo preventivo, fatto passare come sicurezza, hanno sempre avuto maggiore peso nelle nostre vite e si sono acuite col periodo covid.

Abbiamo sotto gli occhi i video la spedizione punitiva dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere contro i detenuti che hanno osato rivoltarsi contro la gestione pendemica, che dovrebbero far sobbalzare anche il più convinto democratico o le cariche a freddo subite dai facchini in protesta recentemente passate alle cronache per la morte di Adil Belakhdim, delegato sindacale, investito da un camionista.

E possiamo chiedere che vengano approvati in sede parlamentare il reato di tortura o i numeri identificativi per le forze dell’ ordine ma senza avere chiaro che dare sempre maggiore spazio d’azione, impunità e potere a queste categorie in nome della sicurezza può avere solo l’effetto descritto da Benjamin Franklin padre fondatore degli Stati Uniti d’America, non certo un pericoloso manifestante: “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza.”

E se della loro sicurezza poco ce ne facciamo della libertà ce ne occupiamo assai perché Genova come le rivolte carcerarie o come i pestaggi subiti dai facchini in sciopero hanno dimostrano come si possa continuare a parlare di casi isolati, di servitori infedeli o di mele marce che però se vengono continuamente promosse per il loro operato renderanno prima o poi necessario tagliare l’albero dalle sue radici.

E questa volontà di cambiamento è stata anima di quelle giornate e spirito della nostra quotidianità.

Al prossimo articolo.

 

A 20 anni dal G8 di Genova 1

sabato, Luglio 17th, 2021

A 20 anni dalle giornate di Genova, quando dal 19 al 22 luglio 2001 nel capoluogo ligure si riunirono i capi di governo degli 8 paesi più industrializzati per discutere del futuro del mondo, ci sembra giusto parlare di quei momenti raccontando ciò che fu, cercando di analizzare quell’esperienza e raccogliendo quella sorta di “eredità” e lo faremo in tre articoli approfondendo le connessioni tra allora e il periodo contingente, le violenze di quei giorni e quelle di oggi e cercando alcuni spunti per il futuro.

Tra i punti trattati nel vertice ufficiale ci fu la cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo e la lotta alla povertà, lo squilibrio nelle conoscenze tecnologiche, l’ambiente, l’architettura finanziaria e la democratizzazione mondiale.

Parallelamente fu organizzato un contro vertice molto partecipato e numerosi cortei più o meno pacifici volti a interrompere o disturbare la tavola rotonda dei potenti asserragliati in un’area militarizzata chiamata zona rossa, la prima delle tante che poi si sono succedute.

Quelle giornate videro una delle mobilitazioni più importanti del ventunesimo secolo, organizzate da quello che fu allora chiamato movimento “no global”, semplificazione giornalistica per raggruppare le numerosissime voci che animarono quei cortei e quelle idee, che culminò con degli scontri molto pesanti, numerosissimi abusi e la morte del giovane Carlo Giuliani freddato con un colpo di pistola sul viso da un carabiniere.

A due decenni di distanza in un mondo stravolto rispetto ad allora ci sembra doveroso cominciare questa analisi dal tema forse più trasversale della lotta, quello del lavoro anche alla luce del periodo più o meno pandemico che stiamo attraversando e che ha evidenziato come il divario tra le classi subalterne e lavoratrici e i poteri economici e finanziari si sia ampliato.

Un enorme divario, un modello di società uscito dal vertice che ha avuto la sua quasi definitiva affermazione, tant’è che oggi vediamo aziende con dei bilanci pari o superiori a quelli di uno stato e vediamo quel tipo di organizzazione societaria traslato nelle nostre quotidianità.

Aziende come Amazon che ha chiuso il 2020 con un fatturato di 125,56 miliardi di dollari a livello mondiale, in Italia 1,1, miliardi ha imposto a livello globale  quel modello aziendale e sono numerose le analisi volte a fare emergere quella strategia aziendale volta alla trasformazione della forza lavoro a macchine, costantemente tracciate e monitorate affinché la produttività non scenda mai dai livelli “pianificati” forza lavoro che se improduttiva può essere semplicemente sostituita, scartata o rottamata.

Di fronte a queste sproporzioni tra la forza economica e finanziaria e quella lavoratrice, alla flessibilità lavorativa che quel vertice trattò e che oggi sappiamo essersi tradotta in precarietà e vite meno sicure, troviamo assolutamente attuali le tante riflessioni e proposte del controvertice che trattarono di un mondo più locale seppur interconnesso e di un mondo più lento e liberato dall’affanno dell’accumulo capitalista, temi che crediamo siano davvero centrali per il nostro presente e il nostro futuro.

A Genova in un mondo in forte evoluzione, anche se pre smart-life, questa idea di società interconnessa e funzionale al sistema economico fu pensata e pianificata da quelli che allora furono più o meno assediati in quella zona rossa che tante analogie col presente oggi ha.

Una zona invalicabile, controllata e difesa da cerberi armati che può/deve essere spazzata via in un secondo, con una scelta consapevole che il futuro e le nostre libertà sono ancora nelle nostre mani o, con amarezza, nel nostro portafogli.