A 20 anni dal G8 di Genova 1

A 20 anni dalle giornate di Genova, quando dal 19 al 22 luglio 2001 nel capoluogo ligure si riunirono i capi di governo degli 8 paesi più industrializzati per discutere del futuro del mondo, ci sembra giusto parlare di quei momenti raccontando ciò che fu, cercando di analizzare quell’esperienza e raccogliendo quella sorta di “eredità” e lo faremo in tre articoli approfondendo le connessioni tra allora e il periodo contingente, le violenze di quei giorni e quelle di oggi e cercando alcuni spunti per il futuro.

Tra i punti trattati nel vertice ufficiale ci fu la cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo e la lotta alla povertà, lo squilibrio nelle conoscenze tecnologiche, l’ambiente, l’architettura finanziaria e la democratizzazione mondiale.

Parallelamente fu organizzato un contro vertice molto partecipato e numerosi cortei più o meno pacifici volti a interrompere o disturbare la tavola rotonda dei potenti asserragliati in un’area militarizzata chiamata zona rossa, la prima delle tante che poi si sono succedute.

Quelle giornate videro una delle mobilitazioni più importanti del ventunesimo secolo, organizzate da quello che fu allora chiamato movimento “no global”, semplificazione giornalistica per raggruppare le numerosissime voci che animarono quei cortei e quelle idee, che culminò con degli scontri molto pesanti, numerosissimi abusi e la morte del giovane Carlo Giuliani freddato con un colpo di pistola sul viso da un carabiniere.

A due decenni di distanza in un mondo stravolto rispetto ad allora ci sembra doveroso cominciare questa analisi dal tema forse più trasversale della lotta, quello del lavoro anche alla luce del periodo più o meno pandemico che stiamo attraversando e che ha evidenziato come il divario tra le classi subalterne e lavoratrici e i poteri economici e finanziari si sia ampliato.

Un enorme divario, un modello di società uscito dal vertice che ha avuto la sua quasi definitiva affermazione, tant’è che oggi vediamo aziende con dei bilanci pari o superiori a quelli di uno stato e vediamo quel tipo di organizzazione societaria traslato nelle nostre quotidianità.

Aziende come Amazon che ha chiuso il 2020 con un fatturato di 125,56 miliardi di dollari a livello mondiale, in Italia 1,1, miliardi ha imposto a livello globale  quel modello aziendale e sono numerose le analisi volte a fare emergere quella strategia aziendale volta alla trasformazione della forza lavoro a macchine, costantemente tracciate e monitorate affinché la produttività non scenda mai dai livelli “pianificati” forza lavoro che se improduttiva può essere semplicemente sostituita, scartata o rottamata.

Di fronte a queste sproporzioni tra la forza economica e finanziaria e quella lavoratrice, alla flessibilità lavorativa che quel vertice trattò e che oggi sappiamo essersi tradotta in precarietà e vite meno sicure, troviamo assolutamente attuali le tante riflessioni e proposte del controvertice che trattarono di un mondo più locale seppur interconnesso e di un mondo più lento e liberato dall’affanno dell’accumulo capitalista, temi che crediamo siano davvero centrali per il nostro presente e il nostro futuro.

A Genova in un mondo in forte evoluzione, anche se pre smart-life, questa idea di società interconnessa e funzionale al sistema economico fu pensata e pianificata da quelli che allora furono più o meno assediati in quella zona rossa che tante analogie col presente oggi ha.

Una zona invalicabile, controllata e difesa da cerberi armati che può/deve essere spazzata via in un secondo, con una scelta consapevole che il futuro e le nostre libertà sono ancora nelle nostre mani o, con amarezza, nel nostro portafogli.

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