Morte accidentale di un medico

Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l’uno dall’altro e non vivono soli… a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può essere disfatto.

Orwell, 1984

Martedì 27 luglio è stato rinvenuto nella sua abitazione di Eremo di Curtatone il corpo senza vita del Dott. Giuseppe De Donno. Esce di scena senza far troppo rumore sui media nazionali una figura rivelatasi molto scomoda per il pensiero unico del terapeuticamente corretto.

A poco servirebbe speculare chiedendosi se il padre della cura al plasma iperimmune contro il Covid si sia effettivamente suicidato o sia stato suicidato; si rischierebbe, visto i pochi elementi a disposizione, di smarrirsi in ipotesi che darebbero adito ad accuse di complottismo perdendo di vista il nocciolo della questione.

La procura di Mantova ha aperto un’inchiesta per valutare eventuali responsabilità di terzi per istigazione al suicidio. Noi, e con noi chiunque ancora possa fare un uso lucido e logico del pensiero, non dobbiamo attendere la chiusura di quelle indagini per poter dire a voce alta che si, l’ex primario del Carlo Poma di Mantova ha subito pesantissime pressioni finalizzate a gettar discredito sul protocollo di cura messo a punto da lui e dalla sua equipe.

La cura con il plasma iperimmune, ottenuto con il sangue dei guariti, che pure aveva dato inequivocabili ottimi risultati nella sperimentazione da lui condotta (all’ospedale di Mantova su una cinquantina di pazienti trattati, tutti già con forti insufficienze respiratorie, l’esito di guarigione era stato del 100%) è stata metodicamente censurata.

Un primo segnale intimidatorio per De Donno arrivò a inizio maggio 2020 manifestandosi con la visita del NAS dei carabinieri nel suo reparto del Carlo Poma. Nel frattempo prendeva forma una indegna campagna di denigrazione mediatica, con tutti i virologi da salotto pronti ad ogni sorta di acrobazia per gettare dubbi e fango sulla proposta terapeutica portata avanti da De Donno e sulla sua persona. Le comparsate televisive del medico mantovano, dopo un primo fugace momento di visibilità, cominciarono a scivolare in terza serata fino a scomparire. Le sue pagine sui socials, che sin da subito sin sono prodigati per la costruzione del dogma pandemico, vennero a più riprese oscurate. L’Agenzia Italiana del Farmaco e l’Istituto Superiore di Sanità, celermente privarono il Carlo Poma dell’autorizzazione a continuare le sperimentazioni; che furono assegnate a Pisa senza alcuna apparente logica, se non quella di insabbiarle, cosa che puntualmente si è verificata. La narrazione pandemica era agli albori, ma già si parlava di vaccino come unica possibile via di uscita; i miliardari profitti all’orizzonte, e le nuove forme di controllo sociale legate all’emergenza permanente non potevano in nessun modo essere minati dal manifestarsi di cure efficaci, per giunta con il terribile difetto di costare pochissimo.

Poche settimane orsono De Donno ha deciso di dimettersi dal ruolo di primario di Pneumologia dell’ospedale mantovano, per esercitare come medico di base. Oltre alle pressioni ricevute, probabilmente avrà giocato un peso decisivo in questa sua scelta, la raggiunta consapevolezza che oramai in quel ruolo ogni via per una medicina onesta e libera dalle logiche del profitto gli era preclusa. Chissà quale possa essere stato il suo stato d’animo dopo aver appreso che l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha da ottobre 2021 approvato l’utilizzo di cinque cure contro il Covid, quattro delle quali basate sull’utilizzo di anticorpi monoclonali.

In parole povere una riproduzione sintetica in laboratorio degli anticorpi presenti nel plasma iperimmune.
De Donno amava dire che la sua cura era democratica in quanto il popolo donava al popolo (provate ad immaginare quale enorme campagna di solidarietà si sarebbe potuta scatenare per riempire le banche del plasma). La terapia con gli anticorpi monoclonali costerà invece circa 2.000 euro a trattamento. Chi ancora non ammette che la sanità nelle mani del neoliberismo, non punta alla cura del paziente ma a quella del fatturato o è ignorante o è in malafede.
Gli attori che ci stanno trascinando in questo baratro non hanno sulla coscienza solo il Dottor Giuseppe De Donno; sono anche i responsabili materiali della morte di migliaia di persone che potevano essere facilmente curate.

Unica via di uscita la mobilitazione popolare di chi ancora conserva dignità umana; la resistenza attiva da contrapporre alle richieste di resilienza del sistema. Nella speranza che un giorno la Storia possa chiamare la gestione di questa parabola pandemica con il suo vero nome: crimine contro l’umanità.

 

Le risposte di De Donno al Senato (14-05-2020).

Inizierò con la domanda più frequente. Perché Pisa?

Non lo so e sono sconcertato.
Qualsiasi città lombarda andava bene. Non venitemi a dire che la Toscana si è organizzata meglio perché parliamo di cose scientifiche e non politiche. Io non voglio nessun merito, i meriti sono di Baldanti, Franchini e Perotti. Pisa non è in grado, ma perché noi siamo stati colpiti in modo forte, mentre il loro protocollo riguarda cinque regioni che non sono state colpite. Che non mi vengano a dire che si tratta di motivazioni scientifiche perché non ci credo. Per quanto riguarda la diffusione mediatica, devo dire che noi siamo stati relegati da subito in seconda fascia, alle 23.50, mentre il solito virologo che ha detto tutto e il contrario di tutto era onnipresente in prima fascia, probabilmente anche pagato. Sarei molto interessato a sapere questo, perché uno scienziato che viene pagato non è uno scienziato credibile.
Io ho chiuso la libera professione all’inizio di tutto questo, con grossi danni personali, ma va bene perché la scienza è di tutti e noi siamo dei missionari.

Ora le risposte sul piano clinico: stiamo avviando gli studi di follow-up perché molti pazienti colpiti duramente potranno sviluppare delle fibrosi polmonari. Lo vedremo con il tempo. Posso dirvi a pelle che i pazienti che hanno fatto il plasma hanno meno esiti a livello polmonare. Altra domanda frequente è stata sulla disponibilità del plasma per tutti.

Siamo stati in guerra finora e dobbiamo avere le banche del plasma, e per questo mi sono scagliato contro chi mette dubbi in testa ai cittadini. Il nostro sistema trasfusionale è il più sicuro al mondo, e poiché abbiamo moltissimi guariti potremmo avere plasma in grandi quantità. Noi non siamo contrari al vaccino ma ci vorrà tempo, un vaccino fatto in
tre mesi non lo farei mai. Il vaccino previene ma non cura.
Per curare dobbiamo avere un’arma, e l’unica che abbiamo come proiettile magico è il plasma iperimmune. Sulle caratteristiche dei pazienti noi sappiamo che i pazienti in rianimazione rispondo di meno, ma è normale, perché in quella fase i danni sono molto forti. Sulle caratteristiche dei donatori, possono donare tutti i guariti. Dipende dalla
quantità di anticorpi neutralizzanti che il virus ha prodotto nel guarito donatore. Ecco perché facciamo i test di neutralizzazione. Ho utilizzato sieri più o meno concentrati di immunoglobuline con ottimi risultati. Sulle banche del plasma deve aiutarci la politica. Deve coordinare, noi dobbiamo fare gli scienziati. Zaia ha già fatto un percorso di implementazione delle donazioni, con clip che ha mandato in giro in tutta la regione. La Lombardia si sta adoperando, e sono moltissimi i protocolli che stanno nascendo nel mondo, uno di essi arruolerà cinquantamila pazienti. La scienza è una, il ministro della salute non deve mettere gli scienziati uno contro l’altro.

Non esiste colore nella scienza. Tutti salgono ora sul carro del plasma, ma va benissimo. Che tutti usino il plasma.

Winston

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