L’invasione italiana della Jugoslavia

Dei fanti e alpini devoti alla mamma e delle vie di Bondone e Baitoni.

Una ricorrenza in questi giorni è passata in sordina, l’indigestione di notizie legate al periodo pandemico ha tolto lo spazio a tutto il resto. Stiamo parlando dell’invasione della Jugoslavia che lo scorso 6 aprile ha festeggiato, se così si può dire, l’ottantesimo anniversario.

Il 6 aprile 1941 le truppe fasciste italiane e naziste tedesche con altri alleati diedero il via all’Operazione 25, nome in codice dell’invasione del Regno di jugoslavia.

Una invasione senza neppure una formale dichiarazione di guerra che, come usanza dell’epoca, veniva presentata dall’ambasciatore nelle mani del governo nemico, ennesima riprova della miopia dei governi nazionalisti alla faccia di chi ancora oggi parla di onore di quei regimi (dichiarazione che anche qualora fosse stata presentata nulla avrebbe tolto alle nefandezze e viltà di quei regimi).

Una invasione che ha avuto come prima conseguenza la capitolazione dell’esercito jugoslavo e successivamente la spartizione dei territori. All’Italia fascista toccarono parte della Slovenia, della zona costiera croata e di parte del Montenegro e Albania.

Da quel momento presa il via l’opera di pulizia etnica e di soprusi , confermati dalla viva voce del duce che nel 1943, ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, due anni dopo dell’invasione, disse: “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”.

Questa data ha un significato molto particolare per chi quei crimini li ha subiti e questo giorno in quei paesi è ampiamente ricordato . Per rendersi conto di quello che è stata l’occupazione italiana di quelle aree è sufficiente passeggiare per i paesi croati o sloveni; uno stillicidio di targhe in ricordo dei caduti, delle centinaia di crimini e violenze, esodi forzati, stupri e privazioni perpetuati dai malefici italiani, dagli alpini e fanti devoti alla mamma e alla patria.

Violenze documentate che andrebbero ricordate annualmente anche soprattutto a chi vuole la giornata del ricordo del 10 febbraio eretta a monumento nazionale, il ricordo che pone al centro dell’attenzione le conseguenze (sempre terribili anche se funzionalmente sovrastimate) e non le cause date dalle proprie responsabilità.

Insomma un giorno dove il ricordo lasci spazio alla memoria storica, condivisa. Ovvio non per i fascisti o i nazionalisti di sorta.

Oggi anche nei nostri paesi troviamo i segni di quel periodo.

Li troviamo nella memoria ma anche nell’intitolazione di alcune vie e sembra assurdo che dopo più di 80 anni ci siano ancora. Stiamo parlando delle intitolazioni approvate nel 1939 dal Podestà di Storo che a Baitoni e Bondoni (al tempo i 2 paesi furono aggregati al comune di Storo con Darzo e Lodrone) procedette con l’intitolazione di alcune via a fascisti della prima ora, come Tullio Baroni e Tito Minniti a Bondone e Aldo Sette a Baitoni.

Sarebbe davvero bello che quelle intitolazioni lasciassero spazio ada una nuova consapevolezza conseguente ad una vera presa di coscienza delle responsabilità perché è davvero assurdo che a più di 80 anni di distanza ci sia ancora il ricordo di queste figure che hanno contribuito a rendere il mondo un posto peggiore.

La biografia legata alle nostre responsabilità è enorme, sta solo alla nostra volontà farlo.

Nel rispetto di quelle sofferenze e di tutte le nostre responsabilità.

Valsabbin* Refrattar*

Nella foto: Donna Jugoslava poco prima di essere fucilata da soldati italiani.

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