Il nemico alle porte

Ad un mese e mezzo dell’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina sono tante le sensazioni che ci pervadono e ci attraversano e tanta è la rabbia per questa guerra.

Sono stati e sono giorni concitati dove oltre al frastuono delle esplosioni prosegue incessante il bombardamento mediatico di notizie, dove diventa quasi impossibile scindere la realtà dalla finzione e dove la vita e la morte non sono altro che una fiction, una prima tv che ci deve aspetta di fronte al divano.

Ciò che emerso palese è la posizione dell’occidente che al primo squillar di trombe si è attruppato e indossato l’elmetto della propaganda, al grido di armatevi e partite, ha immediatamente appoggiato una linea belligerante e interventista a sostegno tout court di un paese, l’Ucraina, certamente invaso e che ben rappresenta la frontiera delle nuove “land of freedom”: ipernazionaliste e per certi versi reazionarie.

Un po’ di stupore, ma neanche troppo, abbiamo imparato bene a conoscere i nostrani democratici che proni alle indicazioni atlantiste non hanno nemmeno mostrato la solita faccia ipocrita che li contraddistingue e che li ha visti alla meglio girare il viso di fronte ai peggiori massacri in giro per il mondo quando al peggio pure sostenere; la ragion di stato è chiara fin da subito: la pace “non s’ha da fare”.

L’abbiamo conosciuta, affrontata e contrastata in questi anni la loro doppia morale, dove la ratio economica ha sempre avuto il sopravvento rispetto a tutto ed oggi, in prima linea anzi in trincea vediamo gli esponenti di quel partito che porta proprio nel nome la parola democrazia.

In trincea forse no, in fureria come citava Sordi parlando dei romani nello straordinario film di Monicelli “La Grande Guerra” e che sarebbe da rivedere, ma sicuramente all’avanguardia della svolta azionista.

Non è un caso che esponenti di spicco di questo partito oggi ricoprano posizioni chiave in quegli asset definiti strategici del comparto difesa, utilizzando l’ennesimo neologismo che vuole mascherare ciò che in realtà è: l’industria bellica.

Alcuni nomi: Marco Minniti, una vita da democratico, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (governo D’Alema I e II) e ministro dell’interno del Governo Gentiloni ieri firmatario della legge che istituiva dei lager per migranti in Liba e oggi presidente della Fondazione Med-Or, fondazione che tratta con i principali regimi dal golfo persico al Marocco.

Nicola Latorre prima nei democratici di sinistra poi Ulivo e infine partito democratico, oggi direttore generale di Agenzia industria difesa, Fausto Recchia amministratore delegato di Difesa Servizi ed infine Alessandro Profumo Amministratore delegato di Leonardo Finmeccanica azienda con un fatturato da 13 miliardi attiva nella produzione di cacciabombardieri ed elicotteri pesanti, corvette, navi d’assalto e sottomarini, missili aria-terra e anti-nave, cannoni e mitragliatori e sistemi radar giusto per citarne alcuni.

Sono solo alcuni esempi, forse i più eclatanti, tanto da farci però sorgere il sospetto che questi sinceri democratici stiano appoggiando questa narrazione bellicosa non tanto, o meglio non solo, per supposti principi di internazionalismo e/o solidarietà dei popoli ma per i peggiori fini economici.

Va sottolineato poi come il 18 marzo scorso la camera con 367 voti a favore, 25 contro abbia votato per l’invio di armi in Ucraina e come il governo dei migliori stia cercando di imporre l’aumento della spesa militare al 2% del Pil, ossia da 25 a 38 miliardi; una mostruosità che in tempi di emergenza sanitaria rappresenta uno schiaffo in faccia alle bare di Bergamo e ai morti e alle politiche discriminatorie e illiberali promosse.

E se il pesce puzza dalla testa ci chiediamo come sia messo il resto del corpo, la base di questi partiti, che di fronte a questo scempio, a questo pacifismo di facciata, a questo interventismo acritico e interessato, allo stigma dato al nemico di turno, non alzi una voce forte e chiara contro la guerra, qualsiasi essa sia, e contro l’industria bellica che sta, lentamente come un cancro, uccidendo le nostre libertà.

Negli anni abbiamo potuto constatare come tutti quei valori, per loro democratici, siano pian piano stati sostituiti dall’unica cosa importante per questi politici, la gestione del potere a scapito proprio di quei principi dove il whatever it takes, a qualsiasi costo, non è orientato alla tutela dei propri ideali e della propria integrità ma alla difesa dei propri privilegi.

Il nemico è rappresentato oggi da chi finanzia l’industria bellica, da chi la dirige, da chi falsamente propugna ideali di pace seminando guerra e da chi difronte a tutto questo scempio tace.

Il nemico è alle porte, non dimentichiamolo.

Valsabbin* Refrattar*

 

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