Decreto insicurezza: la questione migrante

Febbraio 5th, 2019 by currac

Con questo articolo continuiamo l’analisi delle norme contenute nel decreto sicurezza, approvato lo scorso dicembre, soffermandoci su quell’aspetto di “lotta all’immigrazione” in esso contenuto.

Le norme prese in considerazione in questo articolo sono quelle contenute nel titolo I: “Disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei”.  Questa sezione si sviluppa in una ventina di capitoli, con l’intento di normare l’accesso, il concentramento, la selezione, e la messa a lavoro della manodopera migrante sul territorio nazionale.

L’analisi è assai complessa e richiederebbe molto spazio, cercheremo quindi di analizzare le situazioni dove è più evidente la contraddizione tra la propaganda con cui è ammantato questo decreto e la realtà normativa e sociale.

Lo facciamo partendo dall’articolo 2 “Prolungamento della durata massima del trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per il rimpatrio e disposizioni per la realizzazione dei medesimi centri” dove vengono definite le modalità per la costruzione di quelli che possono essere definiti campi di concentramento, non meno brutali di quelli costruiti in Libia conseguenti agli accordi tra l’allora ministro degli esteri Minniti (Pd) e i vari clan libici.

 

In questi campi verranno rinchiusi i migranti al fine di selezionarli come forza-lavoro, o di espellerli incrementando così anche i profitti della macchina delle espulsioni. Citiamo testualmente: “Al fine di assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione dei centri (…), per un periodo non superiore a tre anni (…) è autorizzato il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara”.

La solita Italia del malaffare dell’emergenza utile solo per fare profitto.

Viene inoltre prolungata la detenzione delle persone in attesa di espulsione, da 90 a 180 giorni, gran bel regalo per le cooperative ed i consorzi che si sono o che si aggiudicheranno gli appalti, ed ennesima menzogna di chi millanta di volere espellere tutti gli “irregolari” in tempi brevissimi.

Continuiamo poi con l’articolo 6, che tratta l’incremento dei fondi per finanziare il giro d’affari dei rimpatri. Anche qui citiamo testualmente: “Al fine di potenziare le misure di rimpatrio, il Fondo (…) è incrementato di 500000 euro per il 2018, di 1500000 euro per il 2019, e di 1500000 euro per il 2020”.

Senza entrare nel merito del concetto di rimpatrio ricordiamo solo che chi con una mano utilizza soldi pubblici per rimpatriare persone è lo stesso che con l’altra si è intascato 49 milioni di euro illecitamente e non si è nemmeno costituito parte civile nel processo ai ladroni, rendendosi così corresponsabile del furto. Quantomeno dubbia la sua posizione.

Da bambini ci hanno insegnato che è ladro chi ruba o tiene il sacco aperto ma anche chi si gira dall’altra parte per non vedere.

Se analizziamo l’affare che sta dietro al meccanismo delle espulsioni, i rimpatri prevedono costi e procedure onerosi il cui costo medio si aggira attorno ai 6000 euro a persona e rileviamo che, nel 2017, lo Stato ha realizzato 7000 rimpatri a fronte dei 32000 previsti. Dopo il “decreto sicurezza”, 40000 persone verranno espulse dai centri di “accoglienza” senza essere rimpatriati e senza documenti per lavorare entrando di fatto in una situazione di “clandestinità” (cifra che sarà destinata ad aumentare con il ridimensionamento della “seconda accoglienza”). Ci rendiamo così conto di quanta ipocrisia ci sia dietro ai discorsi della propaganda ufficiale e di come i problemi non vengano risolti e di come queste norme andranno solo ad aumentare il disagio sociale.

A partire dal capitolo 18, vengono articolati i nuovi permessi di soggiorno, con l’introduzione di cinque nuovi tipi: per protezione speciale, per calamità, per cure mediche, per atti di particolare valore civile e per casi speciali.

Tutti questi permessi sono caratterizzati dalla revoca di alcune misere tutele che erano garantite in precedenza, come l’impossibilità di accedere al servizio sanitario o alla difesa legale gratuita, fino ad arrivare alla riduzione del tempo di permanenza sul territorio nazionale.

L’intento è quello di trasformare il “profugo umanitario” in un migrante economico e come tale sfruttabile, con permessi di soggiorno sempre più precari e con tempistiche di permanenza legate alle esigenze dell’economia nazionale.

I cosiddetti “centri di seconda accoglienza” (SPRAR) ora potranno “accogliere” o solo minori non accompagnati (quindi le famiglie saranno deportate nei CPR centri di permanenza per il rimpatrio) o chi ha già ricevuto una delle tipologie di permesso di soggiorno temporaneo.

I cosiddetti “richiedenti asilo” verranno concentrati nei vecchi e nei nuovi CPR diffusi su tutto il territorio nazionale, un vero e proprio arcipelago di lager dove concentrare manodopera a disposizione di Stato ed imprenditori che lucrano sull’accoglienza, togliendoli dalla vista. Lo stato spenderà quindi soldi per la loro detezione anziché investirli in progetti di inserimento in cui lavorerebbe la gioventù formata italiana.

Alla faccia dei modelli virtuosi di accoglienza diffusa.

Ciò che è sicuro e che balza immediatamente all’occhio, è il regalo ulteriore fatto agli imprenditori italiani per avere a disposizione subito una grande massa di potenziali schiavi iper-ricattabili e che si dibattono in condizioni di sopravvivenza disumane. La classe imprenditoriale e terra tenente ricava profitto dallo sfruttamento della manodopera “clandestina” una media di 12,7 miliardi all’anno; nel mezzogiorno d’Italia “clandestino” è un lavoratore straniero su tre.

 

Negli ultimi anni, a causa degli accordi stipulati dall’UE con i governi di paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Libia, Tunisia, Marocco, Egitto e Algeria e paesi di transito come il Niger), oltre che attraverso protocolli d’intesa tra le polizie, il controllo delle frontiere esterne funziona sempre meglio, con un calo degli sbarchi pari a -87,12% rispetto al 2016 e -80,42% rispetto al 2017 (dati del ministero dell’interno dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 al 31/12/2018).

Guardando alla stretta sull’accoglienza, vediamo la diminuzione del finanziamento pro capite che passa dal tetto massimo dei 35€ a cifre che vanno dai 19 ai 26 € (il coupon giornaliero che arriva al migrante è di 2,50€, quando le cooperative rispettano le regole) e che comporta sempre meno servizi formativi ai migranti.

Con le nuove regole di accesso alle strutture d’accoglienza, si prediligeranno i grossi centri (Cas centri accoglienza straordinaria e Cara centri accoglienza per i richiedenti asilo) con una rimessa in discussione del (comunque poco utilizzato) sistema Sprar.

Vediamo come sia chiaro l’intento di non mettere “in sicurezza” la questione immigrazione ma anzi l’intento è quello di sregolare la gestione creando un migrante non istruito, a cui non viene insegnata una lingua, che non viene inserito in alcun percorso lavorativo, sempre più precario, insicuro e ricattabile. Spinto a delinquere per sopravvivere tornerà così utile al gioco politico messo in piedi

Abbiamo voluto chiamare questo articolo “questione migrante” con un chiaro riferimento alla tristemente nota questione ebraica.

Allora gli ebrei furono additati come anti patrioti, ladri e accusati di qualsiasi problema; per loro la propaganda portò all’approvazione delle norme che dapprima li isolarono e poi li eliminarono, norme speciali che furono pensate anche per le altre fasce o segmenti della società come per gli asociali, gli oppositori politici, i portatori di handicap, gli omosessuali insomma a tutti i “diversi“.

Oggi sappiamo come è andata, sappiamo quanta sofferenza c’è stata e sappiamo chi è stato sconfitto e come è stato sconfitto.

Sappiamo quanto disprezzo prova il potere per i poveri e come se ne serve per dividere la società potendo prosperare e fare affari impunemente.

Oggi le nostre armi vogliono essere una penna, una tastiera e un cervello pensante.

Non spegnete il cervello, non fatevi fregare dalla sicurezza, perché la storia ci insegna che le prime vittime della sicurezza sono i poveri e le nostre libertà.

 

Valsabbin* Refrattar*

Decreto insicurezza: caccia al povero

Gennaio 30th, 2019 by currac

Con questo secondo articolo continuiamo l’analisi delle norme contenute nel decreto sicurezza, approvato lo scorso dicembre, soffermandoci su quell’aspetto propagandistico di “lotta alla povertà” con cui si giustificano alcune di esse, e smascherando quella che nella realtà rappresenta un’ulteriore percossa ai poveri e alle loro manifestazioni di dissenso.

Parte di queste norme sono contenute nel Titolo III: “Disposizioni in materia di occupazione di immobili”, che verranno analizzate nel dettaglio; altre ne troviamo nella struttura con cui è stato pensato questo decreto, scritto nel solco di quelli approvati dagli ultimi governi.

Altro che “eliminazione della povertà”. Con il decreto Sicurezza e le modifiche che questo impone in materia di controllo sociale e gestione migranti quello che si profila è a tutti gli effetti ciò che senza imbarazzi possiamo definire una guerra dichiarata ai subalterni, volta a peggiorare le condizioni e le opportunità di vita dei meno abbienti – italiani e stranieri allo stesso modo – e a colpire chiunque alzi la testa.

Evitando fraintendimenti del tipo “e allora il PD?” precisiamo che l’acclamato decreto si va ad inserire in perfetta continuità con le politiche dei governi precedenti, condito solamente da una propaganda di diverso colore.

Dietro le quinte continua la costante riduzione dei diritti dei lavoratori e le manovre penali che vanno a colpire, come abbiamo visto nel primo articolo, le forme che si sono date maggiormente le lotte sociali nell’ultimo decennio, dal blocco stradale al corteo spontaneo, dal picchetto all’occupazione di immobili per far fronte all’emergenza abitativa.

 

A tal proposito il “Piano casa” del governo Renzi nel 2014 introdusse “Norme specifiche per la lotta all’occupazione abusiva di immobili”, bloccando la possibilità di richiedere la residenza e l’allacciamento a pubblici servizi di luce, acqua e gas a chi occupava una casa abusivamente.

Oggi col decreto viene colpita la possibilità di avere un alloggio per i poveri, aumentando considerevolmente le pene per gli occupanti, e prevede dei censimenti (di cui se ne occupano anche aziende a partecipazione privata) sulle occupazioni di immobili e dei piani provinciali per meglio eseguire i provvedimenti di sgombero.

Facile immaginare che al posto di ottimizzare, migliorare e meglio gestire le pubbliche assegnazioni di un alloggio, vengono sempre più colpite le lotte sociali.

Come abbiamo visto anche nel primo articolo, il disegno è chiaro ed è diretto a penalizzare pesantemente tutte le forme di dissenso.

 

Insomma, con il decreto Sicurezza il governo intensifica il controllo sociale e lascia sempre meno spazio di libertà e opposizione. Incappare in contravvenzioni o peggio in sanzioni penali è molto più facile per chi non ha niente dal momento in cui nessun diritto è garantito e il costo sempre più alto della quotidianità impone la necessità perlomeno di un lavoro stabile. Il prezzo della “sicurezza”, è accettare la precarietà.

 

A proposito di precarietà, sempre in linea con i governi precedenti, vogliamo aprire una parentesi sul reddito di cittadinanza, introdotto come una svolta sul piano sociale, ma che possiamo considerare come parte di un sistema di sfruttamento.

Basti pensare che per mantenere l’assegno è necessario accettare lavori proposti sempre più lontano dalla propria residenza accettando quindi la prima proposta dell’agenzia interinale di turno.

Questo inoltre, data la maggior incidenza della povertà nel Sud Italia, vede in maggior ragione la necessità di migrare al Nord, dove il costo di vita ha una soglia più alta rispetto alla somma erogata, inizialmente prospettata ad un massimo di 780 euro e ritoccata al ribasso con gli ultimi sviluppi.

Reddito di “cittadinanza” (che ricordiamo non è concesso agli stranieri con meno di dieci anni di residenza) che non concede, casomai fosse possibile, la possibilità di accumulo (risparmio mensile) ma deve essere interamente consumato.

 

Col decreto sicurezza la precarizzazione e la ricattabilità la troviamo applicata anche ai migranti che dopo il lungo iter hanno acquisito il permesso di soggiorno e per i “casi speciali” di rilascio del permesso di soggiorno che sono vincolati ad un contratto a tempo indeterminato per mantenerlo; cosa che ha una sua logica ma che ovviamente li rende soggetti a qualsiasi tipo di intimidazione, per la felicità di cooperative e consorzi che si aggiudicano i grossi appalti e lucrano sullo sfruttamento utilizzando il ricatto come arma contrattuale.

 

Veri e propri regali alle imprese che da parte loro ricevono invece finanziamenti dallo stato e quelle che sembrano norme anti-divano sono in realtà una spinta verso le grinfie delle agenzie per l’impiego e un affarone per i soliti noti.

 

Poveri italiani e poveri migranti che condividono lo stesso destino fatto di precarietà e sfruttamento, alla faccia di chi utilizza slogan come “prima gli italiani”. Ci si dovrebbe chiedere quali…

 

La propaganda a cui siamo abituati e sulla quale innegabilmente l’attuale governo ha costruito la propria politica non può che precipitare di fronte ai fatti: la sicurezza che vogliamo è fatta di casa, sanità, lavoro e dignità e la lotta di cui necessita è quella allo sfruttamento e alla precarietà che ci vogliono imporre.

Non di leggi che si accaniscono sul migrante, di polizia e telecamere, pistole

elettriche e sanzioni per chi manifesta un’idea diversa o chiede diritti.

Invitiamo a riflettere su come queste mosse di governo stiano fortificando un sistema di gerarchizzazione e sorveglianza, riducendo la possibilità di esprimere dissenso. E a pensare, perché un giorno potreste trovarvi a dissentire e scoprirete che sarà troppo tardi.

 

Arrivederci al prossimo articolo

 

Valsabbin* Refrattar*

Decreto insicurezza

Gennaio 24th, 2019 by currac

Il 5 ottobre 2018 è entrato in vigore il decreto di legge n. 113 il cosiddetto decreto sicurezza, incluso tra i punti del “contratto di governo” stipulato dal Movimento 5 Stelle (che per semplicità nell’articolo abbrevieremo in m5s) e dalla Lega successivamente alla formazione del governo.
Il decreto, che incorpora misure sull’immigrazione, cosa alquanto strana e che già di per sé rende evidente l’intento propagandistico legando la sicurezza all’immigrazione, pone tra la sicurezza come punto fondamentale, con una serie di norme liberticide.
Questo è il primo articolo di tre che vogliono avere la presunzione di analizzare e criticare nella sostanza questo decreto, smontando pezzo pezzo l’alone propagandistico che lo circonda parlando nel dettaglio delle norme in esso contenute.
I 3 articoli tratteranno in ordine della lotta alla repressione e al dissenso, della non gestione della questione migrante e della lotta che da anni continua contro i poveri e non certo contro la povertà.
In questo primo articolo affronteremo quindi le norme che riguardano la lotta alla repressione e al dissenso contenute nel Titolo II del decreto, che riporta l’altisonante nome “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa”.
Lo vogliamo fare partendo dalle norme repressive che estendono il campo di applicazione del daspo anche alle persone semplicemente indagate.
Il daspo (acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) per chi non lo sapesse, è un provvedimento adottato per contenere e limitare l’accesso alle manifestazioni sportive degli ultras ed è stato esteso nel 2017 a molte categorie, categorie considerate socialmente pericolose come spacciatori o parcheggiatori abusivi ma anche a chi partecipa a manifestazioni pubbliche.
Con l’articolo 20 del decreto sicurezza si estende l’ambito di applicazione del divieto ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, fiere, mercati, spettacoli pubblici, e forse anche presidi sanitari anche a chi è solo indagato e considerando che il daspo è un provvedimento poliziesco emanato dal questore, dal sindaco o dal prefetto senza passare dal potere giudiziario, ci deve fare riflettere sull’intento che muove il suo utilizzo.
Fatto degli ultimi giorni è l’approvazione da parte del consiglio comunale di Lonato del daspo urbano a 13 persone che hanno avuto solo la colpa di presentarsi muniti di uno striscione ad un’assemblea indetta dalla Coldiretti sul tema della Tav.
In questo link trovate le motivazioni che hanno spinto il consiglio comunale ad approvare il daspo. Se questa non è repressione di una forma pacifica del dissenso non sappiamo cosa sia.
https://www.comune.lonato.bs.it/comunicato_stampa/applicato-il-%E2%80%9Cdaspo-urbano%E2%80%9D-ai-disturbatori-del-convegno-coldiretti
Il primo daspo urbano in provincia di Brescia è stato dato proprio nella nostra valle ad uno spacciatore di Idro. Riscontriamo che il suo temporaneo allontanamento non ha certo risolto il problema della droga in valle, ma questo aspetto forse ci fa balzare agli occhi che la repressione senza prevenzione non potrà mai risolvere un problema così, ma forse questo è un altro discorso
Continuiamo parlando delle norme che autorizzano la sperimentazione del taser per i comuni con più di 100000 abitanti. Il taser è una pistola che lancia una scossa elettrica che vogliono far passare come strumento contenitivo. In realtà è un’arma offensiva a tutti gli effetti e questo aspetto lo riscontriamo nelle ricerche effettuate nei paesi che già lo utilizzano. Negli stati uniti d’America si contano più di 1000 morti dalla sua introduzione e il 90% delle persone uccise con questa arma risultavano disarmate (dati Amnesty international). Al di là della sua mortalità, chi lo utilizza è consapevole e formato sulla sua pericolosità? Non ci è dato sapere.
Assurdo è poi l’innalzamento delle pene da 2 ad un massimo di 12 anni per chi effettua un blocco stradale, blocco stradale che è tra i principali metodi di manifestazione pacifica del dissenso.
Fa veramente ridere ed è dimostrazione di una pochezza politica che rasenta la malfidenza, la proposta del m5s che, per voce di Di Maio, elogia e offre la piattaforma Rousseau ai gilet gialli francesi che hanno fatto dei blocchi stradali fondamento della loro protesta. Protesta tra l’altro iniziata per l’aumento del prezzo dei carburanti, argomento trattato in campagna elettorale sia dalla lega che dal m5s e che una volta saliti al potere non ha avuto alcun seguito.
O come l’aumento dello stanziamento per più di 49 milioni di euro all’anno dal 2019 al 2025 per le forze di polizia e dei vigili del fuoco, aumento non giustificabile vista la diminuzione dei reati su scala nazionale.
Nel 2018 il dossier del Viminale sulla criminalità conferma il trend in negativo dei reati quali furti, rapine e omicidi (tranne gli omicidi di genere i cosiddetti femminicidi) quindi ci chiediamo, a cosa serva questo inasprirsi delle pene e questo aumento dei fondi agli organi di controllo e repressione?.
Sicuramente una stretta autoritaria è in atto e storicamente le restrizioni delle libertà personali sono state anticipatorie delle peggiori dittature.
Concludiamo questo articolo con questa frase di Benjamin Franklin, scienziato e politico americano vissuto nel 1700 ” Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza.”
Il disprezzo della classe politica, di chi possiede o vuole possedere il potere, oggi come allora risulta evidente e deve essere compito nostro fiutare gli imbrogli e opporci con qualsiasi mezzo a questi continui soprusi.
Arrivederci al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

100 anni di grande guerra

Novembre 30th, 2018 by currac

Con l’armistizio di Compiègne firmato l’11 novembre 1918 tra l’impero tedesco e le potenze alleate si poteva dire conclusa, almeno dal punto vista militare, la prima guerra mondiale.

Con la fine della guerra che doveva porre fine a tutte le guerre finivano dei mondi ma non finivano certo quelle che sono state le motivazioni che hanno portato a questo infame massacro.

Ma cosa è stata la grande guerra per l’Italia?

La prima guerra mondiale è costata molto cara, 680 mila morti ammazzati, mezzo milione di invalidi e mutilati e un milione di feriti su una popolazione di circa 35 milioni di abitanti. In questa macabra conta dobbiamo considerare che a flagello si aggiunse flagello e dopo la mietitura del fronte ci fu anche quella dell’influenza spagnola che colpì l’Europa e l’Italia e che cuasò, in Italia, circa 4 milioni e mezzo di infettati e da 350 a 650 mila morti, concentrati soprattutto nelle regioni del sud.

La guerra si è potuta sostenere solo su di un sistema repressivo e su di un clima di terrore che ha portato a 870 mila denunce delle quali 470 mila per renitenza alla leva, 350 mila processi celebrati, 170 mila pene detentive tra le quali 15 mila ergastoli e 4028 condanne a morte. Enormemente superiori di quelle inflitte dagli altri stati belligeranti, quasi sempre sotto le 1000.

Condanne a morte inflitte per decimazione come nel caso dell’ammutinamento della Brigata Catanzaro o per puro sadismo, come nel caso dell’artigliere Alessandro Ruffini messo al muro perché non si tolse il sigaro di bocca al passaggio del generale Graziani.

Un macabro conteggio che deve farci riflettere e che deve farci domandare quale può essere l’insegnamento o quali pensieri dobbiamo fare per rendere questa memoria viva oggi a 100 anni di distanza.

Per farlo credo sia necessario smontare pezzo per pezzo la retorica che si è sedimentata nell’immaginario collettivo dal periodo post bellico ai giorni nostri.

Prima di tutto, la gente non voleva la guerra ma la volevano regnanti e governanti impegnati a trattare con le potenze straniere per vedere da che parte faceva più comodo schierarsi.

La gente comune e i contadini non crederono alla retorica patriottica di un fantomatico riscatto nazionale e in numerosissimi casi non si presentarono alla visita di leva o cercarono il modo di tornare dalle proprie famiglie per non lasciarle in miseria.

La retorica “irredentista” che vuole la prima guerra combattuta per liberare le genti trentine e triestine dall’occupazione austriaca, era insisto suolo nelle menti di una piccola elité borghese e appunto non tre le genti comuni.

Come la retorica che vuole la prima guerra combattuta per liberare le genti trentine e triestine e il suolo patrio dall’occupazione austriaca, incredibile menzogna data dal fatto che il concetto di patria e suolo patrio non esistesse nelle menti della popolazione e che comunque come vedremo, era insisto suolo nelle menti di una piccola elite.

Dobbiamo sapere che se i trentini arruolati nell’esercito austro ungarico furono circa 60000, i volontari “irredentisti” che passarono nelle file italiane furono circa 700, perlopiù di estrazione borghese e non certo contadina.

Indice di quanto il desiderio di essere italiani non appartenesse né alla popolazione tirolese e men che meno alle masse contadine ma ad un’ambizione di quelle classi sociali privilegiate.

Oggi sappiamo che probabilmente il Trentino e Trieste sarebbero stati ceduti all’Italia se questa avesse mantenuto la neutralità, ma la spinta dei poteri economici, Fiat in primis, produttrice di armi e materiale bellico, hanno fatto sì che anche all’interno del governo e della compagine socialista per natura antimilitarista, si propendesse per l’interventismo. E questa spinta non fu certo mossa da “nobili” ideali di libertà o per spirito filantropico ma per meri interessi di potere, economici e per il profitto.

Ieri come oggi la guerra è business.

Smontare la retorica e l’alone mistico che circonda la figura de fante contadino che lo vede pronto a morire col pensiero rivolto alla madre e con la bandiera tricolore tra le mani. Nulla di più falso, i contadini volevano fare i contadini e lavorare per fare prosperare le loro famiglie e dovettero vestire i panni militari solo perché avrebbero ricevuto piombo o galera se si fossero opposti. L’episodio della brigata Catanzaro sopracitato è emblematico e di episodi di ribellione e repressione simili, ce ne sono tantissimi.

Per far sì che questa retorica non abbia presa dobbiamo anche fare una riflessione sui pilastri su cui basa la propria propaganda, come il sacrifico, la diversità e l’obbedienza e di come vengono rinvigoriti attraverso la memoria.

L’obbedienza così viene intesa come cieca, quasi fosse un dogma religioso, pilastro di una società guidata da menti illuminate e ovviamente fondata sull’ingiustizia e sul privilegio di pochi, che lascia i governanti e potenti di fare ciò che vogliono senza responsabilità sociali. La stessa idea di obbedienza allo stato o ad un partito che è nell’essenza dei sistemi totalitari, siano essi fascisti, nazisti o comunisti. E come ben sappiamo in questi sistemi la libertà non c’è.

L’obbedienza inculcata con la leva, e che, come scritto anche da don Milani, non può considerarsi virtù e che possiamo oggi considerare fondamento o prerequisito dell’instaurarsi dei nazionalismi e dell’odio basato sulle diversità.

L’obbedienza che tende a inculcare l’odio nel diverso e la diversità come fondamento di un’identità nazionale, identità che si forma per esclusione e non inclusione; noi migliori degli austriaci perché parliamo italiano o perché vestiamo in modo diverso, o perché mangiamo un cibo anziché un altro. Esclusione che svia da quello che deve essere considerato diverso e che ha portato e può portare, a far sì che dei poveri contadini si sparassero per la conquista di un pezzo di terra che non diede mai giovamento a nessuno se non a chi chiese loro di sparare.

Altro aspetto fondamentale è la memoria e la sua mistificazione. In questi giorni si sono succedute molte manifestazioni in ricordo della prima guerra, il 3 novembre per gli austriaci e il 4 per gli italiani, manifestazioni fatte sui luoghi simbolo ma anche nei pressi dei monumenti o dei cimiteri militari.

Dovrebbe far riflettere e ci deve far fare un grande esame di coscienza, che oggi i principali, e forse unici, promotori dei monumenti alla memoria o a ricordo siano quasi solo le associazioni d’arma, fatto ancora più strano nel momento in cui le stesse promuovono il ripristino della leva che già in passato tanti danni ha fatto e tante vite ha stravolto o spazzato via.

Perché ti mettono in riga e ti fanno diventare uomo dicono, ma in realtà essere uomo vuol dire sapere scegliere da solo ed essere uomo integro, non certo zitto servo esecutore di un volere che non si comprende.

Ci chiediamo che memoria o che concetto di pace possono trasmettere queste realtà, che si pongono in un doppio binario, così preziose e impegnate col volontariato e come difensori della pace e di valori nobili come la solidarietà, che come forza armata e di prevaricazione in tutti i conflitti più o meno conclamati.

Possono avere la giusta distanza per farlo? Possono davvero dare un giudizio o portare una memoria imparziale?

Col titolo dato a questo articolo, “100 anni di grande guerra”, vogliamo ricordare che la grande guerra è terminata dal punto di vista militare esattamente 100 anni fa, ma non è terminata all’interno della società, perché a livello storico e rievocativo resiste ancora quella propaganda mistificante che fa della memoria un mezzo per creare divisioni e diversità.

Dobbiamo riappropriarci della memoria, riscoprire le tante storie ancora sconosciute e riprendere e erigere targhe, monumenti e cippi per far sì che mai nessuno possa permettersi di mistificare o fare propria questa memoria.

La mistificazione della memoria e dei valori collegati ad essa, ieri ha portato allo scempio che abbiamo voluto riassumere numericamente ad inizio articolo e oggi ci devono vedere impegnati affinché non si debbano continuamente erigere monumenti in memoria di qualche guerra e donne e uomini piangere i propri morti.

Per questo vogliamo chiudere questo articolo riportando l’epigrafe della lapide posta nel 1978 nel comune di Moresco provincia di Fermo e che ricorda i caduti nelle 2 guerre mondiali; è una lapide molto forte e molto evocativa che in sé racchiude la più profonda e intima richiesta di chi è perito in guerra e del perché la si debba prevenire sabotandola, disertandola e osteggiandola in tutti i modi.

“Siamo i vostri fratelli
Figli di queste colline.
Ci fu chiesta la vita.
Avevamo poco di più
Ma la demmo lo stesso
Perché voi poteste continuare
A sperare
In un mondo più umano,
non offriteci solo preghiere
ma la rabbia.
Una rabbia feroce
Contro chiunque”
Voglia mettere di nuovo
L’uomo contro l’uomo