Decreto insicurezza: Pronti via!
giovedì, Febbraio 28th, 2019Neanche il tempo di terminare le riflessioni sul tema e sono subito arrivati i primi effetti nefasti del decreto n°113 il cosiddetto “decreto sicurezza” approvato lo scorso 5 ottobre e analizzato in 3 articoli su questo giornale.
Due i fatti che abbiamo voluto collegare in questo articolo, la rivolta dei pastori sardi e il recente arresto di 2 imprenditori bresciani accusati di caporalato.
In questi giorni abbiamo assistito alle manifestazioni dei pastori sardi che si sono mobilitati e hanno bloccato l’intera isola, articolate attraverso pratiche diverse sempre non violente, che hanno visto blocchi stradali, blocchi dei tir carichi di merci estere e le eclatanti scene del latte gettato in strada.
Nell’immaginario più romantico il pastore è la raffigurazione della sacra tradizione ancestrale, del sacrificio, del lavoro, della famiglia. Ma attenzione. Un insieme di valori su cui è facile edificare l’ “italianità”. A pensarci bene non si tratta di valori italiani, ma di valori universali, riconducibili a donne e uomini di qualsiasi colore o provenienza, accomunati dal solo desiderio di provvedere al futuro dei propri figli e della propria casa, radicati nella propria terra (fino a quando non gli viene espropriata). Non credete?
Lavoro e sacrificio. Se non ci sono bandiere, ci si sente solidali con chi si rivolta in preda alla disperazione di non arrivare a fine mese.
Purtroppo, questo vale maggiormente se chi si rivolta è bianco ed è un lavoratore. Come è valso per i gillet gialli in francia (tutt’ora proseguono le manifestazioni), la cui protesta è dal primo momento parsa legittima al giudizio dell’opinione pubblica che ormai si misura facilmente sui social. E’ iniziata con il pretesto del prezzo della benzina, ma ha visto estendere le proprie rivendicazioni in termini di salari, tasse e diritti assistenziali ed è fortemente intenzionata a far cadere il governo Macron.
Ebbene, da noi la sommossa riguarda i pastori sardi e le proteste sono scoppiate per la richiesta dei pastori di reddito e dignità, chiedendo un prezzo del latte in linea con una vita dignitosa e un blocco dell’importazione di alimenti esteri che, costando meno, provocano il crollo dell’economia dell’isola.
Protesta cavalcata da chi è sempre in prima linea e a cavallo dell’opinione pubblica, ed è bravo a prendersi la parte. “Nessun manganello contro ai sardi”.
In realtà quella che si sta compiendo è una trattativa economica sui prezzi basata su vendita-acquisto. E’ bene non farsi prendere troppo dall’immagine bucolica del contadino contro i poteri politici (in questo caso, cosa mai dovrebbe rappresentare chi ha vinto le elezioni?). Si tratta di uno scontro legato a problemi di mercato, che vede i pastori come l’ultimo anello della catena di produzione per cui producono solamente la materia prima.
Questo trae origine dal fenomeno di colonnizazione della Sardegna, quando le industrie del nord italia operarono una privatizzazione crescente del territorio distruggendo quell’economia di sussistenza che integrava diverse attività agro-pastorali in un sistema comunitario.
Insomma erano sì poveri ma, si può dire, autosufficienti.
Si è poi affermata o meglio dire imposta, la produzione del pecorino romano la quale è destinata per la maggior parte a coprire i grossi consumi americani e che rende l’economia della Sardegna in stato di dipendenza.
Questo fenomeno è per intenderci lo stesso per cui in Africa le multinazionali impongono monocolture di cacao soppiantando foreste, boschi, villaggi, famiglie. E’ una tra le principali cause dell’emigrazione e quindi dell’impossibilità di sviluppo indipendente di paesi economicamente sottomessi. (Si digiti “land grabbling” per approfondire).
Le motivazioni di questa protesta non possono essere limitate alle seppur giuste rivendicazioni economiche; dietro a queste proteste c’è anche la forte critica all’occupazione militare della Sardegna, occupazione che vede i pastori dovere chiedere permesso ai militari per pascolare le greggi in terreni inquinati dal materiale bellico e che non possono neppure denunciare gli effetti catastrofici di questo inquinamento in primis agli animali e poi ai pastori stessi per non rischiare di vedere il prezzo di latte, formaggi e agnelli crollare. Alla faccia dei padroni a casa nostra.
La protesta dei pastori sardi ha suscitato sentimenti di empatia e solidarietà certamente anche da parte di noi valsabbin*.
Ma arriviamo al punto. Grazie al decreto Sicurezza, finito il clamore della protesta e passato il gran circo mediatico delle elezioni sono immediatamente scattate le denuncie per blocco stradale, reato depenalizzato nel 1999, ripristinato col decreto sicurezza e che prevede pene fino ad un massimo di 12 anni.
Effetto esattamente contrario di chi a parole mette prima la sicurezza o prima gli italiani e nella realtà è sempre stato dalla parte di chi mette prima il guadagno alla dignità.
Di chi non usa i manganelli sui sardi ma passa direttamente alle manette.
Veniamo ora all’altra notizia, proprio fresca fresca di questi giorni, che è l’arresto di 2 imprenditori brescianissimi accusati di caporalato.
Senza voler essere giustizialisti con la bava alla bocca, pare che i 2 titolari della società Demetra, supportati da novelli capò indiani, reclutassero operai da impiegare nelle imprese agricole conniventi tra la franciacorta e la bassa bresciana. Imprese agricole ovviamente italianissime.
La notizia di per sé non ci stupisce molto, la stagionalità e la durezza di certi lavori agricoli è stata spesso terreno fertile per queste forme di sfruttamento anche se il fenomeno è sempre stato più diffuso al sud che al nord.
Quello che ci deve fare riflettere è che, i luoghi di reclutamento di questi nuovi schiavi sono diventati i centri di accoglienza, e questi nuovi schiavi sono diventati questi emigranti che, peggio di prima, col taglio della formazione, dell’inserimento lavorativo e la trasformazione di permessi di soggiorno umanitari in lavorativi si trovano in balia del padronato sfruttatore.
Lavoratori privi di qualsiasi forma di sostegno e sostentamento costretti a lavorare per meno di 5€ all’ora in lavori stagionali, quindi concentrati in pochi giorni o poche settimane che non garantisce la possibilità di avere un alloggio e che successivamente li costringe ad andare in mezzo ad una strada aumentando così la percezione dell’insicurezza.
Per capire quanto possano essere pagati, pensate che nella piana di Rosarno dove vengono sfruttati gli immigrati, un kg di arance destinate alla produzione delle lattine di aranciata viene acquistato dalla Coca Cola a meno di 7 cent.
Due eventi diversi tra di loro ma legati dalla volontà dello stato che, con la scusa della sicurezza, reprime qualsiasi manifestazione di dissenso, anche quelle mosse dal desiderio di una vita dignitosa e
della difesa del “made in Italy”,repressione che ha come fine la restaurazione di vecchie e nuove forme di schiavitù sempre a favore del potere economico.
Una vergogna verso cui non abbassiamo la guardia!
Alla prossima.
Valsabbin* Refrattar*