Un quadro sconfortante

A quasi un anno di distanza dalle rivolte carcerarie scoppiate lungo tutto lo stivale, che hanno avuto come triste epilogo la morte di 13 uomini e episodi di violenze poliziesche su cui sta indagando al magistratura, abbiamo deciso di proporre alcune riflessioni sul tema carceri e che verranno strutturate attraverso 3 scritti.

Il fine è quello di fornire un quadro generale del sistema carcerario italiano e un approfondimento delle rivolte dello scorso 8 marzo e della situazione Covid che ha acuito e acutizzato il problema strutturale delle situazione carceraria.

La direzione di questo sistema è in mano al Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria istituito nel 1990 con compiti di gestione amministrativa del personale e dei beni della amministrazione penitenziaria, relativi alla esecuzione delle misure cautelari, delle pene e delle misure di sicurezza detentive e previsti dalle leggi per il trattamento dei detenuti e degli internati.

Dal Dap dipendono quindi le varie forze e unità speciale deputate al controllo dei prigionieri il cui numero è disponibile dai report disponibili nella sezione statistica e pubblicati mensilmente sul sito del Ministero della Giustizia. Da questi apprendiamo che a fronte di una capienza regolamentare di 50551 posti gli internati totali sono 53329 di cui 17691 stranieri e 2250 donne a cui vanno aggiunti circa 30000 che stanno scontando la pena fuori dal carcere, ai domiciliari o in specifiche strutture. Una situazione di sovraffollamento strutturale anche se in lentissima attenuazione basti pensare che a fine 2019 i detenuti erano circa 61000 ma comunque ben lontana da livelli dignitosi, se mai possano essercene.

Dei carcerati di origine straniera, troviamo 5790 europei, 9261 africani, 1311 asiatici, 964 americani e 18 apolidi o nativi in altri luoghi del mondo.

Il numero dei posti è calcolato sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri,ma il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. Quindi il regime di deroga è strutturale.

In queste condizioni di sovraffollamento le restrizioni dovute alla pandemia hanno trovato immediata applicazione. Il Dpcm del 3 marzo 2020 ha tolto la possibilità ai prigionieri di effettuare i colloqui con i famigliari e l’unica interfaccia con l’esterno e le informazioni legate al Covid è stata la televisione, che da allora ci ha bombardato quotidianamente.

Ma fosse solo questo, con la scusa del pandemia le varie amministrazioni penitenziarie hanno avuto carta bianca per togliere le piccole libertà personali e numerose sono state le segnalazioni di divieto anche per i colloqui telefonici sia con i famigliari che con i propri legali. (tutte poi confermate dai legali).

La situazione è quindi diventata esplosiva, isolati, sovraffollati e terrorizzati i prigionieri si sono ribellati e la reazione è stata terribile, lo scenario che si prospetta ci parla di violenze, torture e privazioni di una  sospensione della libertà umane al pari dei fatti del G8 di Genova.

Provate ad immaginare alla condizione dei detenuti del carcere di Poggioreale a Napoli che reclude 2300 prigionieri (pari a più di uno dei nostri paesi) su una capienza di 1650 posti più del 42% , senza informazioni, senza tutele e senza la possibilità di comunicare con l’esterno?

C’è chi di fronte a questa situazione ha prospettato la costruzione di carceri, forse spinto dalle lobby del cemento sempre pronte a lucrare in queste situazioni, così da garantire una detenzione “giusta e dignitosa”.

Qualcuno ha proposto di farle private, su modello americano dove in quelle strutture è attuato un imprigionamento di massa forse neanche paragonabile al sistema stalinista, con più di 2,25 milioni di persone recluse, 4,8 milioni in libertà vigilata a si aggiungono 5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto.

Un sistema gestito per buona parte da privati che sappiamo quali priorità e quali interessi vogliano difendere e tra la rieducazione e il reinserimento nella vita extracarceraria e la recidiva che ne garantirebbe un profitto immaginiamo bene da che parte stiano.

Lo sappiamo bene perché a loro abbiamo già delegato l’ambiente e la salute con i risultati che ben conosciamo, e delegare anche la vita di queste persone recluse sarebbe solo la ciliegina sulla torta di questo sistema già assassino.

Al prossimo articolo.

Pernice Nera

Fonti:

Dati statistici ministero giustizia

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