Un sistema malato
Prosegue con questo secondo scritto l’analisi del sistema carcerario italiano, un percorso di avvicinamento all’8 marzo, giorno di lotta trans femminista e triste anniversario delle rivolte scoppiate in moltissime carceri italiane un anno fa.
Dopo l’analisi iniziale riguardante il malessere dato dal sovraffollamento che acuito dal covid ha esasperato la situazione provocando le durissime proteste dello scorso anno, con questo scritto ci contreremo su un aspetto importante del carcere, la recidiva.
Al 2018, secondo i dati del ministero della giustizia, la recidiva per i reclusi in Italia era del 68% circa, molto più alta della media europea, con picchi vicini all’80% per quelle città dove la microcriminalità è più presente, mentre per i prigionieri affidati a misure alternative questa scendeva di poco sotto al 20%.
Purtroppo i reati per cui la recidiva è più presente non sono elencati, possiamo immaginare come la detenzione o lo spaccio di sostanze stupefacenti e la permanenza sul suolo italiano senza i documenti necessari siano tra i più comuni e tra quelli con più alta recidività.
La storia recente ci insegna che basta una legge approvata dal parlamento per essere considerati criminali o innocenti, quindi il dato è interessante ma andrebbe accompagnato dal dettaglio per poterlo valutare nel suo complesso.
Va da se che il parallelo è piuttosto inclemente, la domanda che anche il più giustizialista si deve porre è se il carcere stia davvero assolvendo alla sua funzione di riabilitativa e reinserimento o sia meramente alla parte costrittiva e punitiva?
La domanda è retorica, lo confermano i detenuti che da dentro ci dicono quanto sia facile avere prescritta una terapia a base di psicofarmaci e quanto sia difficile avere una tachipirina o un colloquio e lo attestano le relazioni, non solo quelle indipendenti ma anche quelle ministeriali.
Se analizziamo poi i costi di questo sistema (nel 2019 circa 2,9 miliardi di euro) vediamo come quasi l’80% della spesa sia impiegata per il personale e ciò potrebbe far pensare che i detenuti siano seguiti; nulla di più falso; abbiamo assistito in questi anni ad una costante ed incessante diminuzioni del personale specializzato sia per il reinserimento che per il supporto psicologico o umano all’interno delle mura.
Alla carenza di personale denunciata quasi giornalmente dai numerosi sindacati di polizia penitenziaria assistiamo parallelamente alla scomparsa di certe figure importanti per i detenuti (ad esempio medici o responsabili dei laboratori) e alla diminuzione della specializzazione del personale e ciò dovrebbe corrispondere ad una diminuzione della spesa ma così non è, anzi tira sempre di più la coperta corta chi già sta al caldo,d’altronde nulla di diverso ci si può aspettare dal tipico atteggiamento parassitario di queste le lobby corporative.
Si aggiunte inoltre che da parte loro non è pervenuta nessuna parola di denuncia riferita ai dieci procedimenti penali per gli episodi di tortura che vedono implicati agenti della polizia penitenziaria, alcuni per le rivolte dello scorso marzo e alcuni per episodi precedenti.
Recidiva, libertà e supporto dei detenuti sono un tema unico quando si analizza la situazione carceraria. E se in medicina la recidiva è il riacutizzarsi di una malattia in via di guarigione o apparentemente già guarita, nel carcere è la misura con cui il sistema calcola, se mai ce ne fosse un’ulteriore bisogno, il proprio fallimento.
Al prossimo articolo.
Pernice Nera
Fonti:
Rapporti 2019-2020 Associazione Antigone
Dati statistici ministero giustizia
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