Continuità emergenziali
Prosegue con questo terzo scritto l’analisi, a tre anni di distanza dall’avvento della narrazione pandemica, con un prezioso contributo di Winston.
Rileggendo, a distanza di oramai tre anni, i testi da noi stilati ed editi nel pamphlet “Fine emergenza mai” abbiamo considerato l’opportunità di rilanciare e attualizzare alcune delle analisi allora formulate a caldo durante i primi mesi del periodo emergenziale pandemico.
Non senza una punta di vanagloria intellettuale, abbiamo infatti ritrovato nei nostri scritti dell’epoca chiavi di lettura rivelatesi più che valide alla prova degli eventi che si sono poi manifestati.
La principale tesi di fondo da noi proposta, invitava a trattare l’emergenza covid non come un oggettivo fenomeno transitorio, ma piuttosto come un grande esperimento di ingegneria sociale, politicamente gestito al fine di scatenare nella società mutamenti radicali nei rapporti fra potere e cittadino, aprendo la strada ad accentuatissime forme di controllo e alla negazione generalizzata di diritti fondamentali.
Buona parte delle discriminazioni e delle prevaricazioni allora imposte, non sarebbero infatti state applicabili in assenza di un particolare clima di paura e senza una emergenzialità che le potesse in qualche modo rendere plausibili agli occhi di buona parte dell’opinione pubblica.
Pur dando il giusto peso all’abominio concernente l’imposizione di pseudo vaccini che, oltre ad essersi dimostrati incapaci di fermare l’infezione, stanno manifestando un incidenza inaudita di effetti collaterali non raramente gravi o mortali, ritenevamo e continuiamo a ritenere che il vero principale obbiettivo politico dell’intera vicenda pandemica fosse l’introduzione di ciò che abbiamo imparato a conoscere come green pass. Lo sdoganamento di tale certificato governativo di buona condotta, in assenza del quale nel nostro paese si è arrivati a spogliare gli individui persino del diritto al lavoro, crea un precedente che sarà senz’altro capitalizzato dal potere neoliberista. Per intenderci, riteniamo che il vero fulcro di tale potere non sia da ricercare nelle aule parlamentari delle nostre sempre incomplete democrazie, ma bensì nei consigli di amministrazione di corporazioni multinazionali, ormai capaci di sviluppare introiti superiori ai prodotti interni lordi delle nazioni che ne dovrebbero controllare l’operato.
Lo strumento che ci hanno voluto vendere, senza pudore e vergogna, come viatico di libertà, dopo averci previamente rinchiusi, si presta ad essere applicato per regolamentare in futuro numerosi altri ambiti della vita sociale; ciò prefigura la facoltà per il potere di controllare in forma totalitaria il dissenso, rendendo accessibili diritti, che erroneamente ritenevamo intangibili, unicamente a coloro i quali supinamente seguono gli ordini che arrivano dall’alto.
Senza soluzione di continuità si è passati dall’emergenza sanitaria alla propaganda bellica, utilizzando gli stessi parametri di criminalizzazione dei divergenti, la stessa stigmatizzazione di chiunque sia ancora in grado di coltivare il dubbio, il medesimo tentativo a reti unificate di creare un monolitico pensiero unico, capace di imporre una sola fideistica verità. Ben prima che sotto i riflettori si portasse lo scontro aperto sui campi di battaglia (realmente il conflitto in Ucraina è da far risalire almeno al 2014) avevamo imparato a riconoscere nella gestione della psicopandemia l’utilizzo di termini e pratiche da periodo bellico, con tanto di coprifuoco, muscolari dispiegamenti di forze, creazione di pseudo eroi e pseudo disertori.
Non troppo in sordina avanza nel frattempo il cavallo dell’emergenza climatica, lo schema è sempre certamente il medesimo , in nome di un bene superiore (la salute collettiva per il covid, la salvaguardia della democrazia per la guerra, la salvezza del pianeta per l’emergenza climatica) chi ci governa si arroga il diritto di decidere come dobbiamo vivere e pensare, arrivando ad imporre scelte e sacrifici, penalizzando pesantemente i non allineati. Chiunque ancora abbia facoltà di analisi critica può facilmente cogliere l’ossimoro fra l’azione di un sistema di interessi che tutto subordina alla ricerca del più spasmodico profitto privato e la salvaguardia di un superiore bene comune.
La cupola di potere che ci tiranneggia senza un tiranno, sta capitalizzando i vantaggi acquisiti in mezzo secolo di neoliberismo senza freni, per catapultarci in una sorta di tecno-feudalesimo, dove solo i buoni sudditi potranno godere della magnanimità della nuova aristocrazia . Come apertamente ci dicono il nuovo suddito non possederà più nulla e sarà felice. Sotto attacco sono e sempre più lo saranno tutte le attività che permettono in qualche modo ad un individuo di salvaguardare anche solo in parte la propria indipendenza.
Chi, per cercare scudo da questa evoluzione del potere, semplicemente si appella allo stato di diritto non coglie fino in fondo che sono i rapporti di forza in una società a modellarne il campo.
Dopo che la pressione sui non allineati ha raggiunto picchi vertiginosi nella primavera dello scorso anno, ora la fiamma sotto le nostre chiappe si è fatta più tenue, ma noi non ci facciamo illusioni, non dimentichiamo e non perdoniamo le vessazioni subite restando in massima allerta. Realisticamente crediamo che quel distopico periodo non sia vicenda archiviata, ma aperto tentativo nella creazione di un percorso atto a sdoganare un nuovo metodo di governo.
Mentre torniamo fisiologicamente ad assaporare aspetti della vita dei quali ci volevano privati, i nostri alti porporati, sulla carta garanti delle libertà costituzionali, certificano con motivazioni a dir poco risibili l’avvenuta violazione dell’inviolabile, spianando la strada a futuri attacchi alle libertà naturali.
Chi tace ora acconsente per sempre, solo una forte e attenta resistenza, individuale e collettiva, potrà sperare di garantire una vita degna di essere vissuta alle nuove generazioni.
Winston, febbraio 2023
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