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Sulla disumanizzazione del dissenso

lunedì, Novembre 22nd, 2021

Da oramai quasi due anni assistiamo alla sospensione di numerosi diritti costituzionali e dell’individuo in nome di una emergenzialità della quale non si vede la fine. Chi deciderà se e quando quei diritti saranno restituiti in forma inalienabile? I dati di occupazione delle terapie intensive dei pazienti COVID?

Beh forse nel 1980 ce la saremmo giocata meglio grazie agli allora 922 posti letto disponibili ogni 100.000 abitanti contro i 275 attuali. Il tasso di positività ad un virus,asintomatico nel 95% dei casi, rilevato peraltro tramite un test ritenuto inadatto a fini diagnostici dal suo stesso ideatore?

Pare si vada verso l’endemizzazione del virus e di pari passo all’endemizzazione dello stato di emergenza ormai prossimo allo stato di eccezione.

Si dà oramai per scontato che a breve, per eludere il termine massimo di anni due previsto per la proroga dello stato di emergenza, il governo pescherà dal cilindro un escamotage per rinnovare la medesima condizione semplicemente chiamandola in altro modo.

Per dirla con le parole di un filosofo non certo sovversivo come Massimo Cacciari “Chi non capisce la gravità della questione non ha alcuna sensibilità costituzionale e democratica.”

Un governo “tecnico”, con una super maggioranza appiattita a sostegno di un premier/banchiere non eletto, rappresentativo solo degli interessi della grande finanza, avanza a colpi di fiducia e decreti  ministeriali.

Ogni forma di dissenso viene totalmente annichilita. Mediaticamente ignorata fino a quando possibile, poi demonizzata. Chiunque, a cominciare da medici e scienziati, esprima dubbi riguardo la narrazione pandemica ufficiale viene radiato o ostracizzato, in nome di una supposta scienza, che in realtà cessa di esser tale proprio perché rifiuta il dibattito.

Molti fra i “sinceri democratici” che per decenni si sono stracciati le vesti, denunciando il conflitto di interesse del vecchio caimano, non battono ciglio mentre si impongono discriminazioni, restrizioni, coprifuochi e lasciapassare, seguendo le indicazioni di virostar e politici in palese conflitto di interesse, che sguazzano in un sistema di porte girevoli fra gli incarichi della politica, delle istituzioni sanitarie e delle grandi multinazionali del farmaco. Per non parlare dei finanziamenti alla ricerca e agli enti sanitari stessi. Emblematico il caso dell ‘OMS che riceve oltre l’ 80% dei suoi finanziamenti proprio dalle grandi case farmaceutiche.

La strutturazione del pensiero unico e la disumanizzazione del dissenso sono giorno dopo giorno perseguiti da campagne mediatiche a reti unificate che ripetono dei mantra che si possono sintetizzare con le recenti lapidarie dichiarazioni del primo ministro : “non ti vaccini, ti ammali, contagi, muori e fai morire”.

E poco importa se sia ormai acclarato che queste terapie geniche non immunizzino affatto dal contagio e dalla possibilità di contagiare, ma prevengano nel migliore dei casi l’insorgenza della forma grave della malattia per qualche mese. Evidenza che dovrebbe spingere qualsiasi persona capace di raziocinio a chiedersi dove starebbe il beneficio nel sottoporre a tale trattamento sperimentale, con effetti avversi a breve termine non certo trascurabili, e a medio-lungo termine totalmente sconosciuti, persone che nulla hanno da temere da un virus opportunista, le cui vittime hanno una media di età di 82 anni e convivevano con almeno 2 patologie gravi pregresse (fonte Istituto Superiore di Sanità).

Già è iniziata la martellante indegna campagna mediatica da Istituto Luce per incentivare l’inoculazione di bambini sani nella fascia di età 5-11 dove il rischio di mortalità per Covid è lo zero assoluto.

Questo mentre ogni terapia di trattamento precoce della malattia viene screditata ed inibita, mantenendo le indicazioni del ministero della salute ferme alla tachipirina e vigile attesa.

Chi rifiuta di ricevere la nuova eucarestia viene marginalizzato, paragonato ad un evasore fiscale, obbligato a pagare per dimostrare di esser sano anche per godere di quel diritto al lavoro sancito dal PRIMO articolo della costituzione.

Grande è la polemica in questi giorni riguardo ai manifestanti di Novara che hanno sfilato nei panni di deportati nei lager nazisti. L’enormità della tragedia rievocata dalla loro provocazione ha urtato  la sensibilità di molti, lasciando poco spazio all’evidente invito alla riflessione, che avrebbe dovuto riportarci alle parole di Primo Levi :

Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio….

Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione………

Ricordando l’olocausto e le sue vittime ci si interroga  spesso di come il popolo tedesco sia potuto arrivare ad accetare più o meno passivamente gli orrori e l’inumana violenza riservata a non ariani e  dissidenti.

Evidentemente il regime nazista ha prima avuto bisogno per diversi anni di mostrificare con la propaganda  tali categorie privandole agli occhi dei più della dignità umana .

Di seguito riporto un breviario, certamente non esaustivo, di alcune dichiarazioni passate dai media nostrani lasciando a chi legge il giudizio se possano o meno essere ritenute frasi di incitamento all’odio e  possibile preambolo al materializzarsi di vie di fatto concretamente violente nei confronti del loro target :

Propongo una colletta per pagare ai no-vax gli abbonamenti a Netflix per quando, dal 5 agosto, saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci”. Roberto Burioni, immunologo.

Vorrei vederli cadere come mosche”, Andrea Scanzi, giornalista.

“Chi non si vaccina va preso per il collo” , Lucia Annunziata, giornalista.

Tutti i vaccinabili siano immunizzati con le buone o con le cattive”, Matteo Bassetti, infettivologo.

Io sono molto democratico: campi di sterminio per chi non si vaccina”. Giuseppe Gigantino, medico.

Carrozze dei treni dove segregare i no vax”, Mauro Felicori, assessore alla cultura Emilia Romagna

“La ministra Lamorgese richiami in servizio il ‘feroce monarchico Bava che con il piombo gli affamati sfamò’“,Giuliano Cazzola, giornalista.

Mentre i sistemi di governo delle pur sempre imperfette democrazie liberali occidentali  stanno assumendo i tratti di società totalitarie e del controllo, con l’Italia a fare da capofila, in troppi guardano  passivamente al nuovo corso.

La subdola ragione che spinge molti ad accertare l’inaudita compressione dello stato di diritto è la sempre sbandierata necessità scientifica di tutelare la salute della comunità. Resta inspiegabile come possa avere credibilità e presa tale argomentazione portata avanti dallo stesso sistema di potere che ha quasi  ompletamente smantellato la sanità pubblica, favorendo sistematicamente da decenni il profitto privato sulla pelle dei suoi cittadini.

E’ importante ricordare che l’accettazione delle leggi razziali del 38 in Italia fu sdoganata da un manifesto firmato da parecchi fra i più eminenti scienziati dell’epoca.

E che in egual misura la ghettizzazione iniziale degli ebrei fu supportata da una forte propaganda che li dipingeva come contaminatori della purezza genetica ariana, ma anche come diffusori di malattie infettive quali tifo e colera.

Anche allora in pochi trovarono il coraggio e la dignità per opporsi attivamente all’incedere della  barbarie nazifascista.

In Italia solo 12 professori universitari su 1.200 rifiutarono la tessera del partito fascista, vedendosi così privati di agibilità politica e sociale, oltre che del lavoro.

In pochi anche oggi hanno trovato la forza e l’umanità di rifiutare il nuovo lasciapassare governativo.

Banditi e criminali venivano chiamati anche i primi fieri oppositori dei regime, sistematicamente bastonati,  imprigionati, confinati, fisicamente eliminati. E restarono, fino alle disfatte belliche del regime che portarono sul carro della resistenza buona parte degli italiani, una esigua e sparuta minoranza.

Compito di chi vuol tener vivo il loro  esempio di sacrificio e resistenza è quello di saper riconoscere le nuove meschine forme con cui si ripresenta  il totalitarismo. Per combatterlo aspramente sin da subito senza attendere che i frutti degeneri della sua violenta propaganda ci riportino alla riproposizione di nuove tragedie per l’umanità.

Affinché nessuno un giorno ancora debba chiedersi come una società possa arrivare ad assuefarsi alla banalità del male.

Winston

I 10 giorni di Trieste

martedì, Ottobre 26th, 2021

Con questo scritto si vuole fornire una cronaca dei 10 giorni che hanno fatto balzare la città e il porto di Trieste alle cronache nazionali. Giorno per giorno verranno elencati i principali fatti accaduti, le dichiarazioni dei principali protagonisti e al termine verranno fornite proposte e analisi per il prossimo futuro di lotte.

L’effettiva entrata in vigore del dpcm del 23 settembre, che ha reso obbligatoria la certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro, ha scatenato proteste in tutta Italia che hanno, fin dai primissimi giorni, trovato il loro focus nella città di Trieste. La ferma posizione dei camalli triestini (circa un migliaio di cui 200 persone, il 40% delle quali non è vaccinato fonte il sole 24 ore 13.10.2021) di rifiutare il certificato verde, sia con tampone che con vaccino, ha portato nei primi giorni di ottobre l’agenzia per il lavoro portuale (Alpt) a proporre di pagare il costo dei tamponi obbligatori. La proposta, supportata anche da una nota della prefettura, ha trovato un secco no sia da parte dei lavoratori che quindi hanno indetto lo sciopero per il successivo 15 ottobre che dal presidente del consiglio Mario Draghi che ha dichiarato pubblicamente la ferma contrarietà.

L’importanza strategica del porto di Trieste è ben rappresentata dall’immagine sotto riportata e travalica le dinamiche di potere e commerciali nazionali. Le ramificazioni ferroviarie collegano il porto con l’area mitteleuropea ed è facile immaginare come i blocchi dichiarati abbiano potuto causare ripercussioni negative e forti danni economici in quegli stati.

Fin dalle prime ore dell’alba di venerdì 15 ottobre, primo giorno di applicazione del dpcm, 9000 persone (fonte Fanpage.it) si sono trovate in città e al varco 4 per manifestare contro l’obbligo di esibizione del certificato verde. Una composizione molto eterogenea, in prima linea i portuali, contrari di sorta e persone legate ai movimenti politici sia anarchici che di estrema destra, quest’ultimi indubbiamente presenti nella città alabardata. Viene comunque garantita la minima movimentazione delle merci

La giornata scorre bene, emerge la figura di Stefano Puzzer quale portavoce del Comitato lavoratori portuali Trieste (di seguito nell’articolo Clpt). La protesta crea clamore e la notizia passa anche sui principali media convenzionali.

In una nota congiunta le segreterie territoriali di Trieste di Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti e Ugl Mare si esprimono così a proposito della giornata di sciopero di oggi nello scalo di Trieste: “Crediamo che debba riprendere quanto prima la piena operatività del porto”.

Sabato 16 ottobre, Trieste si anima e al presidio si aggiungono numerosi manifestanti che da buona parte dello stivale portano sostegno e solidarietà

Verso le sera, ore 19.00, il secondo comunicato del Clpt tra le righe paventa la possibilità di sospendere la protesta, che sarebbe dovuta durare almeno fino al 20 ottobre e lascia sgomenti e basiti i numerosi sodali anti certificato: “Questa prima battaglia l’abbiamo vinta, dimostrando la forza e la determinazione dei lavoratori portuali e di tutti coloro che li hanno affiancati e sostenuti nella difesa della democrazia e della libertà individuale”, ma occorre “fare un passo in avanti assieme alle migliaia di persone e gruppi con cui siamo entrati in contatto in questi giorni”, dunque “da domani torniamo al lavoro chi può ma non ci fermiamo”.

Puzzer dopo l’uscita del secondo comunicato rilascia un’intervista: “il presidio non durerà ad oltranza e la gente che fino ad oggi vi ha preso parte deve andare a casa sua e continuare a manifestare in altro modo; soprattutto chi è venuto da fuori Trieste il quale dovrà raccontare ai suoi concittadini l’esperienza delle proteste di Trieste diffondendo così in tutta Italia consapevolezza e conoscenza, denunciando la criticità totale del Green Pass”

Il comunicato crea sgomento e rabbia che porta i portuali a rivedere la posizione presa: “Vi chiedo scusa, riscriveremo il comunicato. Il presidio va avanti”. Lo ha detto Stefano Puzzer, il portavoce del CLPT, parlando ai no green pass rimasti davanti al molo 4 del porto di Trieste.

Cgil, Cisl e Uil di Trieste in tutta risposta  emettono un comunicato in cui si richiedono che: “si liberi il porto” da chi sta svolgendo il presidio no green pass in questi giorni. “Le legittime manifestazioni di dissenso devono essere garantite ma non possono impedire a un porto e a una città di continuare a generare reddito e prospettive per il futuro. Quelle persone che hanno dimostrato solidarietà a quei lavoratori portuali in presidio facciano un passo in avanti e liberino il porto e quei lavoratori da un peso e una responsabilità che non hanno”.

Domenica 17 ottobre, giornata di ballottaggio delle elezioni comunali (che vedrà la vittoria del candidato del centro destra Roberto Dipiazza), si apre con le dimissioni di Puzzer da portavoce dei portuali; sul suo profilo face book si legge: ““Ho rassegnato le dimissioni dal Clpt Trieste perché è giusto che mi assuma le mie responsabilità. La decisione è soltanto mia e non è stata forzata da alcuno, anzi: il gruppo non voleva accettarle ma io l’ho preteso”.

Terzo giorno di proteste al porto, un grande via vai di persone che aumenta di ora in ora pronte a portare solidarietà ai portuali. Si intravedono le prime divisioni tra le anime che compongono quel blocco, da un lato i portuali e dall’altro i sodali no green pass Trieste. Diverse le anime e diverse le prospettive ma accomunate per ora dalla necessaria abolizione del certificato verde.

Lunedì 18 ottobre i portuali e i no green pass sono sgomberati dal varco 4 del porto con cariche e l’uso degli idranti. Non mi dilungherò sulla descrizione dei fatti, le immagini sono fin troppo evidenti; la polizia in palese violazione della zona franca portuale ha assaltato il presidio con acqua e gas lacrimogeni senza lesinare manganellate ai presenti, pure a chi se ne stava con le mani alzate. Ha fatto il giro del mondo la foto di una donna incinta sanguinante.

I manifestanti sono stati spinti nel parcheggio antistante così da potere essere caricati e successivamente il corteo si è diretto verso il centro di Trieste dove è stato oggetto di cariche anche nel pomeriggio, con tafferugli segnalati fino a sera.

Martedì 19 ottobre il giorno dopo le violenze sbirresche numerosi manifestanti hanno trascorso la notte al porto vecchio o in piazza unità d’Italia. Puzzer consiglia di spostarsi nella piazza, dove tra l’altro ha sede la prefettura, e di abbandonare il porto continuando così le proteste in attesa dell’incontro di sabato 23 ottobre col ministro Patuanelli preventivamente accordato. La piazza durante il giorno è animata da gruppi di persone che la presidiano scandendo slogan.

Il Comitato dei lavoratori portuali di Trieste abbandona le mobilitazioni contro il Green pass. “Visti gli ultimi sviluppi delle mobilitazioni contro il Green pass il Clpt non intende partecipare alla gestione complessiva delle stesse e/o a qualsiasi coordinamento/associazione relativa. Ringraziamo l’amico e collega Stefano Puzzer per tutto il lavoro svolto e gli auguriamo tutto il meglio per il futuro”. Il comitato ha inoltre annunciato che continuerà “il suo impegno sindacale contro l’obbligo di pagare per poter lavorare”.

Balza alla scena nazionale un coordinamento costituito da 5 persone, tra cui Stefano Puzzer e Dario Giacomini, noto medico no vax di Vicenza e primario radiologo sospeso, presidente dell’associazione Contiamoci, che sospinto dalla stampa nazionale pretende di prendere le redini della protesta.

Sempre Puzzer alle ore 17.00 in conferenza stampa, a reti unificate, annuncia la nascita del coordinamento 15 ottobre aggiungendo “La nostra priorità in questo momento è proteggere l’incolumità delle persone e non vogliamo che si ripetano situazioni come quella di ieri. Mantenete ordinata e pulita la piazza”. La strategia della tensione prenquesde forma.

Mercoledì 20 ottobre la nascita del coordinamento 15 ottobre, spinto dalla stampa di regime, divide la piazza sia per il sospettoso protagonismo del suo portavoce che per la prospettiva di lotta incentrata sull’incontro col ministro, che ai più pare una distrazione dalla forma più attiva dei giorni precedenti. La linea collaborazionista del C.15 ottobre è duramente criticata sia dal “Coordinamento no Green pass”, che dal movimento 3V che per voce di Ugo Rossi, suo esponente, in una nota sostiene che “le proposte di incontri ufficiali sono l’arma che lo Stato sta usando per prendere tempo in modo da togliere ossigeno a questo fuoco in crescita” e annuncia che “la nostra battaglia, iniziata a settembre e continuata nelle giornate al porto, prosegue determinata, giorno e notte, fino all’abolizione del green pass”.

La dichiarazione del C15 ottobre conferma i dubbi riguardanti la sua funzionalità a dividere la piazza e stemperare qualsiasi proteste e la sua collaborazione con la prefettura: “Chi ha dormito in piazza Unità”, violando così l’accordo preso ieri sera con il prefetto Valerio Valenti, “lo ha fatto spontaneamente . Noi abbiamo specificato di venire in Porto vecchio”.

La piazza resta animata da poche centinaia di persone che con chiassosi tamburi scandiscono slogan. La repressione muove le proprie pedine con la partenza di una campagna intimidatoria a tappeto amplificata dai social. Fermi e richieste di documenti e messaggi che sconsigliano di andare a Trieste fanno il giro d’Italia. Il prefetto Valerio Valenti dichiara:”S’ipotizza una presenza di 20mila persone alla manifestazione no Green pass a Trieste”.

Giovedì 21 ottobre la piazza è sempre meno popolata da quel movimento colorato e chiassoso dei giorni precedenti. Significativa nella giornata è la protesta organizzata alle ore 13.00 dal Coordinamento No Green Pass di Trieste nell’area del varco 1 del porto di Trieste (l’altro ingresso dello scalo che nei giorni scorsi non era stato coinvolto nella protesta) che però non ha avuto un grande seguito.

In un vicolo periferico e non dalla piazza Puzzer in un video messaggio annulla la manifestazione in programma per venerdì 22 con queste parole:“Stanno venendo centinaia e centinaia di persone qui a Trieste, vogliono venire qui e rovinare l’obiettivo a tutti. Voi, invece, restate a casa, non muovetevi. Questa è una trappola….Non voglio mettere a repentaglio la vostra incolumità, c’è qualcuno che non vede l’ora di approfittare di questo per darci la colpa e bloccare poi le prossime manifestazioni. Fidatevi di me, non vi racconto balle”.

Per disincentivare ulteriormente la presenza in piazza interviene anche il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia con delega alla Salute, Riccardo Riccardi che afferma rispondendo ad un’interrogazione consigliare: ”A Trieste si registra una più bassa percentuale di vaccinati rispetto alla media regionale”.

La strategia della repressione preventiva del dissenso, prende effettivamente forma.

Venerdì 22 ottobre la città si sveglia in un clima surreale. Posti di blocco alle vie di accesso, forze dell’ordine in stato d’allerta e musei e biblioteche chiuse dal comune. Vengono emessi fogli di via e effettuati controlli a tappeto (1500 persone controllate fonte e 12 fogli di via fonte questura di Trieste da triesteallnews.it), si respira un’aria viziata e la piazza così depotenziata trascorre la giornata in un clima di attesa, aspettando un Godot che mai arriverà.

Sabato 23 ottobre, il tentativo di porre come unico interlocutore il neonato coordinamento 15 ottobre, spacca definitivamente  il movimento contrario al pass e mentre in tutta Italia le manifestazione che da luglio animano le piazze prendono forza, a Trieste regna il vuoto pneumatico dell’incontro col ministro e centinaia o forse migliaia di triestini (in totale saranno 3500 persone fonte open.online) sfilano per le strade di Udine.

In mattinata il tanto atteso incontro col ministro, accompagnato dal Prefetto di Trieste Valerio Valenti, si conclude con un nulla di fatto; non serviva essere dei veggenti per capire come il governo abbia mandato un ministro di secondo piano che nel migliore dei casi dopo l’incontro avrà preso l’occasione per passare a trovare i parenti essendo lui triestino d’origine. Da Segnalare la presenza di una delegazione di camalli genovesi.

La vittoria programmatica si concretizza in un incontro sterile ed infruttuoso con il ministro che ascoltate le richieste si è impegnato a riferire le istanze al cdm (consiglio dei ministri) e a dare una risposta entro la settimana successiva. Per voce dello stesso Puzzer in piazza annuncia che:”il ministro Patuanelli ci ha detto che sottoporrà le nostre richieste al governo, che ci risponderà martedì”.

La giornata si conclude con la partenza del tour elettorale del coordinamento 15 ottobre, Puzzer parla alla piazza di Belluno.

Riflessione finale

Questi dieci giorni hanno lasciato in noi la sensazione che sia stata persa un’enorme occasione e che il solco che separa chi è sempre più funzionale alla narrazione e alle politiche governative e chi sta pagando cara la propria opposizione si stia sempre più ingrossando.

Ed è innegabile che oltre alle nostre responsabilità date dalla nostra inerzia debbano essere considerate anche quelle del coordinamento 15 ottobre e del suo portavoce fin da subito sotto i riflettori della stampa di regime che li ha innalzati ad unico riferimento delle proteste e che hanno, agitando lo spauracchio della violenza, fatto il gioco dello stato depotenziando quella che poteva essere una delle prime polarizzazioni di protesta contro il governo attuale e le sue politiche liberticide.

Sulla persona Puzzer e sul C15 ottobre in questo scritto sono stati espressi dei giudizi, forse affrettati, ma che a caldo e per come sono andate le cose non potevano non essere detti.

L’errore strategico del non essere stati presenti in quella piazza, in particolar modo nelle giornate di venerdì e sabato, deriva dalla certezza che avere avuto un ruolo nel rallentamento delle operazioni portuali attraverso quelle modalità di protesta attiva avrebbero creato in primis danni economici ai patronati italiani e europei e in secundis ampliare il divario che separa tutti gli apparati funzionali a questo governo e che colpevolmente sta portando avanti questo esperimento sociale.

Non è un caso che perfino il Washington post in un articolo del 16 ottobre abbia evidenziato questa situazione: “L’Italia si è spinta in un nuovo territorio, inesplorato per una democrazia occidentale … L’Italia è stata la prima democrazia occidentale a imporre il lockdown totale. È stata la prima nazione a rendere obbligatoria la vaccinazione Covid per gli operatori sanitari. Quest’estate il governo ha seguito la Francia nell’introdurre il pass per l’accesso a numerose attività. Il primo ministro Mario Draghi ha persino suggerito la possibilità di essere il primo paese al mondo a introdurre un obbligo vaccinale generalizzato per tutti”.

Per quanto riguarda il solco sempre più marcato che c’è tra chi sta avallando la narrazione di regime e chi sta pagando in proprio il caro prezzo delle proprie idee c’è da sottolineare come i sindacati concertativi attraverso il loro operato siano sempre meno a fianco dei lavoratori e sempre più funzionali strumenti a difesa del capitale.

Negli anni ‘20 del novecento l’intellettuale Luigi Fabbri nel libro “La controrivoluzione preventiva” descrisse come il regime di allora  utilizzò la stampa e i numerosi falsi nemici per affermarsi. Oggi quella finta opposizione, che non è ancora chiaro se sia in buona fede o peggio cosciente, sta facendo il gioco di chi da sempre agendo preventivamente vuole depotenziare qualsiasi protesta.

Se ne esce con una grande riflessione o forse lezione, banale, quella di sempre: La lotta paga, sempre.

Pagava quando i portuali con la loro ferma posizione hanno obbligato lo stato e le aziende a scendere al compromesso del pagamento dei tamponi e che di fronte ad un nuovo no hanno dovuto applicare la violenza insita nella loro stessa esistenza e pagherà se ci rendiamo conto di quanto sia necessario uscire con i nostri contenuti dal recinto dove ci vogliono rinchiusi.

Le manifestazioni di queste settimane si stanno stabilizzando, il numero di persone è in aumento e il confinamento fisico, derivato dal dialogo con le autorità, relega in un pericoloso e rischioso circuito di autoreferenzialità sia fisico che mentale.

Abbattere questi limiti, lottare, osare con coraggio per un futuro di libertà e autodeterminazione.