Ma quale responsabilità?
Prosegue con questo quinto articolo l’analisi del periodo pandemico a firma Winston e Julia e con questo scritto ci vogliamo concentrare sul tema responsabilità, tanto caro alla narrazione dei principali media filo governativi.
L’abbiamo già parzialmente affrontato nei primi quattro articoli, dalla distruzione del sistema sanitario all’affermarsi di una nuova neolingua, ben rappresentata dall’ossimoro del distanziamento sociale, ma anche dell’indottrinamento scolastico e delle persone isolate nelle Rsa, la colpa o la responsabilità della diffusione del virus è sempre personale e ribaltata sulle scelte e azioni individuali.
Ci siamo resi conto di come non si faccia mai parola delle responsabilità politiche di chi ha amministrato e amministra il paese e le regioni.
Ma se scaviamo un po’e ci interroghiamo, è chiaro come questo disegno omissivo sia in perfetta continuità con le reazioni di inizio anno che già allora cercavano di spostare la responsabilità della diffusione del virus tutta sul tempo libero delle persone, dallo sport ai bar,sui luoghi di cultura e di socialità e di contro i luoghi produttivi sono sempre stati considerati sicuri; per decreto sia ben chiaro.
Nessuno finora ha chiesto conto delle responsabilità di Confindustria e delle pressioni fatte per tenere aperti i distretti produttivi bergamaschi e bresciani a marzo e aprile. Che conseguenze hanno avuto?
Nessuno chiede conto ai locali imprenditori che pur di garantirsi il profitto hanno sfruttato la possibilità di essere considerati tra le filiere indispensabili pur esercitando tutt’altra attività produttiva.
Non si chiede conto delle responsabilità politiche sia nella prima fase che di questa seconda; nessuno dice che tra gli obbiettivi per contenere la “seconda ondata” contenuti nel dpcm di marzo c’era raggiungere un rapporto del 14% di posti letto nelle terapie intensive e posti letto totali e solo 3 regioni hanno raggiunto l’obbiettivo; e ovviamente la Lombardia no, è al 9% scarso, 1000 posti sui 1500 circa previsti. E pochissimi mettono in evidenza dell’assenza di un piano pandemico aggiornato che avrebbe garantito strutture e stock di materiale sufficienti per affrontare con preparazione un’emergenza.
È evidente come nemmeno di fronte all’emergenza, presunta o reale, di fronte a delle scelte scriteriate siano purtroppo pochi che si stanno muovendo per chiedere conto della devastazione e saccheggio del sistema sanitario perpetrati negli ultimi anni e delle scelte che hanno portano all’impoverimento delle classi già più in difficoltà.
E chi lo fa individualmente o scendendo in piazza, oltre a essere pesantemente represso (ma non è una novità), viene additato come untore e come nemico dell’unità nazionale.
Quindi tutti stretti e uniti e protetti dal coprifuoco, tipico provvedimento adottato in tempi di guerra, evidenza di come la nostra esistenza debba essere vissuta fino alle 18.00, ossia fino all’orario di uscita dal luogo di lavoro e le attività culturali, ludiche e aggregative possono essere considerate superflue nelle nostre vite.
La maschera l’hanno gettata, in questi giorni l’abbiamo capito, il disegno è chiaro: o si è funzionali alla produzione o si sta a casa, ciò che manca lo si può acquistare sugli e-commerce. Il concetto è stato messo nero su bianco da Toti, presidente delle regione Liguria, che in un recente post ha definito gli anziani morti come: “non più utili allo sforzo produttivo del paese”. I settori improduttivi o se ne stanno a casa o possono morire. Aggiungiamo anche il commento del leghista Borghi che candidamente afferma che: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e quindi non sulla salute”.
Della nostra salute non importa nulla a questi vigliacchi che cercano con delle compensazioni e con le politiche di assistenzialismo, briciole rispetto alla torta, di distogliere l’attenzione dalle loro responsabilità perché mentre si soffre non possiamo dimenticarci le immagini dei comizi, delle feste e festini estivi di questa classe politica.
Ribaltare la responsabilità è un tema centrale oggi, la colpa non è di chi vuole vivere consapevole e libero ma di chi ci vuole schiavi in cattività, perché la crisi l’abbiamo già ampiamente pagata una volta come soggetti depredati della nostra salute ed ora la stiamo pagando con la nostra libertà grande alibi per coprire le responsabilità altrui.
Arrivederci al prossimo ed ultimo articolo delle serie che si propone con una certa presunzione di fornire alcune risposte, soluzioni, riflessioni, pratiche e spunti per il prossimo futuro.
Winston e Julia, Novembre 2020 o 1984?
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