A 20 anni dal G8 di Genova 2
Prosegue con questo secondo scritto l’analisi e il racconto delle giornate di protesta e proposta contro del G8 svoltosi a Genova nel luglio del 2001. A 20 anni di distanza da quei fatti ciò che troppo spesso resta nelle nostre memorie sono le violenze di quei giorni che hanno avuto il suo culmine con l’uccisione di Carlo Giuliani.
Il G8 di Genova ha per certi versi rappresentato un punto di svolta sia per le tecnologie utilizzate per “dissuadere” e contenere i manifestanti, ad esempio con l’uso di gas lacrimogeni normalmente utilizzati in teatri di guerra, che per gli episodi di violenza organizzati e le sospensioni ripetute e pianificate a tavolino delle libertà personali dagli allora vertici al comando nominati dall’allora governo Berlusconi.
La scelta di mandare a macellare i manifestanti nelle strade, come con i pacifisti con le mani dipinte di bianco alzate caricati a freddo, o nella scuola Diaz o i soprusi della caserma di Bolzaneto dove le forze dell’ordine picchiavano i fermati al coro di “un due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove” hanno portato a processi con condanne oggi definitive, sia per chi ha ordinato quelle torture che per chi le ha eseguite ma anche per chi ha depistato le indagini successive.
La cosa che sorprende, ma neanche troppo, è vedere come le stesse persone condannate per quegli episodi siano negli anni state sempre promosse e abbiano potuto continuare a ricoprire dei posti di comando nella gestione della sicurezza nazionale.
Come Gilberto Caldarozzi allora numero due dello Sco (servizio centrale operativo, unità che coordina le squadre mobili delle questure italiane) condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per aver partecipato alla creazione di false prove, nel 2017 nominato vicedirettore della Dia, direzione investigativa antimafia.
O come Francesco Gratteri condannato per falso aggravato per l’irruzione alla scuola Diaz che oggi dichiara che fu ingannato e che non deve chiedere scusa, ingannato da chi e perché non è dato sapersi; o di Gianni de Gennaro capo della polizia durante il G8, per cui l’Italia è stata condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo per non avere impedito le torture, sempre promosso a posti di comando e sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo Monti. Dal 2013 al 2020 è stato presidente dell’azienda Leonardo (ex Finmeccanica), fiore all’occhiello dell’industria della morte italiana.
Lo scorso novembre è stata approvata dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e dal capo della Polizia Franco Gabrielli la promozione a vicequestori di due funzionari di polizia condannati in via definitiva per le false molotov alla scuola Diaz; molotov che hanno costituito l’alibi perfetto per l’irruzione di quegli sgherri e i successivi pestaggi indiscriminati.
Solo alcuni nomi che però ci indicano chiaramente come lo stato i suoi più fedeli e zelanti servitori li ha sempre premiati.
E se i processi hanno forse accertato solo una piccola, minuscola parte di verità, parziale e troppo spesso funzionale, da Genova ad oggi la presenza delle forze dell’ordine e la necessità di controllo preventivo, fatto passare come sicurezza, hanno sempre avuto maggiore peso nelle nostre vite e si sono acuite col periodo covid.
Abbiamo sotto gli occhi i video la spedizione punitiva dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere contro i detenuti che hanno osato rivoltarsi contro la gestione pendemica, che dovrebbero far sobbalzare anche il più convinto democratico o le cariche a freddo subite dai facchini in protesta recentemente passate alle cronache per la morte di Adil Belakhdim, delegato sindacale, investito da un camionista.
E possiamo chiedere che vengano approvati in sede parlamentare il reato di tortura o i numeri identificativi per le forze dell’ ordine ma senza avere chiaro che dare sempre maggiore spazio d’azione, impunità e potere a queste categorie in nome della sicurezza può avere solo l’effetto descritto da Benjamin Franklin padre fondatore degli Stati Uniti d’America, non certo un pericoloso manifestante: “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza.”
E se della loro sicurezza poco ce ne facciamo della libertà ce ne occupiamo assai perché Genova come le rivolte carcerarie o come i pestaggi subiti dai facchini in sciopero hanno dimostrano come si possa continuare a parlare di casi isolati, di servitori infedeli o di mele marce che però se vengono continuamente promosse per il loro operato renderanno prima o poi necessario tagliare l’albero dalle sue radici.
E questa volontà di cambiamento è stata anima di quelle giornate e spirito della nostra quotidianità.
Al prossimo articolo.
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