La resistenza di un professore “disobbediente”.

Ora che penso che i tempi siano maturi, per trarre spunti di ragionamento mi sono risolto a esternare alcune riflessioni e raccontare la mia esperienza umana e lavorativa nell’ambito del trascorso triennio pandemico.

La mia primissima reazione, come penso sia stata quella di molti di fronte ad una malattia sconosciuta e potenzialmente letale, è stata la paura, unita alla totale mancanza di fiducia nella capacità delle istituzioni di far fronte comune e di mettere in atto interventi pronti ed efficaci, conformi all’entità e alla gravità della situazione. Ho adottato dunque una mia personale linea di condotta volta all’autoisolamento, ancora prima che venissero imposte le chiusure, al fine di preservare la mia salute, quella dei miei familiari e dei miei amici, la cui frequentazione è stata da me interrotta spontaneamente in modo deciso. Ho aderito coerentemente alla scelta dei primissimi lockdown, utili a limitare il più possibile i danni nei confronti di un virus che nel breve periodo si era già rivelato devastante con gli ospedali al collasso. La situazione è degenerata con la chiusura progressiva delle scuole e l’adozione della didattica a distanza alla quale nessuno era realmente preparato. In un primo momento ho tentato di garantire una parvenza di continuità assegnando elaborati e disegni via mail, che dovevano essere consegnati con scadenze elastiche al fine di venire incontro alle difficoltà degli alunni, mentre per la parte teorica della mia materia, mi era impossibile sondare la reale preparazione dei ragazzi a causa della mancanza degli strumenti indispensabili per affrontare le lezioni online, in una materia come arte che richiede forse più delle altre la lezione in presenza.

Nella maggior parte del tempo libero ho studiato, letto e scritto molto per approfondire gli argomenti relativi alla mia materia, ho sperimentato nuove tecniche artistiche, convinto sin da subito che la pandemia sarebbe durata a lungo e che il tempo prezioso doveva essere fatto fruttare.

Conclusa la scuola, molto dubbioso se ascoltare le rassicurazioni relative al calo dei contagi, nonostante le aperture, forte del legame che mi lega al territorio, quasi giornalmente ho iniziato ad esplorare la rete di antichi sentieri perlopiù abbandonati, immerso nel silenzio e nell’isolamento totale. Raccogliendo frutti, erbe, funghi di cui sono a conoscenza, ho sconfinato in territori poco o mai praticati, convinto che la Montagna non dovesse essere solo vista come unica fuga dalla pandemia, ma anche come necessario e prezioso recupero di un sapere perduto, ricca di componenti mistiche intrise di una religione antica, amplificata dalla mia passione per il mondo contadino.

Con la fine di agosto, pur nella convinzione dell’opinione pubblica di un ritorno alla “normalità”, ero sicuro che sarebbe ricominciato tutto con l’arrivo del freddo ed era dunque indispensabile prepararsi per tempo alla clausura dell’inverno: così unitamente ai materiali per la pittura ho predisposto webcam e microfono per sostenere al meglio le lezioni online. Infatti, come previsto, con l’inizio della scuola e cambiata sede, si sono alternati i periodi di DAD alle chiusure per l’elevato numero di contagi. Con i permessi ci si poteva recare dal lavoro alla montagna vicina e questo mi dava la possibilità di continuare le uscite non solo sui monti di casa ma anche in quelli dell’alta valle, nel fitto di boschi immersi nelle brume autunnali o coperti dalla neve dell’inverno.

La difficoltà maggiore era rappresentata dalla scuola, unico ambiente a rischio nei periodi di lezione in presenza, problema aggirato adottando scrupolosamente mascherina, disinfettanti sempre a portata di mano e svolgendo lezione dalla cattedra praticamente incollata alla parete di fondo, accanto alla finestra aperta. Facevo volentieri ogni mattina il tampone prescritto, da me ritenuto sempre unico modo possibile e sicuro per tutelare la salute di chi mi stava vicino. Nel corso dell’anno scolastico, con le scuole nuovamente chiuse per la pandemia, ho organizzato un metodo di lavoro attraverso le lezioni online per cercare di operare al meglio e formulare dei voti attendibili e reali: facevo lezione nelle ore curricolari e con la disponibilità degli alunni, dedicavo gratuitamente interi pomeriggi alle interrogazioni a coppie, in tempi scanditi di mezzora ciascuno fino a sera. Un lavoro immane e faticoso del quale vado particolarmente fiero e del quale non sono mai stato riconosciuto. Intanto si iniziava a vociferare della scoperta di un vaccino, considerato già da molti speranzosi la soluzione definitiva alla pandemia. Dopo tante parole da parte di istituzioni e media fatte di incoerenza e cambi di rotta improvvisi, la ritenevo una soluzione molto fantasiosa e un gran poco credibile, consapevole che per la scienza, ci sarebbero voluti anni per conoscere ed elaborare una soluzione sicura, senza effetti collaterali, atta a contrastare efficacemente il covid. Eppure l’entusiasmo crescente e la propaganda mediatica martellante e violenta, seguita presto da decisioni politiche impositive, hanno scelto il vaccino come unica e sola strategia in grado di eliminare il virus, scartando a priori e mettendo al bando qualsiasi altra soluzione.

Dapprima consigliato è diventato presto obbligatorio prima per i sanitari, poi anche per gli insegnanti. Restando coerente alla mia scelta, che mi aveva già comportato numerosi sacrifici dal punto di vista lavorativo e sociale, sono rimasto fermo sulla mia posizione mentre tra i colleghi c’era chi sosteneva a spada tratta i provvedimenti dell’obbligo e altri, dapprima fermamente convinti nel contrastarli, vi si sono immediatamente sottomessi per i più svariati motivi. Questa mia decisione personale è stata sostenuta anche dalla convinzione che il ruolo di insegnante imponga l’educazione al pensiero autonomo e alla libera scelta. La fortissima chiusura mentale e propaganda mediatica non ha fatto altro che amplificare l’odio sociale e lo scontro tra le due parti, “provax” e “novax”. Da un lato la scienza, vista ora non più come ricerca e sperimentazione ma come fede incrollabile nel vaccino come unico dogma e dall’altra quelli contro, a prescindere dalla scelta: tutti “novax”, uniformati al pubblico più negazionista ed estremista che, sin dalle prime chiusure, manifestavano in massa senza alcuna sensibilità, rispetto o riguardo per la salute altrui. Inizialmente le spese sempre più alte per pagare i tamponi ogni mattina, successivamente anche il ricatto lavorativo, talmente ingiusto rispetto al tanto lavoro e sacrificio non ripagati, mi ha reso ancor più ostinato, intransigente e determinato a mantenere la mia posizione, ora per una questione di principio.

Riconosco di essere stato più fortunato di altri nel prendere le mie decisioni perché la mia famiglia mi ha sostenuto economicamente, ma conoscendo il mio carattere avrei adottato la stessa linea di condotta anche se mi fossi trovato in grave stato di indigenza. Le reazioni all’interno della scuola sono state le più diverse, dai pochissimi che comprendevano la situazione complessa, tra cui alcuni genitori che mi hanno manifestato la loro più genuina solidarietà e che ricorderò per sempre e ai quali va la mia più profonda riconoscenza, al silenzio e all’indifferenza della quasi totalità dell’organico scolastico fino ai più astiosi e inflessibili, che a stento tolleravano la mia presenza e “disobbedienza”, togliendomi il saluto e guardandomi entrare a scuola quasi schifati. Dopo il difficile abbandono delle mie classi, ho approfittato dei tre mesi di sospensione per continuare nello studio e nella ricerca.

Sono stato successivamente reintegrato a scuola e impiegato, come prevedeva il decreto, in mansioni diverse dall’insegnamento, con il divieto categorico di entrare in classe e addirittura di vedere i ragazzi, nella discriminazione e nell’indifferenza quasi totali. Questo nonostante fossi l’unico a garantire la sicurezza con il tampone effettuato d’obbligo, risultato in due anni di pandemia sempre negativo, mentre la quasi totalità dei colleghi vaccinati era a casa più volte contagiata e la scuola tentava di far fronte alla complicata situazione delle assenze in classe assumendo supplenti disponibili oltre le graduatorie esaurite. Essendo stato privato della mia qualità di insegnante, ho cercato tuttavia di mostrare la massima disponibilità e collaborazione nell’ambiente della segreteria, anche se assegnato alle mansioni più monotone.

Tornato quest’anno scolastico alla serenità di un ambiente lavorativo “normale”, auspico che questa mia esperienza, insieme a tante altre, forse più devastanti della mia, possa far capire quanto siano sbagliate e controproducenti le derive autoritarie, imposizioni e obblighi, che non hanno portato a nulla di buono se non alla conseguenza di amplificare odio e divisioni fra la gente e sono stati la negazione delle libertà e delle scelte personali, che dovrebbero essere perseguite sempre nel rispetto dell’altro ma anche con maggiore coraggio, determinazione e coerenza.

Baronchelli Giovanni

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