Archive for the ‘Confine orientale’ Category

L’invasione italiana della Jugoslavia

giovedì, Aprile 8th, 2021

Dei fanti e alpini devoti alla mamma e delle vie di Bondone e Baitoni.

Una ricorrenza in questi giorni è passata in sordina, l’indigestione di notizie legate al periodo pandemico ha tolto lo spazio a tutto il resto. Stiamo parlando dell’invasione della Jugoslavia che lo scorso 6 aprile ha festeggiato, se così si può dire, l’ottantesimo anniversario.

Il 6 aprile 1941 le truppe fasciste italiane e naziste tedesche con altri alleati diedero il via all’Operazione 25, nome in codice dell’invasione del Regno di jugoslavia.

Una invasione senza neppure una formale dichiarazione di guerra che, come usanza dell’epoca, veniva presentata dall’ambasciatore nelle mani del governo nemico, ennesima riprova della miopia dei governi nazionalisti alla faccia di chi ancora oggi parla di onore di quei regimi (dichiarazione che anche qualora fosse stata presentata nulla avrebbe tolto alle nefandezze e viltà di quei regimi).

Una invasione che ha avuto come prima conseguenza la capitolazione dell’esercito jugoslavo e successivamente la spartizione dei territori. All’Italia fascista toccarono parte della Slovenia, della zona costiera croata e di parte del Montenegro e Albania.

Da quel momento presa il via l’opera di pulizia etnica e di soprusi , confermati dalla viva voce del duce che nel 1943, ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, due anni dopo dell’invasione, disse: “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”.

Questa data ha un significato molto particolare per chi quei crimini li ha subiti e questo giorno in quei paesi è ampiamente ricordato . Per rendersi conto di quello che è stata l’occupazione italiana di quelle aree è sufficiente passeggiare per i paesi croati o sloveni; uno stillicidio di targhe in ricordo dei caduti, delle centinaia di crimini e violenze, esodi forzati, stupri e privazioni perpetuati dai malefici italiani, dagli alpini e fanti devoti alla mamma e alla patria.

Violenze documentate che andrebbero ricordate annualmente anche soprattutto a chi vuole la giornata del ricordo del 10 febbraio eretta a monumento nazionale, il ricordo che pone al centro dell’attenzione le conseguenze (sempre terribili anche se funzionalmente sovrastimate) e non le cause date dalle proprie responsabilità.

Insomma un giorno dove il ricordo lasci spazio alla memoria storica, condivisa. Ovvio non per i fascisti o i nazionalisti di sorta.

Oggi anche nei nostri paesi troviamo i segni di quel periodo.

Li troviamo nella memoria ma anche nell’intitolazione di alcune vie e sembra assurdo che dopo più di 80 anni ci siano ancora. Stiamo parlando delle intitolazioni approvate nel 1939 dal Podestà di Storo che a Baitoni e Bondoni (al tempo i 2 paesi furono aggregati al comune di Storo con Darzo e Lodrone) procedette con l’intitolazione di alcune via a fascisti della prima ora, come Tullio Baroni e Tito Minniti a Bondone e Aldo Sette a Baitoni.

Sarebbe davvero bello che quelle intitolazioni lasciassero spazio ada una nuova consapevolezza conseguente ad una vera presa di coscienza delle responsabilità perché è davvero assurdo che a più di 80 anni di distanza ci sia ancora il ricordo di queste figure che hanno contribuito a rendere il mondo un posto peggiore.

La biografia legata alle nostre responsabilità è enorme, sta solo alla nostra volontà farlo.

Nel rispetto di quelle sofferenze e di tutte le nostre responsabilità.

Valsabbin* Refrattar*

Nella foto: Donna Jugoslava poco prima di essere fucilata da soldati italiani.

Il giorno del ricordo

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

Come ogni anno il 10 febbraio ci troviamo a parlare del giorno del ricordo istituito nel 2004 dal governo Berlusconi II, su spinta della componente nazionalista di quel governo, con l’intento di commemorare le  vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel dopoguerra.

Abbiamo già trattato l’argomento in numerosi articoli in parte raccolti nella dossier “Storia e memoria” al link https://lavallerefrattaria.noblogs.org/post/category/storia-e-memoria/confine-orientale/ e anche quest’anno abbiamo deciso di non fare mancare il nostro contributo.

Lo vogliamo fare non raccontando quello che è accaduto nel confine orientale ma ciò che è successo agli alleati del regime fascista, ai tedeschi nazisti.

La capitolazione della Germania nazista ha portato allo smembramento dei territori che la componevano, sia delle regioni più periferiche che della città di Berlino che allora fu divisa in 4 zone di influenza. Ma fu nei territori più lontani, per lo più annessi militarmente negli anni precedenti che avvenne la scorporazione più significativa e dove si verificarono le espulsioni più pesanti. Dalla Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Paesi Bassi , Romania solo per citarne alcuni  cominciò un incessante esodo che subì delle accelerazioni nel quinquennio successivo alla fine della guerra e che si stima interessò dai 12 ai 16 milioni di cittadini origine tedesca espulsa da quei territori e che comportò uno stillicidio di soprusi e violenze impartiti alla popolazione dai vari eserciti vincitori occupanti.

Senza dimenticarsi mai delle tragedie umane che una uccisione o l’esilio provocano vediamo come i numeri in Italia siano ben diversi; le ricerche dell’Irsec (Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia) e le interessanti pubblicazioni di numerosi studiosi delle Università friulane e non ci indicano come l’esodo, più o meno forzato, delle genti giuliane e dalmate si attesti attorno a 150-200mila persone e i morti trovati nelle foibe poche migliaia di persone, più probabilmente tre o quattro.

Per molti di loro potrebbe comunque trattarsi di un controesodo in considerazione delle politiche demografiche promosse da i governi regi dalla fine della prima guerra mondiale e finalizzate a italianizzare e di sostituire etnicamente quelle popolazioni che fino ad allora erano vissute in pace.

Ribadendo che dietro questi numeri ci sono vite e drammi e contestualizzando storicamente la situazione non possiamo non renderci conto di come gli esodi siano stati un fenomeno di proporzioni europee promosso dai governanti di turno con delle politiche mirate per garantire dei bacini elettorali etnicamente omogenei o per liberare delle aree ricche di materie prime o centrali rispetto a interessi economici o strategici. E parallelamente di come quei sistemi politici utilizzassero l’omicidio, più o meno preventivo, per garantirsi quei fini. E le uccisioni delle foibe, tra l’altro non ben identificabili anche perche furono ampiamente utilizzate per nascondere i propri crimini dai tedeschi e dai fascisti, devono essere lette in questo senso, certamente terribile, e non possono essere stigmatizzate a senso unico o peggio essere ingrandite a dismisura; non possiamo dimenticare il milione di morti di Gasparri, pari all’intera popolazione della Venezia Giulia o delle decine o centinaia di migliaia dello “storico” Paolo Mieli.

In Europa e in Germania questo aspetto l’hanno forse compreso meglio degli italiani. Vi potete immaginare la cancelleria Merkel che parla di pulizia etnica nei confronti delle popolazioni tedesche? Ve la immaginate berciare di sciagura nazionale o delle terribili sofferenze senza proferire una parola sulle cause come hanno fatto gli ultimi due presidenti della repubblica italiana che con la stessa leggerezza sono passati dai bei discorsi a Sant’Anna di Stazzema a quelli a Basovizza? Parole pesanti come lapidi che di fatto avallano l’impianto voluto dall’estrema destra nazionalista che vuole imporre un’antistoria sulle foibe per equipararle ai crimini fascisti e nazisti.

Ovvio no. Per un semplice motivo, che i tedeschi i conti con la storia e con le proprie responsabilità forse li hanno fatti e hanno compreso che certi accadimenti non sono altro che effetti dati da delle cause ben precise. Forse hanno capito che il seme malato dell’ignoranza più o meno voluta può essere sconfitto con la consapevolezza, non certo con le leggi che rendono illegale il fascismo o il nazismo o che istituiscono un giorno di commemorazione e raccoglimento sia esso della memoria o del ricordo e con gli anticorpi che una società ha e che si crea combattendo con il nemico invisibile e sottile che sono le proprie responsabilità storiche.

Esodi e uccisioni sono i risultati dei calcoli politici, della difesa del potere istituzionale e sono i frutti amari dei regimi totalitari novecenteschi comunisti o fascisti e delle ideologie nazionaliste, patriarcali e militariste.

Le stesse portate avanti da chi oggi vorrebbe questo giorno eretto a monumento nazionale.

Valsabbin* Refrattar*

Foto:1942 eccidio Podhum Croazia dove il regio esercito italiano fucilò 91 civili, inviò ai campi di annientamento circa 800 persone e bruciò le loro 320 case.

D’Annunzio: Un nuovo brand

martedì, Novembre 10th, 2020

D’ANNUNZIO: UN NUOVO BRAND

Questo scritto vuole aggiungere un nuovo contributo alle analisi raccolte nella sezione “Storia e Memoria”, alla luce dell’uscita del film sugli ultimi anni di vita di Gabriele d’Annunzio “Il cattivo poeta”.

Il film è stato presentato il 5 settembre 2020 all’Aurum di Pescara, città natale di D’Annunzio, in occasione della esposizione de “La Carta del Carnaro” e che sarebbe dovuto uscire nelle sale cinematografiche il prossimo 12 novembre.

Due eventi non certo casuali, due ricorrenze centenarie, la firma della “Carta del Carnaro” e la sottoscrizione del trattato di Rapallo.

Il trattato di Rapallo fu l’accordo, conseguente al macello della prima guerra mondiale, del trattato di pace di Parigi e del trattato di Saint-Germain, con il quale il regno d’Italia Italia e il regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabilirono consensualmente i confini delle rispettive sovranità.

Questo provocò l’immediata annessione al Regno d’Italia di Gorizia, Trieste, Pola e Zara e, si stima, più di 800.000 ex sudditi dell’impero austro-ungarico si ritrovarono minoranza in un nuovo paese.

Innegabili furono le conseguenze di questo trattato che colpirono soprattutto le popolazioni non italiane.

Le abbiamo trattate nell’articolo “Le foibe”; la ghettizzazione, ad opera del regno d’Italia, della popolazione jugoslava passò per l’italianizzazione della toponomastica, dei cognomi, l’abolizione dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole, l’obbligo per gli insegnati di essere italiani e che degenerò, nel 1941, con l’invasione tedesca della Jugoslavia del 1941 e supportata dall’Italia fascista, con la circolare 3C che equiparava la popolazione civile inerme ai militari rendendola soggetta a rappresaglie, depredazioni e incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie e internamenti nei vari campi di eliminazione.

Una circolare che possiamo immaginare che strascichi abbia lasciato nelle memorie e non solo della popolazione civile jugoslava.

Noti sono i crimini e le discriminazioni, nota è la madre di queste disgrazie, la guerra, come è nota la strategia di bonifica etnica della regione.

Ma nonostante ciò lo scorso anno abbiamo visto accogliere in pompa magna dalle istituzioni, lacustri e non, la falange di Riccardo Gigante che così ha potuto raggiungere nel riposo eterno il suo amico D’Annunzio nel mausoleo del Vittoriale degli italiani.

Gigante che da sindaco di Fiume appoggiò tutte le politiche di italianizzazione forzata dell’area, e dal 1941, sostenne l’invasione della Jugoslavia. Figura che mise le basi per il perpetrarsi di quei crimini e che trovano conferma e appoggio nelle parole pronunciate da Mussolini, il 22 settembre 1920 a Pola: «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone […] credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

E se sul film non avendolo visto non possiamo esprimere un giudizio vogliamo con questo scritto evidenziare come troppo spesso realtà e fantasia si mischino e la storia, con le sue ricorrenze, venga troppo spesso presa a pretesto per fini diversi dalla sua analisi e divulgazione.

E se il film lo può fare per una mera questione commerciale, o almeno ci auguriamo possa essere solo così, la figura di D’Annunzio no. Dietro questa c’è molto di più e conferma ci viene dalla bocca dell’attuale sindaco di Pescara, Carlo Masci che in occasione della presentazione della Carta del Carnaro si è espresso così: ”D’Annunzio è un brand formidabile per Pescara che deve riconoscersi nella sua immagine. Molte città si definiscono dannunziane, ma c’è un’unica città in cui è nato e solo noi possiamo fregiarci del suo nome”.

Ma cosa c’è dietro questo brand? E cosa c’è da rispecchiarsi nell’immagine dell’autoproclamatosi vate?

C’è una cultura nazionalista, patriottica, sessista, guerrafondaia che tanti danni e dolori ha causato.

Dietro questa figura c’è un revisionismo storico, costante e incessante che mira ad inserire uno spirito identitario, oggi pienamente calato nella narrazione tossica che cancella le colpe e esalta le gesta, ad uso e consumo delle varie componenti nazionaliste istituzionali e non.

Uno scempio rispetto alla realtà, alle sofferenze patite, perché forse ciò che servirebbe è un’autocritica e un’attenta analisi, una presa di coscienza dei crimini commessi e l’accettazione che da ricordare non sono solo propri ma tutti, ovviamente da ricordare con rabbia. Aspetti che sarebbe davvero bello avessero una centralità non solo nella vita culturale ma anche nelle giornate come quella del 10 febbraio.

Ma si sa, un brand serve per far soldi o voti, non Cultura!

Valsabbin* Refrattar*

Ti aspettavamo qui

martedì, Febbraio 11th, 2020

“Ti Aspettavamo qui” è il nome dell’iniziativa organizzata dalla Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” che riguarda l’accoglienza, all’interno del mausoleo dove è sepolto il Gabriele d’Annunzio, dei resti mortali di Riccardo Gigante, tra i 10 compagni di guerra scelti dal vate per circondare la sua urna.

Per la verità non si tratta della salma ma della falange di un dito, identificata grazie al Dna di un discendente di Gigante.

Oltre al piacere feticcio della sacra reliquia che ipotizziamo verrà venerata, che nel migliore dei casi andrebbe psicanalizzata “da uno bravo”, non possiamo non spendere due parole su chi è stato Riccardo Gigante e sul senso di questo avanspettacolo.

Gigante, legionario della prima ora partecipò alla “impresa” di Fiume e ne fu prima sindaco poi podestà per 25 anni. Da sindaco di Fiume appoggiò tutte le politiche di italianizzazione forzata dell’area, e dal 1941, sostenne l’invasione della Jugoslavia.

Preso dalle truppe di liberazione della Jugoslavia il 3 maggio 1945 fu fucilato a Castua.

Ti aspettavamo qui.

Queste parole le hanno pronunciate che genti rimaste ad aspettare le centinaia di uomini, donne e bambine massacrate dalle conseguenze delle parole e dalle politiche Gigante che in quel caso hanno armato le dita che hanno premuto sui grilletti, che hanno infoibato la gente innocente uccise dai fasciste o che le hanno rinchiuse dentro dei campi di sterminio.

E visto che le parole sono importanti quanto la memoria e la storia dobbiamo gridare che questa iniziativa è vergognosa per la sua strafottenza, la sua partigianeria e la sua pochezza.

Un revisionismo che cancella le colpe e esalta le gesta di chi, come Giagante, ha gettato le basi, se non appaggiato, omicidi, stupri e violenze.a.

Crediamo forse che ad aspettare quel pezzo di corpo, ben schierato nelle foto, ci sia solo chi con evidente ipocrisia vuole imporre una narrazione storica falsata e che sa benissimo che ne potrà trarre in qualche modo profitto.

Noi nel frattempo non possiamo fare altro che aspettare la verità!

Le foibe

giovedì, Gennaio 16th, 2020

Con questo terzo articolo proseguiamo con l’analisi dello stretto rapporto tra storia memoria e loro mistificazioni per fini politici e ci colleghiamo alla giornata del ricordo analizzando ciò che è stata la presenza italiana in Jugoslavia e come la propaganda nazionalista ha rivisitato le uccisioni delle foibe senza minimamente valutarne le cause.

Le terre jugoslave furono spesso oggetto di contesa e anche durante la prima guerra mondiali vennero contese da vari eserciti belligeranti. La presenza italiana e le sue politiche “coloniali” le troviamo già prima dell’avvento del fascismo, ossia dal 1920 con il trattato di Rapallo che portò all’occupazione italiana di quei territori e all’approvazione di numerosi decreti col dichiarato obbiettivo di italianizzare l’area.

Fu poi la veemente propaganda nazionalista, che tra l’altro portò all’occupazione di Fiume, che anticipò chiaramente quali fossero le intenzioni riguardanti il destino delle popolazioni slave; ipotesi che trovano conferma nelle parole pronunciate da Mussolini, il 22 settembre 1920 a Pola: «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone […] credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

Questi sentimenti, che si tramutarono presto in politiche, si acuirono con l’avvento della dittatura fascista che dal 1922 approvò una serie di regi decreti finalizzati ad una ghettizzazione della popolazione non italiana e alla sua successiva sostituzione.

Prima agendo sull’italianizzazione della toponomastica decreto n. 800 del 29 marzo 1923 e poi sui cognomi dei cittadini sloveni regio decreto-legge n. 494 del 7 aprile 1927 ma anche con l’abolizione dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole legge n. 2185 del 1/10/1923 (Riforma scolastica Gentile).

In 5 anni tutti gli insegnanti provenivano dalle varie regioni dell’Italia e i non italiani vennero estromessi da tutti gli impieghi pubblici.

SI stima che queste misure colpirono dai 250 ai 320 mila individui sloveni.

Con l’invasione tedesca della Jugoslavia del 1941, supportata dall’Italia fascista, che utilizzò i territori occupati come basi di partenza, la situazione in quelle terre si fece più grave. La repressione ormai estesa portò ad una sequela di crimini verso la popolazione civile, spesso supportati da indicazioni ben precise date dai comandi militari. Un esempio per tutti è la circolare 3C emanata dal generale Roatta che equiparava la popolazione civile inerme ai militari rendendola soggetta a rappresaglie, depredazioni e incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie e internamenti nei vari campi di eliminazione.

Possiamo immaginare il sentimento di quelle popolazioni nei confronti degli italiani.

E fu proprio in questo contesto che i primi che utilizzarono le foibe furono proprio gli italiani e i tedeschi e numerosi sono gli studi che dall’immediato dopoguerra ad oggi hanno cercato di fare luce sul fenomeno e di quantificare il numero di persone decedute in quegli anni.

 

Insomma, numeri diversi che restituiscono un quadro storico complesso dove orientarsi diventa esercizio difficile.

Un paio di anni fa nella nostra provincia comparvero degli striscioni fatti da un qualche gruppo neofascista riguardanti il tema delle foibe che riportava la frase: “Foibe: chiedetelo ai vostri professori”.

Premettendo che troviamo davvero singolare che siano proprio i figli e figliastri dell’ideologia fascista e del becero nazionalismo a chiedere conto delle conseguenze delle azioni dei loro padri, padrini e padroni che per più di un ventennio hanno gettato il seme dell’odio in quelle terre, vogliamo davvero rilanciare questa richiesta. Chiedetelo!

Vi diranno che questa storia non è cominciata l’8 settembre 1943 e nemmeno il 25 aprile del 1945 ma vi diranno che è il frutto di un processo lungo e difficile.

Chiedetelo ai professori, non ai politicanti, chiedetelo a chi la storia l’ha studiata, la approfondisce e la può vedere e non chi la utilizza, la mistifica per meri interessi politici.

E non si parla solo dei partiti o gruppi della galassia dell’estrema destra ma anche di chi rappresenta le istituzioni, come l’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che in un suo intervento, in occasione della giornata del ricordo, aveva, usato termini come “furia sanguinaria”, “barbarie”, “pulizia etnica” e aveva parlato genericamente di “slavi”.

Senza entrare nel merito del discorso pronunciato, appare evidente che ci troviamo davanti ad una serie di preconcetti ed all’uso di una retorica scontata sui Balcani.

Una retorica che a parti invertite ha portato grandi polemiche da parte del governo croato e parallelamente alla celebrazione da parte del governo sloveno il 15 settembre del “ricongiungimento del Litorale alla madrepatria” rammentando le persecuzioni subite dagli sloveni nel Regno d’Italia.

Se da un lato condanniamo i ripetuti crimini italiani, la repressione titina tipica dei totalitarismi novecenteschi e dall’altro possiamo comprendere certi episodi di ritorsione, non possiamo non renderci conto di quanto sia comune la radice di questi mali che possiamo identificare con l’idea di nazione e delle politiche nazionaliste.

Queste istituzioni per mantenere le loro posizioni di potere devono professare l’odio e seminare le divisioni tra i popoli, diversamente le genti saprebbero veicolare la rabbia verso chi opprime davvero.

Le mistificazioni legate alla giornata del ricordo e alle vittime infoibate portano ad una sedimentazione dell’idea di identità nazionale porta a odiare il diverso, anche popoli che per lunghi periodi hanno saputo convivere pacificamente.

Il nazionalismo è come abbiamo già scritto un cancro, che cresce e si sviluppa ben protetto dalle istituzioni, a cui però possiamo mettere un argine. Lo possiamo fare non credendo a questa propaganda, coltivando il dubbio auspicando una vera pacificazione tra i popoli.

Ci chiediamo che senso possa avere commemorare la popolazione italiana vittima della vendetta degli jugoslavi o la popolazione jugoslava vittima dei massacri commessi dai militari italiani senza valutarne le cause e la radice comune.

Queste sono state immani tragedie ed alcuni, con evidente ipocrisia, ne ricordano solo l’ultimo atto, spesso falso!!!

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

Il giorno del ricordo

mercoledì, Gennaio 8th, 2020

Prosegue in questo secondo articolo l’analisi dello stretto rapporto tra storia e memoria e le loro mistificazioni parlando in questo articolo della ricorrenza del giorno del ricordo.

Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Inizialmente imbastita da Fini e Violante, tra mille polemiche legate alle critiche di numerosi storici nel 1998, è stata istituita ufficialmente il 30 marzo 2004 con legge n. 92 su pressione delle destre alleate all’allora governo Berlusconi II. Le prime firme al testo sono quelle dei principali esponenti di destra e si pone l’obbiettivo di: «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

La data del 10 febbraio non è casuale: il dieci febbraio del 1947 è il giorno in cui venne stipulato il trattato di pace di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate che stabilirono l’assegnazione alla Jugoslavia dei territori dell’Istria, della regione di Zara e di buona parte della Venezia Giulia. Le potenze alleate non dimenticarono l’aggressione militare Italia fascista al fianco di nazisti e giapponesi e nemmeno le atrocità da questa commessa (anche se solo in sede di redazione del trattato la considerarono, nonostante l’intervento di De Gasperi, ritennero l’Italia responsabile nonostante il voltagabbana finale.

Premettendo che, in questa riflessione vogliamo dire che non c’è intenzione di non volere ricordare le persone morte nelle foibe o che hanno patito le sofferenze legate all’esodo dalle proprie abitazioni, vogliamo contestualizzare quei fatti, cercando di raccontare cosa sono stati i 20 anni di presenza fascista in quelle terre e le politiche di italianizzazione forzata e smascherando le reali intenzioni dietro a questa giornata.

Altra premessa necessaria riguarda il ricordo (gioco di parole) di un altro giorno, quello della Memoria, giorno internazionale che riguarda la memoria delle vittime del nazi fascismo, ricordati il 27 gennaio, data simbolica della liberazione del lager di Auschwitz da parte dei soldati dell’armata rossa.

La contrapposizione ideologica delle 2 giornate è evidente e strumentale alle politiche di chi ha promosso e voluto il giorno del ricordo, ma anche di chi negli anni l’ha propagandato, partendo da tutti i presidenti della repubblica italiana che dal 2004 si sono succeduti.

L’idea di contrapporre il giorno della Memoria, ricorrenza di carattere internazionale, che ricorda tutte le vittime delle ideologie naziste e fasciste e che hanno colpito chiunque non fosse omologato a quel tipo di società come tutti gli oppositori politici, gli “asociali”, gli omosessuali e le lesbiche, i malati di mente o i disabili, o chi è stato stigmatizzato come gli ebrei, gli zingari o i rom, o chi è stato liquidato perché considerato subumano come i prigionieri di guerra russi, con una giornata che ricorda una parte di morti, è davvero vergognosa.

Il tentativo è chiaro, mettere sullo stesso piano vittime e carnefici paragonando l’imparagonabile ossia un numero non certo di corpi rinvenuti nelle foibe (tra l’altro alcuni chiaramente fucilati dai nazifascisti e molti frutto di vendette personali) con i milioni di morti a seguito del metodico sistema di pulizia etnica e sociale, omicidi e indicibili esperimenti su cavie umane. Questo per riabilitare in maniera velata il fascismo,mostrando gli aguzzini come martiri di una guerra che “capitò”.

E questo ci fa dire che le uccisioni nelle foibe , che tratteremo nel dettaglio nel prossimo articolo, e l’esodo delle genti friulane e dalmate sono state una delle conseguenze delle politiche di italianizzazione forzata e di sfruttamento di quelle aree cominciate non con l’avvento del fascismo ma subito dopo l’annessione di quei territori dopo la prima guerra mondiale, e sono state la conseguenza delle politiche identitarie e nazionalistiche dei comunisti titini che hanno ripreso le modalità tipiche degli eserciti nazi fascisti.

La demonizzazione da parte dei promotori di questo giorno (ossia da parte dei figli e figliastri dei partiti fascisti), dei partigiani comunisti titini per avere fatto quello che hanno fatto, è davvero ipocrita e qualifica molto sulla vera finalità riguardante questa giornata; anzi sembra proprio che buona parte delle vendette private nei concitati e caotici momenti successivi alla fine della guerra, siano state fermate nel momento in cui presero il controllo del territorio..

La critica e la condanna che noi facciamo guardando a questi fatti e a questa ricorrenza istituzionale è il fatto di ridare dignità pubblica a ideologie basate sull’esaltazione della nazione, dei confini e delle frontiere, di popoli intesi come razza, del culto del più forte. Insomma di ideologie che già hanno dimostrato di cosa sono capaci. E questo sì, questo va ricordato!

Questo ci fa presupporre che una certa parte politica, dopo avere messo sullo stesso piano il giorno della memoria  ed il giorno del ricordo, voglia dare il via ad una equiparazione che porti poi ad una minimizzazione delle colpe e che ha come fine una ricostruzione storica falsata e decontestualizzata, che voglia portare una sorta di assoluzione perché loro stessi vittime delle politiche e della repressione comunista come se la loro morte violenta potesse cancellare ogni responsabilità nazi-fascista pregressa.

” se dici una menzogna enorme e continui a ripeterla, prima o poi il popolo ci crederà. La menzogna si può mantenere per il tempo in cui lo Stato riesce a schermare la gente dalle conseguenze politiche, economiche e militari della menzogna stessa. Diventa così di vitale importanza per lo Stato usare tutto il suo potere per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato.” Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich

Senza una continua ricerca, senza lo studio, l’approfondimento e una capacità critica si rischia di fare passare i colpevoli per innocenti, si rischia di travisare chi davvero fu carnefice e causa di quei processi per cui oggi vengono ricordate le vittime.

Si rischia che vengano create le basi perché dei “nostri” morti siano più importanti di altri morti, primo passo e seme velenoso del nazionalismo, padre infetto delle peggiori malattie della nostra epoca.

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

 

Nella foto: villaggio croato dato alle fiamme dai militari italiani durante la seconda guerra mondiale.