La Bàla nelle prealpi bresciane: una tradizione da preservare
Giocatori di Bàla, luglio 1937
Nei racconti popolari degli anziani del piccolo paese di montagna dove viviamo, associata ai momenti di festa che rompevano le ordinarie fatiche giornaliere, ha spesso fatto capolino la descrizione di festose giornate dove giovani e meno giovani si cimentavano nel gioco qua nel bresciano denominato della Bàla.
Le origini di questo fenomeno ludico arrivano ben oltre la memoria dei più anziani e la sua pratica accomuna molti piccoli centri abitati dell’arco alpino e appenninico.
Aldilà del nome (che evidentemente varia a seconda dei dialetti), e di alcune piccole varianti nelle regole pratiche , l’essenza del gioco è la stessa. Senza entrare troppo nei particolari, trattasi di uno “sport” di squadra, praticato nelle piazze o nelle vie interne di paese, che potrebbe figuratamente essere accostato ad una sorta di tennis popolare giocato a mani nude. Il numero dei partecipanti per squadra varia da tre a quattro membri a seconda dell’ampiezza del campo da gioco. La palla tamburello e la palla elastica, attività ludiche che in Liguria hanno una certa popolarità, possono essere considerati parenti della bàla. L’Eskupilota , un gioco molto simile, è nei Paesi Baschi, notoriamente gelosi delle proprie tradizioni, attualmente praticatissimo e assurto a sport nazionale .
Anticamente la palla da gioco era autoprodotta con il cuoio ottenuto dalle pelli animali, e visto lo scomposto ciottolato che lastricava le vie ,si poteva colpire praticamente solo di volo.
Nel presente la bàla è praticata utilizzando palline da tennis previamente private del “pelo” e l’ asfalto sulle strade permette di colpirle più facilmente anche dopo il primo balzo.
Negli ultimi decenni alle nostre latitudini, al pari di molte altre attività che hanno caratterizzato la vita popolare negli abitati di montagna, anche la bàla si è trovata a rischio estinzione.
Le piazze di paese, un tempo indiscutibilmente considerate come res populi, sono oramai divenute in primis spazio controllato dall’istituzione, e in secundis prolungamento della proprietà privata.
Oramai quasi un quinquennio orsono, uno sparuto gruppo di amici ha deciso di provare a rilanciare la bàla nel nostro abitato. L’antico gioco, a causa anche di un forte calo demografico, era in disuso totale
da una quindicina d’anni. Lo “slogan” con cui abbiamo cercato di dare spinta al progetto è stato “La Bàla la mör mai!” (dialettizzando e trasponendo il “punk never dies!”). I risultati sono andati oltre ogni aspettativa, con grande affluenza anche da paesi vicini dove, per diatribe legali con proprietari di case che si affacciano sui campi da gioco e ordinanze comunali, vige la proibizione di praticarlo.
Durante la buona stagione nel fine settimana, e oltre, la bàla è diventata momento di appuntamento fisso . In queste occasioni il paesello, strappato dalla desolazione di una piazza vuota, rivive fra le imprecazioni e le urla di giubilo di chi si è ritrovato a condividere il tempo e gli spazi genuinamente. “La Bàla la mör mai!” oltre che un folto gruppo spontaneo, negli anni si è pure trasformata in una sorta di brand impresso su vari capi di abbigliamento e gadgets, il tutto senza fini commerciali ma con lo scopo di accrescere coesione e identità nel nostro circuito.
Dal 2017 inoltre viene organizzato un partecipatissimo torneo di due giorni con oltre 20 squadre, che si trasforma in una sorta di ibrido fra una T.A.Z. e una sagra di paese.
Fortunatamente da noi la soddisfazione di rivedere l’abitato con vita è quasi unanime anche fra chi a bàla non ci gioca, ma ne gode sedendosi a guardare, o passando oltre scambiando qualche battuta, senza doversi confrontare con la sideralità di un paese senza paesani.
Ritrovarsi spontaneamente nelle piazze e dare vita ad una auto organizzata aggregazione, libera da ogni logica di consumo, risulta evidentemente poco compatibile con le evoluzioni sociali degli ultimi tempi . Le radici del distanziamento sociale, che ora viene apertamente caldeggiato e imposto, hanno origini ben più lontane della così chiamata crisi pandemica; sono da ricercare nel terreno dello sviluppo iper tecnologico del capitalismo, e sono diventate endemiche con l’introduzione dei socials e degli smart phones.
Attività che creano tessuto sociale autogestito, rifiutando di essere omologate , registrate e autorizzate sono in palese contrasto con le necessità di controllo delle istituzioni.
Lo sono ancor più con i desiderata del libero mercato che trasformando anche le relazioni sociali in mercimonio, auspicabilmente virtuale, spera di generare una platea di acritici e passivi consumatori. Ne consegue che in breve tempo ci si è dovuti confrontare con i tutori dell’ordine. L’operato di costoro nel monitorare e reprimere la nostra passione è stato zelante fin da subito. Gli episodi in cui abbiamo ricevuto visite non gradite si sono ovviamente moltiplicati e inaspriti con il sopraggiungere del distanziamento sociale per decreto.
I metodi di contrasto messi in campo sono gli stessi che vengono utilizzati (facendo le debite proporzioni) con ogni movimento fuori controllo.
Da una parte la mano tesa, per un bonario riassorbimento nel quadro della legalità, con richieste di costituzione di federazioni sportive e in alcuni casi la costruzione da parte delle istituzioni di campi artificiali, detti sferisteri. Dall’altra il bastone, con multe e denunce per chi si ostina a giocare nelle piazze interdette.
Purtroppo l’edizione di quest’anno del torneo è stata fermata dai birri senza possibilità di replica. Se precedentemente vi erano state delle multe individuali per occupazione di suolo pubblico, alle quali si poteva far fronte senza grossi problemi, quest’anno gli oramai incontabili DPCM hanno dato ai repressori strumenti più affilati. Tutti i presenti “acciuffabili” sono stati registrati e alcuni di noi, già poco simpatici alle divise per altre questioni, non troppo velatamente minacciati. Bonariamente ci hanno lasciato 10 minuti di tempo per rompere l’assembramento prima di procedere all’accertamento di fatti di “gravissima rilevanza penale” (cit.).
Ovviamente la criminalizzazione di un fenomeno ludico appare ai più fatto quantomeno grottesco, spingendo pure gli spiriti meno bollenti a fare qualche pensierino ribelle…….il che non è male.
Resta sentire condiviso fra i praticanti che l’ essenza stessa della bàla sia nelle piazze, e i campi artificiali edificati restano pressoché deserti (per intenderci il rapporto piazza/sferisterio per un giocatore di bàla può essere trasposto in neve fresca/neve artificiale per uno sciatore).
Un altro aspetto che riteniamo importante in questo nostro percorso è quello di far sentire una voce e uno spirito diversi nella difesa di una tradizione alpina. Ovviamente vi è notevole eterogeneità nelle sensibilità di chi si ritrova nelle piazze, ma l’aver portato il contributo di un approccio libertario, ha scalfito il monopolio di chi certe bandiere le fa proprie per trasformarle in meri cavalli di battaglia, al fine di ottenere gradimento politico e potere.
La volontà di andare avanti è forte e condivisa , non sarà facile arrestarla. Durante questi mesi invernali si discute già di come continuare a riempire le nostre piazze e alimentare il fuoco di questa passione.
Avanti così e la bàla la mör mìa.. quantomeno non prima di noi.
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