I social network e l’angolo degli oratori
In questi giorni, a seguito della “sommossa” di Washington, è montata la protesta per la chiusura del profilo Twitter dell’ex presidente degli Stati Uniti Trump. Molti hanno gridato al complotto, molti ad una dittatura molte sono state le reazioni in tutto il mondo.
Anche in Italia, nel settembre 2019, abbiamo assistito alla chiusura dei profili social della galassia neofascista e già allora era stato fantastico, nel senso etimologico del termine “suggestivamente insolito o irreale” sentire questi soggetti gridare alla censura, visto e considerato che, oggi, le politiche di stato contro la libertà di espressione sono promosse proprio da quei politici amici o affini a quell’area, dalla Polonia all’Ungheria, o che vogliono l’unione tra stato e chiesa come la Turchia. Ma anche da stati come l’impenetrabile Corea del Nord che lo scorso ottobre si vantava di avere 0 contagi, una muraglia al virus e alla libertà ma con un grande sistema sanitario.
Facendo un parallelo la censura applicata sotto le dittature novecentesche, sia fasciste che di ispirazione comunista, era caratterizzata da ordini diretti e precisi espressi dal potere centrale e applicata dalle sue diramazioni periferiche mentre ciò che è successo oggi o nel 2019 è stato deciso dai consigli di amministrazione dei vari social che, appellandosi alla propria politica societaria, hanno voluto così tutelare la propria immagine o meglio i propri interessi economici.
La censura ad orologeria che ha colpito Trump, ma anche molti altri, non è scattata nel momento più utile per sollevare le sorti della popolazione umana dall’abisso della disinformazione, ma è scattata quando l’utile dei vari social è stato messo in discussione, perché i vari Trump o tutti quelli che negli anni sono stati annichiliti non sono nuovi ad avere veicolato messaggi d’odio o di esclusione o le famigerate fake news. Una bella ipocrisia.
Quindi non c’è da stupirsi che queste aziende private abbiano difeso i loro interessi economici limitando chi col suo agire, col dire e con i post, ha scoraggiato gli investitori, come non c’è da stupirsi se Libero quotidiano non ospita Vauro o se il Manifesto non ospita Fiore. Tutti questi soggetti perseguono fini economici o politici che per ovvi motivi comportano una selezione delle informazioni da veicolare.
E se da un lato i fini di queste società sono chiari e non possiamo stupirci per queste scelte, non possiamo non aggiungere un elemento a questa riflessione. Ma davvero dobbiamo delegare la libertà di informazione ai social network arrendendoci così al dominio della tecnologia su di noi? Perché sono tante le persone che pensano, scrivono e elaborano idee, certo bisogna avere il tempo e la voglia di affrontare lo scoglio di una lettura che va oltre i 280 caratteri di un tweet o di una didascalia sotto un’immagine (per farvi capire questo paragrafetto vale una volta e mezza un tweet).
Non si può pensare che oscurando profili si possa limitare il propagarsi di certe idee, forse il problema non è chi promuove un messaggio ma di chi lo recepisce. Se una persona si mettesse ad Hyde Park a Londra sul gradino più alto dello Speakers’ Corner, l’angolo degli oratori, ad enunciare le sue teorie riportanti incesti tra alieni e esseri umani e venisse seguito da migliaia di persone, dovremmo farlo tacere o preoccuparci per il suo seguito?
Oggi l’angolo degli oratori si è trasferito nella dimensione metafisica dei social network dove tutti possono riversare le proprie vanità, le proprie idee ma anche la propaganda politica. Se ci pensate ormai le conferenze stampa, che erano i momenti in cui i politici dettavano la propria linea in pubblico e informavano i media, sono limitatissime, quello che oggi fanno è postare sui social e i vari media riprendono quei messaggi.
Messaggi che contengono di tutto, dai selfie coi gatti, alle sciacallate del momento ma anche le direttive politiche, gli slogan o i dettami di quelle che vengono definite teorie del complotto. I social oggi sono dei fantastici vespasiani con degli ampi archi e dei grandi specchi in cui è splendido mostrarsi, incensarsi e dare eco alle proprie idee ma che non possono in alcun essere considerati luoghi dove si formano le coscienze.
Togliere importanza ai social è centrale per abbattere l’idea che se ho un luogo dove posso esprimermi allora ho la libertà di espressione e di comprendere ciò che gli altri dicono. L’angolo degli oratori ne è l’esempio più lampante, perché non è facendo un parcheggio sopra quel parco che si può pensare di risolvere il problema delle masse che oggi credono nelle teorie degli incesti tra alieni e umani.
E ci sono davvero.
E a conclusione diciamo che il fascismo, il neofascismo e quelle ideologie sono un abominio, non tanto perché così è previsto da qualche legge o è scritto nella costituzione, ma perché sono l’essenza della privazione delle libertà tra cui quella di espressione, fondamento del loro esistere, e relegare quelle idee alle fogne è compito nostro e della nostra quotidianità, non certo di uno Zuckerberg di passaggio che, con l’ipocrisia tipica, a seconda dell’interesse economico del momento oscura loro qualche profilo social.
Come sempre l’agire è nostro.
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