Un uomo sepolto-Vivo

Ha suscitato grande clamore l’arresto di Matteo Messina Denaro capo dei capi della Cosa Nostra siciliana che avrebbe preso le redini dell’organizzazione dopo la cattura di Provenzano e Riina.

Sotto falso nome in cura per un tumore è stato sorpreso e fermato in una clinica palermitana e subito trasferito al carcere dell’Aquila, dove, nonostante le sue condizioni di salute forse la sua storia ha prevalso, è stato considerato idoneo al regime carcerario più duro, il famigerato 41 bis.

Il 41 bis è una disposizione dell’ordinamento penitenziario introdotta nel 1986 durante la “guerra alla mafia”, ed è stata istituita con molteplici finalità tra cui limitare le manifestazioni di dissenso all’interno delle carceri e favorire il sistema premiante di delazione, dissociazione e pentimento dei mafiosi.

È doveroso constatare che in quasi 40 anni dalla sua istituzione non ha certamente contenuto i fenomeni per cui è stata propagandata, diversamente forse non si parlerebbe con così tanta enfasi dell’arresto di Messina Denaro, ma anzi come tutte le misure repressive introdotte con carattere temporaneo è finita per diventare strutturale e ha trovato negli anni un’applicazione maggiore.

Per la prima volta dalla sua istituzione, lo scorso ottobre, è stata affibbiata ad un anarchico, Alfredo Cospito già da 10 anni in carcere (di cui sei trascorsi in massima sicurezza) per avere gambizzato nel 2012 Roberto Adinolfi lobbista e amministratore di Ansaldo nucleare che da anni, in barba ai numerosi referendum sul tema, portava avanti l’agenda nucleare in Italia.

Durante la carcerazione Cospito è stato dapprima accusato di avere piazzato due ordigni esplosivi fuori da una caserma dei carabinieri a Fossano (Cuneo) nel 2006 e di essere “capo e organizzatore di un’associazione con finalità di terrorismo” (parlare di capo in un’organizzazione anarchica fa già ridere se non fosse tragico per le sue conseguenze) e poi condannato nei primi due gradi di giudizio per strage, che non ha provocato né morti né feriti ma solo dei danneggiamenti.

Lo scorso mese di luglio la Cassazione ha modificato il capo di imputazione condannandolo a strage contro la sicurezza dello Stato, che prevede tra l’altro il 41 bis e l’ergastolo ostativo il “fine pena mai” trattato anche in altri nostri scritti https://lavallerefrattaria.noblogs.org/post/category/gabbie-e-liberta/ .

Davanti a questa sproporzione, nemmeno per l’attentato di Capaci è stato ipotizzato questo reato, Alfredo Cospito e Anna Beniamino dal carcere di Rebibbia (coimputata e che come Cospito mai ha rivendicato l’azione di Fossano) hanno intrapreso uno sciopero della fame contro questa violenza.

Cospito è da dieci anni nelle mani dello stato, e da ottobre è sottoposto al carcere duro (come se ne esistesse uno morbido) senza potere beneficiare in alcun modo dei benefici penitenziari previsti per gli altri regimi detentivi.

Egli è senza legami con l’esterno, la posta è sottoposta a censura (quando arriva), d’altronde un capo degli anarchici non ravveduto è un problema, con l’ora d’aria limitata in un cubicolo di cemento e pure con restrizioni riguardanti la socialità con gli altri detenuti; immagino che il suo esterno sia nella mente, nel cuore e nei ricordi e a volte negli incontri col proprio avvocato.

Nemmeno le foto dei genitori morti può tenere nella sua cella, la burocrazia da questo punto di vista è tremenda e le vieta in quanto non è stato richiesto il riconoscimento formale dell’identità dei genitori da parte del sindaco del paese d’origine.

Di fronte a questa assenza di umanità viene da pensare quale sia l’intento di chi ha scritto certe norme..

Alfredo da quasi 100 giorni sta portando avanti una battaglia che sarà a suo dire “fino all’ultimo respiro” che pare purtroppo ogni giorno sempre più vicino, o almeno lo desumiamo dalle parole dell’avvocato che, riferendosi alle sue condizioni di salute, pochi giorni fa affermava: “siamo sull’orlo del precipizio”.

In questa società benaltrista, dove pur di non affrontare un problema si fa un continuo richiamo ad altri problemi sempre ben più pressanti del primo e che puntualmente non vengono mai trattati, un uomo, con la sua storia, è rinchiuso tra 4 mura.

Un uomo tombato che si vorrebbe morto, almeno dal punto di vista intellettuale, ma vivo, sottoposto ad un trattamento ingiusto e inumano, pensato per annichilire e svilire e per svuotare l’uomo di qualsiasi pulsione di libertà.

Un uomo vivo che sta mettendo la sua vita in pericolo, per ricordarci tra le tante cose quanto il regime democratico sia nella sua struttura fragile, ipocrita, violento e sottomesso ai più bassi istinti umani e quanto sia compito di tutti mantenere viva l’idea innata di giustizia e libertà che non troviamo espresse nelle carte costituzionali.

Un uomo vivo che col suo esempio, col suo sacrificio, sta mandando in soffitta qualsiasi idea di finalità rieducativa della pena mettendo in discussione l’esistenza stessa del sistema detentivo con tutte le sue insopportabili falsità.

Un uomo vivo, sepolto è ben altro.

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