Si può mettere la natura in lockdown? Aggiornamento.

Giugno 29th, 2022 by currac

Riprendiamo con questo scritto l’approfondimento e le riflessioni legate alla presenza di casi di peste suina africana che sono state trattate in questo articolo lo scorso 10 febbraio https://lavallerefrattaria.noblogs.org/post/2022/02/10/lockdown-alla-natura/ .

Dai primi casi riscontrati in gennaio tra Liguria e Piemonte, che hanno immediatamente fatto scattare misure emergenziali e quindi restrittive (il legame anche alla luce della situazione pandemica è ormai assodato), si è giunti lo scorso 5 maggio al ritrovamento di un giovane cinghiale morto e infetto nella zona nord della città di Roma, in provincia di Rieti.

La presenza di questi suidi a Roma e nel Lazio è balzata alle cronache nazionali già negli scorsi mesi con alcuni video che li ritraevano scorrazzanti in aree urbane e liberi di grufolare tra i rifiuti più o meno abbandonati, che se da un lato può far piacere vedere la natura che si riprende i suoi spazi dall’altro è fonte di preoccupazione perché è noto che il virus della psa è presente negli scarti o nei residui di carne anche cotta.

Per i casi laziali, che nel frattempo paiono essere fermi, sono state adottate le stesse misure dei casi liguri, fatte di restrizioni, zone interdette (allargate anche all’Abruzzo) e divieti e la soppressione indiscriminata di suini, chiaramente non quelli degli allevamenti intensivi ma di quelli famigliari che nelle zone periferiche e montane spesso rappresentano una fonte di integrazione al reddito e di riciclo degli scarti alimentari.

L’istituzione di zone infette con accesso all’uomo limitato pare essere la soluzione delle autorità che in sfregio a qualsiasi buonsenso, ma sappiamo quanto queste scelte siano funzionali ad un lento processo di soggiogazione, agiscono col tipico atteggiamento di coloro che, incapaci di trovare una soluzione alla causa preferiscono folli idee per tamponare le conseguenze.

La spada di Damocle rappresentata dalla peste suina africana pende sopra le nostre teste e sopra le nostre libertà, l’inazione oggi pare assurda e non è assurdo pensare allo scoppio del bubbone proprio al termine della stagione estiva, salvando così le vacanze degli italiani, e a ridosso dell’inizio della stagione venatoria, con la massima felicità degli anticaccia che oltre a soluzioni strampalate come la sterilizzazione dei cinghiali tacciono sul tema.

La normativa comunitaria, nel caso di presenza di focolai prevede la sospensione della caccia nelle aree infette, sia per il paventato maggior rischio di diffusione della malattia attraverso le movimentazioni degli animali selvatici spaventati dall’attività venatoria che per mezzo del trasporto del virus mediante mezzi di trasporto, attrezzi, indumenti, scarpe.

L’inazione può essere rischiosa, tacere e non far nulla è pericolosissimo, questa pandemia per sua natura non può essere eradicata, dove c’è è endemica, e il silenzio avvalora il processo di normalizzazione della situazione di emergenza che è già in corso.

È importante opporsi a queste restrizioni assurde e volute ed è altrettanto importante opporsi alla difesa di un comparto produttivo, quello dell’allevamento e della trasformazione della carne suina, che oltre a rappresentare un sistema dannoso per l’ambiente (un esempio, le deiezioni liquide dei suini sono causa di inquinamento delle falde nelle aree ad alta concentrazione degli allevamenti) è innaturale per gli animali stessi, costretti a trascorrere tutta la vita in spazi angusti, sporchi e sovraffollati.

Opporsi per non ritrovarci costretti come maiali rinchiusi negli spazi sempre più stretti previsti dal benessere dell’animale, in questo caso umano, soggiogato al profitto di quegli allevamenti e legiferato da chi ci vorrebbe sempre più ingabbiati e obbedienti tra casa e lavoro.

Pernice Nera

25 Aprile 2022: il tempo delle scelte

Aprile 24th, 2022 by currac

Sono passati 80 anni dalla disfatta militare conseguente all’invasione della Russia, rimasta nella memoria collettiva come “ritirata di Russia” e “battaglia di Nikolajewka”. In Italia e in particolare nella nostra valle, ciò ha rappresentato la presa di coscienza collettiva di un fallimento e nel cuore di molti ha dato la forza per mettere in discussione il ventennale regime fascista.

Oggi da quelle terre ci giungono notizie di una nuova guerra, non meno brutale ma quale non lo è, e a tamburo battente la stampa sta martellando sulla necessità di un intervento e sulla necessità di schierarsi tout court, dividendo il fronte tra buoni e cattivi.

Una semplificazione eccessiva che non tiene minimamente conto della storia di quei luoghi e neanche del percorso politico di chi oggi viene definito come nuovo partigiano, seppur indossi i simboli dei reparti nazisti o condivida con loro l’idea ipernazionalista, squadrista con chi non si allinea e che si è macchiata di terribili crimini dal 2014 ad oggi.

La valanga di polemiche che sono state sollevate nei confronti di chi si è espresso diversamente dal pensiero dominante, ha travolto anche la principale associazione reducistica dei partigiani italiani, la quale, per una volta dopo molto tempo, ha messo in discussione questa linea difendendo valori di internazionalità e pace. Questi episodi dovrebbero davvero farci riflettere sul livello di libertà della nostra società.

Poco ci si può aspettare da chi col pacifismo ha fatto anni di campagne elettorali ed oggi è completamente asservito a logiche economiche e, prono agli interessi atlantisti, sta sostenendo misure e posizioni guerrafondaie e militariste quali l’invio di armi o lo stanziamento di nuovi fondi per le spese militari.

In questo giorno dove si ricorda, si celebra e si festeggia chi della lotta armata ne ha fatto una scelta di vita (e troppo spesso di morte) una riflessione deve essere fatta sul significato di Resistenza e sulla necessità di attualizzare quei valori.

Riflessioni centrali per non confondere parole importanti quali Resistenza, Libertà e Liberazione, strette da un innegabile legame di causa ed effetto, il quale, se frainteso, ci porta erroneamente ad assumere che godere della libertà sia scontato e slegato dalla lotta e dagli sforzi per conquistarla o mantenerla.
L’esistenza di questo legame indissolubile tra questi termini e i concetti che essi richiamano deve essere ben chiaro altrimenti si rischia di svuotare di senso la parola di cui amiamo riempirci la bocca: non ci sarebbe Libertà senza Liberazione, non ci sarà mai Libertà senza Resistenza.

Organizzare eventi mossi da nobili intenti, come pulire i nostri paesi coinvolgendo i più giovani o celebrare le libertà di espressione artistico culturali, che per altro ci vedrebbero attivi partecipanti in altre date, ovviamente sempre muniti di regolare certificazione verde, snatura l’essenza del 25 aprile e porta a recidere il legame storico e umano con gli ideali e l’esempio della Resistenza.

Il 25 Aprile di quest’anno definisce il tempo delle scelte.

Un tempo per una narrazione complessa contro la narrazione guerrafondaia che vuole il male da una parte e il bene dall’altra senza una qualsiasi analisi più approfondita, un tempo necessario per non doversi trovare più costretti a prendere le decisioni di quelle donne e uomini che hanno animato la lotta per la liberazione dal regime fascista.

Ieri come oggi essere contro il pensiero unico rappresenta la sola via di uscita dal vortice e il dissenso può essere manifestato con piccoli ma grandi gesti anche nei nostri paesi.

A Baitoni e Bondone troviamo delle vie che nel 1939 il Podestà di Storo, che allora amministrava anche questi paesi, intitolò a dei conclamati fascisti della prima ora e che nonostante gli 83 anni trascorsi non vediamo essere mai state cambiate. Stiamo parlando di via Tullio Baroni e via Tito Minniti a Bondone e via Aldo Sette a Baitoni.

Tullio Baroni volontario fascista deceduto in combattimento nella guerra civile di Spagna ottenne la medaglia d’oro al valor militare alla memoria come “tempra eccezionale di fascista e di soldato”;
Tito Minniti aviatore e volontario nella guerra di invasione in Etiopia dove il regime fascista utilizzò a tappeto armi letali quali il gas, stupri e violenze di qualsiasi genere per piegare la resistenza;
Aldo Sette uno dei primi squadristi caduto negli scontri delle squadre d’azione che operarono prima della marcia su Roma.

Sarebbe davvero bello che quelle intitolazioni lasciassero spazio al cambiamento.
In contrapposizione a tale scempio e alle biografie di questi figuri vorremmo le vie così rinominate:
ex via Baroni oggi via Volontari Internazionalisti di Spagna;
ex via Minniti oggi Vittime del colonialismo italiano;
ex via Aldo Sette oggi via Barricate di Parma in memoria della Resistenza popolare della città ai fascisti della marcia su Roma.

Una nuova toponomastica, un piccolo gesto, che ci auguriamo possa portare ad una vera presa di coscienza delle responsabilità di quel regime perché è davvero assurdo che a più di 80 anni di distanza ci sia ancora il ricordo di figure che hanno contribuito a rendere il mondo un posto peggiore.

Il 25 Aprile di quest’anno definisce il tempo delle scelte, l’orologio verso un nuovo regime totalitario corre più forte che mai e noi sappiamo da che parte stare, la stessa di sempre.

Ora e sempre Resistenza!                                               Antifasciste e Antifascisti

Il nemico alle porte

Aprile 7th, 2022 by currac

Ad un mese e mezzo dell’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina sono tante le sensazioni che ci pervadono e ci attraversano e tanta è la rabbia per questa guerra.

Sono stati e sono giorni concitati dove oltre al frastuono delle esplosioni prosegue incessante il bombardamento mediatico di notizie, dove diventa quasi impossibile scindere la realtà dalla finzione e dove la vita e la morte non sono altro che una fiction, una prima tv che ci deve aspetta di fronte al divano.

Ciò che emerso palese è la posizione dell’occidente che al primo squillar di trombe si è attruppato e indossato l’elmetto della propaganda, al grido di armatevi e partite, ha immediatamente appoggiato una linea belligerante e interventista a sostegno tout court di un paese, l’Ucraina, certamente invaso e che ben rappresenta la frontiera delle nuove “land of freedom”: ipernazionaliste e per certi versi reazionarie.

Un po’ di stupore, ma neanche troppo, abbiamo imparato bene a conoscere i nostrani democratici che proni alle indicazioni atlantiste non hanno nemmeno mostrato la solita faccia ipocrita che li contraddistingue e che li ha visti alla meglio girare il viso di fronte ai peggiori massacri in giro per il mondo quando al peggio pure sostenere; la ragion di stato è chiara fin da subito: la pace “non s’ha da fare”.

L’abbiamo conosciuta, affrontata e contrastata in questi anni la loro doppia morale, dove la ratio economica ha sempre avuto il sopravvento rispetto a tutto ed oggi, in prima linea anzi in trincea vediamo gli esponenti di quel partito che porta proprio nel nome la parola democrazia.

In trincea forse no, in fureria come citava Sordi parlando dei romani nello straordinario film di Monicelli “La Grande Guerra” e che sarebbe da rivedere, ma sicuramente all’avanguardia della svolta azionista.

Non è un caso che esponenti di spicco di questo partito oggi ricoprano posizioni chiave in quegli asset definiti strategici del comparto difesa, utilizzando l’ennesimo neologismo che vuole mascherare ciò che in realtà è: l’industria bellica.

Alcuni nomi: Marco Minniti, una vita da democratico, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (governo D’Alema I e II) e ministro dell’interno del Governo Gentiloni ieri firmatario della legge che istituiva dei lager per migranti in Liba e oggi presidente della Fondazione Med-Or, fondazione che tratta con i principali regimi dal golfo persico al Marocco.

Nicola Latorre prima nei democratici di sinistra poi Ulivo e infine partito democratico, oggi direttore generale di Agenzia industria difesa, Fausto Recchia amministratore delegato di Difesa Servizi ed infine Alessandro Profumo Amministratore delegato di Leonardo Finmeccanica azienda con un fatturato da 13 miliardi attiva nella produzione di cacciabombardieri ed elicotteri pesanti, corvette, navi d’assalto e sottomarini, missili aria-terra e anti-nave, cannoni e mitragliatori e sistemi radar giusto per citarne alcuni.

Sono solo alcuni esempi, forse i più eclatanti, tanto da farci però sorgere il sospetto che questi sinceri democratici stiano appoggiando questa narrazione bellicosa non tanto, o meglio non solo, per supposti principi di internazionalismo e/o solidarietà dei popoli ma per i peggiori fini economici.

Va sottolineato poi come il 18 marzo scorso la camera con 367 voti a favore, 25 contro abbia votato per l’invio di armi in Ucraina e come il governo dei migliori stia cercando di imporre l’aumento della spesa militare al 2% del Pil, ossia da 25 a 38 miliardi; una mostruosità che in tempi di emergenza sanitaria rappresenta uno schiaffo in faccia alle bare di Bergamo e ai morti e alle politiche discriminatorie e illiberali promosse.

E se il pesce puzza dalla testa ci chiediamo come sia messo il resto del corpo, la base di questi partiti, che di fronte a questo scempio, a questo pacifismo di facciata, a questo interventismo acritico e interessato, allo stigma dato al nemico di turno, non alzi una voce forte e chiara contro la guerra, qualsiasi essa sia, e contro l’industria bellica che sta, lentamente come un cancro, uccidendo le nostre libertà.

Negli anni abbiamo potuto constatare come tutti quei valori, per loro democratici, siano pian piano stati sostituiti dall’unica cosa importante per questi politici, la gestione del potere a scapito proprio di quei principi dove il whatever it takes, a qualsiasi costo, non è orientato alla tutela dei propri ideali e della propria integrità ma alla difesa dei propri privilegi.

Il nemico è rappresentato oggi da chi finanzia l’industria bellica, da chi la dirige, da chi falsamente propugna ideali di pace seminando guerra e da chi difronte a tutto questo scempio tace.

Il nemico è alle porte, non dimentichiamolo.

Valsabbin* Refrattar*

 

Vaccino e moschetto, democratico perfetto!

Marzo 24th, 2022 by currac

Dell’attitudine terribilmente reazionaria dei cosiddetti democratici ne abbiamo parlato in numerosi scritti pubblicati su questo blog che spaziavano dalla questione memorialistica dalla prima guerra mondiale, passando per la Resistenza arrivando poi alla questione confine orientale ma anche a quella della gestione “pandemica” e che li ha sempre visti come avanguardie della repressione e della falsificazione storica.

In questi giorni i novelli istituti “Lvce”, i mezzi di informazione del regime democratico, solo per un soffio sono riusciti ad allinearsi alla nuova narrazione belligerante che spezzando le reni al racconto pandemico ha in brevissimo recuperato il terreno che pareva perso e a reti unificate ha dichiarato la nuova guerra che questa disgraziata terra si sta trovando a combattere.

E dopo la battaglia al covid, col petto gonfio, il perfetto democratico dopo avere sostenuto leggi emergenziali, isolamento, segregazione sociale e un lasciapassare che di sanitario ha ben poco tant’è che tuttora è lontano dall’essere tolto, in nome della sicurezza e di una presunta libertà, ha tolto il cerotto dal braccio punturato ha indossato l’elmetto e imbracciato il fucile.

Il parlamento contro oltre ogni sua legge, contro pure la costituzione più bella del mondo, la stessa che viene utilizzata o evocata come un magico talismano o una taumaturgica reliquia ad uso e consumo del caso, di fronte alle operazioni russe (esecrabili come ogni guerra d’invasione) ha votato a spron battuto l’invio di armi in Ucraina e senza un minimo dibattito o discussione ha aumentato la spese militare che sarà pari al 2% del Pil, pari a circa 36 miliardi l’anno.

E senza porsi nemmeno una domanda completamente refrattari ad una analisi che considerasse non diciamo l’ultimo secolo ma almeno gli ultimi otto anni questi ipocriti democratici hanno così mostrato il loro essere pacifisti a corrente alternata.

E così da noti democratici abbiamo sentito stigmatizzare chi non si sia allineato a questa narrazione e a questa svolta guerrafondaia tacciandoli come pericolosi disertori, con l’accezione tipica di chi la diserzione non l’ha mai accettata e la guerra, l’idea militarista della società, in fin dei conti l’ha sempre sostenuta.

Il grande varietà bellico si è completato pochi giorni fa con la diretta alla camera del presidente ucraino accolto, ascoltato e omaggiato con 92 minuti di applausi. Peggio è andata a quei mostri, immediatamente sbattuti in prima pagina, che hanno avuto la sola colpa di declinare l’invito di applaudire a reti unificate e non hanno partecipato all’imperdibile show.

Oggi ci troviamo ad affrontare un’economia di guerra fatta di razionamenti, dell’ennesimo stato di emergenza militare che così può giustificare qualsiasi abominio e di un invio di armi forse prologo all’invio di truppe e manna per le aziende armiere principali contribuenti al Pil nazionale, in parte grazie all’assenza di un movimento per la pace che nel ‘900 ci ha contraddistinto e che dobbiamo con forza ricostruire e grazie all’ipocrisia dell’intero arco parlamentare che della pace poco importa e che sa quanto la guerra, all’economia occidentale malata terminale, faccia bene.

Ma il democratico queste cose non le vuole sapere.

Putin oggi è il nemico su cui concentrare i quotidiani 2 minuti di odio, indossando l’elmetto della propaganda resistente a qualsiasi dubbio e imbracciando le armi spuntate del vaccino e del moschetto che per questo democratico perfetto, sempre in prima linea a combattere il nemico di turno, rappresentano l’immunizzazione dalla più terribile delle malattie che lo può affliggere: la Libertà.

Lunga vita ai disertori, ai sabotatori e a chi della guerra non ne vuole sentire parlare e che della pace ne fa una ragione di vita.

Si può mettere la natura in lockdown?

Febbraio 10th, 2022 by currac

Ha creato grande allarme il ritrovamento lo scorso 7 gennaio 2022 delle prime carcasse di cinghiali morti per la famigerata peste suina africana, malattia virale che colpisce cinghiali e suini. I primi capi trovati nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria, hanno destato estrema preoccupazione per la contagiosità della malattia, che però non è trasmissibile all’uomo, e hanno fatto immediatamente attivare gli enti preposti alla vigilanza.

Già dopo pochi giorni il mistero della salute ha rilasciato due circolari contenenti specifiche misure di emergenza, a distanza di pochi giorni il 13 e 18 gennaio, queste circolari hanno istituito una zona infetta, che oggi comprende 78 comuni del basso Piemonte, tutti in provincia di Alessandria, e 36 in Liguria (Genova e Savona) entro cui vengono prescritti dei divieti per impedire una lunga serie di attività all’aria aperta, quali esercizio venatorio, raccolta funghi, trekking e che in sintesi introducono un lockdown (l’ennesimo inglesismo pensato per rendere più dolci le restrizioni  confinamenti) finalizzato al contenimento entro quei luoghi della peste suina africana riscontrata nei capi di cinghiali ritrovati morti.

Divieti e repressione dello stato centrale e delle sue ramificazioni che non si limitano a creare aree interdette, novelle “servitù sanitarie”, ma che vanno come sempre a colpire la microeconomia imponendo tra l’altro la macellazione immediata dei suini degli allevamenti famigliari.

Il cinghiale praticamente assente nell’arco alpino e presente in piccoli gruppi negli Appennini, sopravvissuto oggi nella specie autoctona solo in Sardegna, è stato dal primo dopoguerra oggetto di incroci con razze provenienti dall’est Europa o di ibridazione con maiali allevati allo stato brado.

Questi ibridi, grossi fino al doppio della specie autoctona maremmana, più voraci essendo meno selettivi e decisamente più prolifici, una scrofa può arrivare a partorire 2 volte l’anno fino a 12 piccoli a volta, hanno rappresentato inizialmente una fonte di sostentamento alimentare e col passare degli anni, in assenza di un adeguato contenimento, di predatori in grado di limitarne la crescita (i lupi nostrani faticano a competere con questi animali di grossa taglia) e del graduale abbandono dell’uomo dei boschi stanno diventando una vera piaga per chi vive le zone collinare e montane, distruggendo in modo sistematico coltivazioni, prati e pascoli.

Ma non solo perché da Genova a Roma sono oramai quotidiane le scorribande di questi capi filmati a rovistare tra i cumuli di immondizia nelle periferie cittadine.

L’urgenza di contenere la diffusione di questa malattia non è dettata da uno spirito ambientalista o di tutela della salute della fauna selvatica, ma dalla necessità di impedire che questa raggiunga gli allevamenti intensivi della pianura padana.

Immediata e come spesso capita fuori luogo è stata la presa di posizione di molte associazioni pseudo ambientaliste che anziché vedere la luna (la criticità intrinseca degli allevamenti intensivi) guardano il dito attaccando la caccia; Legambiente nazionale, ha lanciato un appello al ministro della Salute Roberto Speranza per l’emanazione di «un’ordinanza che vieti per i prossimi 36 mesi la caccia nelle forme collettive al cinghiale (braccata, battuta e girata) senza rendersi conto che l’assenza di un contenimento del cinghiale può causare solo criticità.

Problemi dati dall’assenza di predatori e dalla prolificità di quegli animali che già nel brevissimo termine può portare a condizioni di sovrappopolamento che possono essere causa di malattie e dello spostamento degli animali.

L’area dove sono stati riscontrati i primi casi di influenza suina africana è strategica perché è quella che mette in collegamento le Alpi con gli Appennini e quindi, potenzialmente, i grossi allevamenti suinicoli della pianura che va da Parma al Friuli, ma anche gli allevamenti della bassa pianura bresciana, cremonese e mantovana. Un corridoio ecologico che negli anni è stato utilizzato da molti altri animali, lupi e sciacallo dorato per citarne due, per allargare il loro habitat.

Pensare che queste misure possano limitare la diffusione della malattia è pura fantasia, ben altre sono forse le intenzioni dietro queste leggi emergenziali.

Se da un lato malattie infettive e allevamenti intensivi sono collegati, l’abbiamo visto con il Covid19 anche se difficilmente sapremo se davvero è davvero di origine animale, dall’altro sappiamo quanto negli ultimi decenni la continua sottrazione di habitat ai selvatici a favore degli allevamenti intensivi, inquietanti sono immagini delle porcilaie in Cina alte 13 piani costruite in mezzo ai boschi, sia possibile causa di trasmissione di malattie col famigerato spillover o salto di specie.

Inoltre, non ci si può esimere dal fare un parallelo tra l’esperimento sociale che vuole sempre più ambiti della vita umana interdetti per la questione sanitaria.

L’esperimento che vuole collegato in una morsa letale la libertà alla salute l’abbiamo visto applicato scientificamente negli ultimi due anni ed ora col pretesto della peste suina africana lo vediamo esteso ad ambiti prima esclusi.

Questa accelerazione, questo passo successivo rispetto al Covid19, non riguarda la salute umana o animale ma quella di un sistema produttivo, quello degli allevamenti intensivi che per loro stessa esistenza sono insalubri. Sistemi insostenibili sia per gli animali costretti a vite artificiali e innaturali, in spazi confinati dove il malessere animale è pianificato e regolamentato da leggi europee e sia per l’ambiente soffocato dalla meccanizzazione, dalla perdita di biodiversità, dalla chimica e delle deiezioni derivanti da questi incubatoi di patologie.

Non è un caso che nelle stalle, in particolar modo di avicoli e suini, le terapie antibiotiche siano prassi e routine pianificate a seconda dell’età degli animali e non estrema ratio in caso di infezioni.

La salute di questo sistema produttivo deve essere garantita e protetta per tutelare il comparto e sua economica e sull’altare di quei profitti viene sacrificata la nostra libertà di movimento, azione e sostentamento. Oggi i comuni interdetti sono nelle regioni ad ovest ma presto, molto presto, potrebbero estendere questa idea di zona infetta in altre regioni, da noi.

Accettare il lockdown anche per la natura può essere il passo definitivo per la normalizzazione del confinamento che dopo socialità, cultura e lavoro toglierebbe definitivamente l’ultimo spazio di libertà che abbiamo goduto nel periodo di confinamento e che nei secoli ha rappresentato rifugio e alcova delle più belle idee di vita, rivolta e libertà.

Contro queste follie per la nostra libertà.

Pernice Nera

Riflessione sul certificato verde 2

Gennaio 24th, 2022 by currac

Che il certificato verde sia un provvedimento che poco ha avuto e ha a che fare con la sicurezza sanitaria è un fatto che fin dalla sua introduzione abbiamo fortemente affermato.

Pensato e approvato lo scorso giugno dall’unione europea per “regolamentare” gli spostamenti delle persone tra i suoi stati aderenti e presentato in pompa magna dal suo presidente Sassoli che l’ha sponsorizzato come misura di tutela sanitaria, è stato fin da subito recepito, applicato dal governo a guida Draghi e fin dai primi mesi sempre più esteso.

Già in agosto lo abbiamo visto reso obbligatorio per l’accesso a ristoranti al chiuso, palestre, piscine, centri termali e altri luoghi dove poteva sussistere il rischio di assembramento, come cinema, teatri, sale da concerto, stadi o palazzetti sportivi, convegni e congresso.

Il 15 ottobre poi l’obbligo è stato ampliato pure per recarsi al lavoro. Il decreto del 21 settembre, decreto prassi di governo ormai divenuta abituale che bypassa completamente qualsiasi confronto con le parti sociali e qualsiasi dibattito parlamentare, in sintesi decide il presidente del consiglio e i suoi ministri, introduce l’obbligo di possesso ed esibizione del certificato verde per l’accesso ai luoghi di lavoro, inizialmente fino al 31 dicembre, pena la sospensione.

La svolta di questo lasciapassare è introdotta col decreto dello scorso 26 novembre scorso vigente dal 6 dicembre che amplia il concetto di certificato verde introducendo il super greenpass o g.p. rafforzato affermazione della volontà di rendere subdolamente obbligatoria l’inoculazione e che e ha reso necessaria un’ulteriore divisione sociale con regole diverse per vaccinati o guariti e i non vaccinati e che rispetto al primo è rilasciato solo alle persone sottoposte all’inoculazione o guarite.

Il Decreto del 23 dicembre, passato come decreto Natale 2 ha infine prorogato lo stato di emergenza al 31 marzo 2022, in barba pure alle norme costituzionali, il possesso del g.p. per accedere al luogo di lavoro e ha introdotto ulteriori strette per il periodo natalizio.

Sempre col metodo del decreto-legge dal 20 gennaio e nei prossimi giorni il lasciapassare sarà obbligatorio fino al 31 marzo anche per l’accesso ai locali di servizi alla persona, quali parrucchieri e estetisti, agli istituiti di credito e alle poste e ai pubblici uffici e sarà obbligatorio per accedere alle tabaccherie, alle poste, e alle agenzie di collocamento e ai caf.

Ormai è evidente che la misura del certificato sia contraria a qualsiasi necessità medica o sanitaria e poco ha che fare con il contenimento di questa malattia, le evidenze sono numerosissime, pure i medici “amici” di governo ne stanno denunciando l’inutilità e perfino Amnesty si è espressa a riguardo; in merito citiamo solo dall’obbligo di affiancare un tampone negativo al certificato per potere accedere a certi luoghi.

Le menzogne di stato, colpose e sempre più dolose, dalla tachipirina e vigile attesa alla frase: “Non ti vaccini, ti ammali e muori e fai morire” fino a quelle che riguardano questa misura stanno mostrando come si stia profilando all’orizzonte un sistema di controllo sociale che se inizialmente era verticistico e centralizzato col susseguirsi delle norme contenute in questi decreti sta scivolando via via nel peggior sistema di verifica e delazione dei più noti regimi che la storia ricorda.

Il certificato verde è l’ennesimo strumento di ricatto ed è una pratica estorsiva, se non l’hai non lavori, non accedi ai luoghi di cultura e di socialità, che troppo spesso vediamo utilizzata anche dal padronato italiano, sono decine le segnalazioni che in questi mesi sono state raccontate.

Si cominciano a leggere di gruppi di studenti volontari, novelle guardie rosse della rivoluzione, pronti al controllo del certificato e al deferimento all’autorità dei rei possessori o non di un certificato non valido.

La pandemia passerà ma il desiderio di controllo no, si prospettano tempi bui tempi in cui solo la nostra ferma opposizione a queste leggi liberticide e antiscientifiche potrà scongiurare.

Valsabbin* Refrattar*

Cronologia pandemica vol.III

Gennaio 20th, 2022 by currac

INVERNO 2021-2022

23 dicembre: stretta per le festività natalizie, stop di eventi anche all’aperto per capodanno e modifica della durata dei certificati verdi e dell’obbligo di somministrazione della quarta dose

Natale: il decreto del 23 dicembre provoca il caos e lunghissime code e assembramenti si creano fuori dalle farmacie.

29 dicembre: nuovo decreto che estende il super green pass anche ai mezzi di trasporto e ad altre attività per cui prime era sufficiente il solo green pass base

5 gennaio: il decreto Covid prevede un cronoprogramma di estensione dell’obbligo di certificato verde super per l’accesso ai locali di servizi alla persona, quali parrucchieri e estetisti, agli istituiti di credito e alle poste e ai pubblici uffici e sarà obbligatorio per accedere alle tabaccherie, alle poste, e alle agenzie di collocamento e ai caf. Il decreto introduce l’obbligo vaccinale per gli over 50 pena la comminazione di una sanzione amministrativa di 100€.

15 gennaio: Il Tar del Lazio si è pronunciato su un ricorso promosso da alcuni medici, che contestavano la validità della circolare del Ministero della Salute sulla Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-COV-2, nella parte in cui, nei primi giorni della malattia, prevede una mal intesa “vigilante attesa” e somministrazione di FANS e paracetamolo (principio attivo della Tachipirina) e in particolare nella parte in cui pone delle indicazioni “in negativo”, ossia sconsigliava ai medici di utilizzare determinati farmaci come l’idrossiclorochina.

20 gennaio: Il Consiglio di Stato ha sospeso con un decreto la sentenza del Tar del Lazio che annullava il protocollo ministeriale riguardo le cure domiciliari. Se ne riparlerà in Camera di consiglio il prossimo 3 febbraio. Dolosi dilettanti allo sbaraglio.

 

 

Cronologia pandemica vol.II

Dicembre 23rd, 2021 by currac

AUTUNNO 2021

Normalizzazione dei trattamenti sanitari obbligatori

22 settembre: l’Ue firma un contratto di acquisto per 5 nuovi anticorpi monoclonali, che dovrebbero essere utilizzati a partire da ottobre

23 settembre: Draghi firma il dpcm che rende obbligatoria la certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro, sia nel pubblico che nel privato. Chi non lo mostrerà sarà sospeso dal lavoro

25 settembre: prime cariche contro i manifestanti che protestano contro il lasciapassare sanitario e l’obbligo vaccinale

2 ottobre: dopo 2 mesi proseguono incessanti le proteste. Sale la tensione.

6 ottobre: parte in ordine sparso la somministrazione della terza dose con il vaccino antinfluenzale

7 ottobre: viene aperta un’inchiesta dalla corte dei conti per danno erariale sul mancato utilizzo delle terapie a base di anticorpi monoclonali a partire dall’autunno 2020

9 ottobre: durante la manifestazione romana contro il green pass parte un corteo, con in testa esponenti dell’estrema destra italiana, vandalizza la sede della Cgil di Roma

15 ottobre: scatta l’obbligo di possedere ed esibire su richiesta il green pass per tutti i lavoratori del settore privato, a prescindere dalla natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro. L’obbligo è al momento previsto fino al 31 dicembre 2021, data in cui, salvo proroghe, terminerà lo stato di emergenza sanitaria. Numerose proteste che hanno il loro focus nella città di Trieste.

18 ottobre: i manifestanti al varco 4 del porto di Trieste vengono sgomberati con l’uso di idranti e cariche a freddo.

26 novembre: viene introdotto il super green pass o green pass rafforzato che cambia le regole per accedere ai luoghi di lavoro (obbligo di super green pass per gli over 50 al lavoro e obbligo vaccinale per chi ha compiuto i cinquant’anni se è senza lavoro) trasporti e mezzi pubblici, ristoranti e bar, università, matrimoni.

5 diembre: Mario Monti ex presidente del consiglio in studio da Fazio ci ricorda quanto la nostra libertà stia loro a cuore:  “abbiamo iniziato ad usare il termine guerra ma non abbiamo usato una politica di comunicazione adatta alla guerra. Bisognerà trovare un sistema che concili la libertà di espressione che dosi dall’alto l’informazione… parlando continuamente di covid si fanno solo disastri, comunicazione di guerra significa che ci deve essere un dosaggio dell’informazione. Bisogna trovare delle modalità meno democratiche”.

 

Sulla disumanizzazione del dissenso

Novembre 22nd, 2021 by currac

Da oramai quasi due anni assistiamo alla sospensione di numerosi diritti costituzionali e dell’individuo in nome di una emergenzialità della quale non si vede la fine. Chi deciderà se e quando quei diritti saranno restituiti in forma inalienabile? I dati di occupazione delle terapie intensive dei pazienti COVID?

Beh forse nel 1980 ce la saremmo giocata meglio grazie agli allora 922 posti letto disponibili ogni 100.000 abitanti contro i 275 attuali. Il tasso di positività ad un virus,asintomatico nel 95% dei casi, rilevato peraltro tramite un test ritenuto inadatto a fini diagnostici dal suo stesso ideatore?

Pare si vada verso l’endemizzazione del virus e di pari passo all’endemizzazione dello stato di emergenza ormai prossimo allo stato di eccezione.

Si dà oramai per scontato che a breve, per eludere il termine massimo di anni due previsto per la proroga dello stato di emergenza, il governo pescherà dal cilindro un escamotage per rinnovare la medesima condizione semplicemente chiamandola in altro modo.

Per dirla con le parole di un filosofo non certo sovversivo come Massimo Cacciari “Chi non capisce la gravità della questione non ha alcuna sensibilità costituzionale e democratica.”

Un governo “tecnico”, con una super maggioranza appiattita a sostegno di un premier/banchiere non eletto, rappresentativo solo degli interessi della grande finanza, avanza a colpi di fiducia e decreti  ministeriali.

Ogni forma di dissenso viene totalmente annichilita. Mediaticamente ignorata fino a quando possibile, poi demonizzata. Chiunque, a cominciare da medici e scienziati, esprima dubbi riguardo la narrazione pandemica ufficiale viene radiato o ostracizzato, in nome di una supposta scienza, che in realtà cessa di esser tale proprio perché rifiuta il dibattito.

Molti fra i “sinceri democratici” che per decenni si sono stracciati le vesti, denunciando il conflitto di interesse del vecchio caimano, non battono ciglio mentre si impongono discriminazioni, restrizioni, coprifuochi e lasciapassare, seguendo le indicazioni di virostar e politici in palese conflitto di interesse, che sguazzano in un sistema di porte girevoli fra gli incarichi della politica, delle istituzioni sanitarie e delle grandi multinazionali del farmaco. Per non parlare dei finanziamenti alla ricerca e agli enti sanitari stessi. Emblematico il caso dell ‘OMS che riceve oltre l’ 80% dei suoi finanziamenti proprio dalle grandi case farmaceutiche.

La strutturazione del pensiero unico e la disumanizzazione del dissenso sono giorno dopo giorno perseguiti da campagne mediatiche a reti unificate che ripetono dei mantra che si possono sintetizzare con le recenti lapidarie dichiarazioni del primo ministro : “non ti vaccini, ti ammali, contagi, muori e fai morire”.

E poco importa se sia ormai acclarato che queste terapie geniche non immunizzino affatto dal contagio e dalla possibilità di contagiare, ma prevengano nel migliore dei casi l’insorgenza della forma grave della malattia per qualche mese. Evidenza che dovrebbe spingere qualsiasi persona capace di raziocinio a chiedersi dove starebbe il beneficio nel sottoporre a tale trattamento sperimentale, con effetti avversi a breve termine non certo trascurabili, e a medio-lungo termine totalmente sconosciuti, persone che nulla hanno da temere da un virus opportunista, le cui vittime hanno una media di età di 82 anni e convivevano con almeno 2 patologie gravi pregresse (fonte Istituto Superiore di Sanità).

Già è iniziata la martellante indegna campagna mediatica da Istituto Luce per incentivare l’inoculazione di bambini sani nella fascia di età 5-11 dove il rischio di mortalità per Covid è lo zero assoluto.

Questo mentre ogni terapia di trattamento precoce della malattia viene screditata ed inibita, mantenendo le indicazioni del ministero della salute ferme alla tachipirina e vigile attesa.

Chi rifiuta di ricevere la nuova eucarestia viene marginalizzato, paragonato ad un evasore fiscale, obbligato a pagare per dimostrare di esser sano anche per godere di quel diritto al lavoro sancito dal PRIMO articolo della costituzione.

Grande è la polemica in questi giorni riguardo ai manifestanti di Novara che hanno sfilato nei panni di deportati nei lager nazisti. L’enormità della tragedia rievocata dalla loro provocazione ha urtato  la sensibilità di molti, lasciando poco spazio all’evidente invito alla riflessione, che avrebbe dovuto riportarci alle parole di Primo Levi :

Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio….

Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione………

Ricordando l’olocausto e le sue vittime ci si interroga  spesso di come il popolo tedesco sia potuto arrivare ad accetare più o meno passivamente gli orrori e l’inumana violenza riservata a non ariani e  dissidenti.

Evidentemente il regime nazista ha prima avuto bisogno per diversi anni di mostrificare con la propaganda  tali categorie privandole agli occhi dei più della dignità umana .

Di seguito riporto un breviario, certamente non esaustivo, di alcune dichiarazioni passate dai media nostrani lasciando a chi legge il giudizio se possano o meno essere ritenute frasi di incitamento all’odio e  possibile preambolo al materializzarsi di vie di fatto concretamente violente nei confronti del loro target :

Propongo una colletta per pagare ai no-vax gli abbonamenti a Netflix per quando, dal 5 agosto, saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci”. Roberto Burioni, immunologo.

Vorrei vederli cadere come mosche”, Andrea Scanzi, giornalista.

“Chi non si vaccina va preso per il collo” , Lucia Annunziata, giornalista.

Tutti i vaccinabili siano immunizzati con le buone o con le cattive”, Matteo Bassetti, infettivologo.

Io sono molto democratico: campi di sterminio per chi non si vaccina”. Giuseppe Gigantino, medico.

Carrozze dei treni dove segregare i no vax”, Mauro Felicori, assessore alla cultura Emilia Romagna

“La ministra Lamorgese richiami in servizio il ‘feroce monarchico Bava che con il piombo gli affamati sfamò’“,Giuliano Cazzola, giornalista.

Mentre i sistemi di governo delle pur sempre imperfette democrazie liberali occidentali  stanno assumendo i tratti di società totalitarie e del controllo, con l’Italia a fare da capofila, in troppi guardano  passivamente al nuovo corso.

La subdola ragione che spinge molti ad accertare l’inaudita compressione dello stato di diritto è la sempre sbandierata necessità scientifica di tutelare la salute della comunità. Resta inspiegabile come possa avere credibilità e presa tale argomentazione portata avanti dallo stesso sistema di potere che ha quasi  ompletamente smantellato la sanità pubblica, favorendo sistematicamente da decenni il profitto privato sulla pelle dei suoi cittadini.

E’ importante ricordare che l’accettazione delle leggi razziali del 38 in Italia fu sdoganata da un manifesto firmato da parecchi fra i più eminenti scienziati dell’epoca.

E che in egual misura la ghettizzazione iniziale degli ebrei fu supportata da una forte propaganda che li dipingeva come contaminatori della purezza genetica ariana, ma anche come diffusori di malattie infettive quali tifo e colera.

Anche allora in pochi trovarono il coraggio e la dignità per opporsi attivamente all’incedere della  barbarie nazifascista.

In Italia solo 12 professori universitari su 1.200 rifiutarono la tessera del partito fascista, vedendosi così privati di agibilità politica e sociale, oltre che del lavoro.

In pochi anche oggi hanno trovato la forza e l’umanità di rifiutare il nuovo lasciapassare governativo.

Banditi e criminali venivano chiamati anche i primi fieri oppositori dei regime, sistematicamente bastonati,  imprigionati, confinati, fisicamente eliminati. E restarono, fino alle disfatte belliche del regime che portarono sul carro della resistenza buona parte degli italiani, una esigua e sparuta minoranza.

Compito di chi vuol tener vivo il loro  esempio di sacrificio e resistenza è quello di saper riconoscere le nuove meschine forme con cui si ripresenta  il totalitarismo. Per combatterlo aspramente sin da subito senza attendere che i frutti degeneri della sua violenta propaganda ci riportino alla riproposizione di nuove tragedie per l’umanità.

Affinché nessuno un giorno ancora debba chiedersi come una società possa arrivare ad assuefarsi alla banalità del male.

Winston

Riflessione sul certificato verde

Novembre 5th, 2021 by currac

Con questo breve scritto vogliamo aggiungere una riflessione sul certificato che da qualche mese è divenuto essenziale per vivere le nostre vite, partendo proprio dall’analisi sintattica del nome, nella neolingua green pass.

Il green è ovviamente collegato all’idea verde che ha sempre un’accezione positiva e che può essere collegata a quei modelli di sviluppo più sostenibili o rispettosi verso l’ambiente, ovviamente senza snaturarne la visione classista e pass che letteralmente è tradotto con lasciapassare, è volutamente anglicizzato, inutile dire che sentimento può suscitare questa parola in italiano, ma di questo si tratta.

Di certificato verde abbiamo cominciato a sentire parlare a marzo 2021 quando il consiglio europeo cominciò a pensare ad un documento che attestasse l’avvenuta vaccinazione. La sua deliberazione è poi avvenuta lo scorso giugno, quando l’Ue l’ha adottato per evitare quarantene e test a chi voleva spostarsi in uno dei suoi stati membri. Il certificato, fatto passare come un diritto per tutti i cittadini, è stato pensato e rilasciato a chi è stato vaccinato, a chi è guarito dalla Covid-19 e a chi si è sottoposto a un test ed è risultato negativo, con test molecolari validi di 72 ore e quelli rapidi 48 ore.

La validità del certificato è variabile, con la doppia vaccinazione la certificazione è valida per nove mesi, con la prima dose vaccinazione fino alla somministrazione successiva, con la guarigione sei mesi e con guarigione con una dose di vaccino per nove mesi.

L’adozione italiana arriva praticamente contestuale a quella europea con il dpcm del 17 giugno che oltre alla “libertà” di spostamento, dal 6 agosto, introduce limitazioni per l’accesso a ristoranti al chiuso, palestre, piscine, centri termali e altri luoghi dove c’è il rischio di assembramento, come cinema, teatri, sale da concerto, stadi o palazzetti sportivi, convegni e congressi.

In pratica la socialità, lo svago e la cultura vengono subordinate al possesso di questo documento.

Col rientro dalle ferie estive l’obbligo di certificato verde è stato imposto per l’accesso a scuola, università e trasporti nazionali e con il dpcm del 23 settembre è stato esteso pure per l’accesso al luogo di lavoro sia pubblico che privato, tegola definitiva per chi ancora pensava questa misura fosse stata pensata per avere una qualsiasi utilità nel contenimento del virus.

Verso la fine di settembre, in considerazione di quelle certificazioni verdi in scadenza entro il 31 dicembre, circa 3 milioni, il governo ha deciso, su “consiglio” del Cts, il prolungamento della durata del certificato verde, da 9 a 12 mesi. La scelta è prettamente politica in sfregio alla religione scientifica (bell’ossimoro) finora professata in quanto non è stata supportata da reali dati ma è fatta per evitare che le certificazioni di quelle persone cessassero non avendo disponibili le terze dosi di vaccino e non potendo chiedere i tamponi.

Questa situazione è stata confermata anche da Crisanti che intervistato dalla trasmissione della terza rete Report andata in onda lunedì 1° novembre alla domanda dell’intervistatore “Sulla base di quali dati scientifici si basa (la proroga della durata del gp ndr)?” ha risposto categoricamente “Su nessuna base”.

Consapevoli dell’inutilità di questi novelli profeti, diciamo che fin dalle prime analisi sul tema abbiamo contestato la misura e da mesi andiamo dicendo che questo certificato verde non è un mezzo utile per contenere la diffusione del virus e la definitiva debellazione della pandemia, ma è il fine stesso.

Il certificato è pensato per creare le divisioni necessarie affinché chi ha devastato e saccheggiato la sanità pubblica in questi anni non paghi per quella gestione, per rinfocolare il ricatto lavorativo e allineare il sistema produttivo sul modello cinese e/o americano e per instillare quel tremendo seme del controllo nella società in spudorato sfregio a chi questa situazione l’ha già pagata ammalandosi o morendo.

Si rende sempre più necessaria una ferma opposizione alla misura in sé e contro una qualsiasi idea di rinnovo, che non dimentichiamo si dovrà accompagnare alla proroga dello stato d’emergenza, che rappresenterebbe il definitivo passaggio da un sistema democratico malato terminale ad uno dittatoriale in piena salute.

Contro il certificato verde per le libertà!

Valsabbin* Refrattar*

Quale riconciliazione

Ottobre 31st, 2021 by currac

Abbiamo appreso nei giorni scorsi del convegno promosso dall’associazione amici della storia di Vestone dal titolo “Paolo Giacomini: una giovane vita spezzata per amor di patria” che si svolgerà sabato 30 ottobre a cavallo degli abitati di Belprato e Vestone. La celebrazione propone la deposizione di una corona al monumento ai caduti a Belprato, dove è presente anche il nome del Giacomini, e continuerà all’auditorium di Vestone con i vari interventi del convegno.

Già in passato abbiamo scritto del rapporto che intercorre tra storia e memoria, alcuni degli articoli sono stati raccolti nell’omonima sezione di questo blog e anche in questa occasione vogliamo evidenziare, pur non descrivendo cosa sia stata stata la X-mas, la repubblica sociale, il battaglione Fulmine o la figura di Paolo Giacomini povero figlio del suo tempo, quale sia il subdolo tentativo di imporre una nuova narrazione dietro a quel periodo storico.

Sotto la magica parola di riconciliazione, utilizzata da uno dei relatori per la presentazione del convegno, c’è il chiaro intento di far passare dinamiche di pacificazione rispetto a quel periodo e a quei fatti che non possono esistere (ad esclusione della morte,livella sociale, che ha coinvolto anche il Giacomini), soprattutto se l’analisi e il racconto storico derivano da una propaganda tanto subdola quanto gretta.

Oggi tutta questa grettezza la troviamo in manifestazioni come quella di Vestone ove la retorica militarista vuole celebrare quel periodo e i suoi eroi quali “eroi a prescindere”, quindi rimuovendo ogni necessario giudizio storico; italiani che dopo l’armistizio del ‘43 si schierarono con la dittatura e i nazisti contro altri italiani quali erano i partigiani o i civili da loro ammazzati.

La vediamo in molte parole e celebrazioni per il centenario del “Milite Ignoto” (introdotto proprio da un sovrano per imbonire il proprio popolo mandato al massacro senza scrupoli) ove non si celebra la vittima per eccellenza di ogni guerra, ovvero l’umanità massacrata ed abbruttita, ma la figura del “servitore”, di cui si sottolinea l’indubbia italianità, mandato a morire per un astratto “interesse nazionale”, per una “gloria” che è solo quella di chi manda a rotoli il mondo in quanto incapace di guardare ad esso se non con sguardo predatorio.

Come è possibile assistere ancora a questa retorica, prettamente militarista e nazionalista (il feticismo per le armi è solo la punta di questo iceberg), che solleva la guerra e le sue “gesta”, definite sempre eroiche, da ogni giudizio di merito, di contesto, di valutazione etica e per chi si professa credente, da imperativi morali?

Come non stigmatizzare chi vuole assolvere le “gèsta militari” anche quando era dalla parte sbagliata o veniva imposta alle proprie genti abituate al lavoro e desiderose di vivere in pace?

Come non sottolineare la schizofrenia dalle associazioni d’arma quando avallano parole come “servire la Patria” o “morire per amor di Patria” che intenzionalmente vengono pronunciate da questi “relatori” in modo strumentale?

Quale idea di patria hanno queste associazioni d’arma presenti col loro simbolo sulla locandina e con la loro presenza al convegno. Quella della Xmas e della Repubblica Sociale per cui Giacomini è morto o un’altra?

Sarebbe interessante saperlo in considerazione della loro presenza alle numerose commemorazioni partigiane o al “culto” di Mario Rigoni Stern che dopo la Russia fu deportato nei campi di sterminio in Germania dove vi stette due anni.

Siamo di fronte, ancora, ad una intollerabile propaganda che si appoggia ad un becero militarismo che per sua natura è nazionalista, che per esistere necessita di porre popoli contro popoli e che trova origini nella manipolazione dei cittadini, in primis intorbidendo con falsità la memoria storica collettiva.

Difendiamoci da queste retorica, da questa narrazione tossica e falsa, che rimuove ogni responsabilità etica e storica della guerra stessa, le responsabilità collettive e dei singoli e con queste mistificazione confonde vittime e colpevoli, attaccando queste falsità con l’unica verità storica: l’opera del fascismo e dei fascisti prima, durante e pure dopo la seconda guerra mondiale è un crimine e che non può in alcun modo essere oggetto di alcuna riconciliazione.

Valsabbin* Refrattar*

I 10 giorni di Trieste

Ottobre 26th, 2021 by currac

Con questo scritto si vuole fornire una cronaca dei 10 giorni che hanno fatto balzare la città e il porto di Trieste alle cronache nazionali. Giorno per giorno verranno elencati i principali fatti accaduti, le dichiarazioni dei principali protagonisti e al termine verranno fornite proposte e analisi per il prossimo futuro di lotte.

L’effettiva entrata in vigore del dpcm del 23 settembre, che ha reso obbligatoria la certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro, ha scatenato proteste in tutta Italia che hanno, fin dai primissimi giorni, trovato il loro focus nella città di Trieste. La ferma posizione dei camalli triestini (circa un migliaio di cui 200 persone, il 40% delle quali non è vaccinato fonte il sole 24 ore 13.10.2021) di rifiutare il certificato verde, sia con tampone che con vaccino, ha portato nei primi giorni di ottobre l’agenzia per il lavoro portuale (Alpt) a proporre di pagare il costo dei tamponi obbligatori. La proposta, supportata anche da una nota della prefettura, ha trovato un secco no sia da parte dei lavoratori che quindi hanno indetto lo sciopero per il successivo 15 ottobre che dal presidente del consiglio Mario Draghi che ha dichiarato pubblicamente la ferma contrarietà.

L’importanza strategica del porto di Trieste è ben rappresentata dall’immagine sotto riportata e travalica le dinamiche di potere e commerciali nazionali. Le ramificazioni ferroviarie collegano il porto con l’area mitteleuropea ed è facile immaginare come i blocchi dichiarati abbiano potuto causare ripercussioni negative e forti danni economici in quegli stati.

Fin dalle prime ore dell’alba di venerdì 15 ottobre, primo giorno di applicazione del dpcm, 9000 persone (fonte Fanpage.it) si sono trovate in città e al varco 4 per manifestare contro l’obbligo di esibizione del certificato verde. Una composizione molto eterogenea, in prima linea i portuali, contrari di sorta e persone legate ai movimenti politici sia anarchici che di estrema destra, quest’ultimi indubbiamente presenti nella città alabardata. Viene comunque garantita la minima movimentazione delle merci

La giornata scorre bene, emerge la figura di Stefano Puzzer quale portavoce del Comitato lavoratori portuali Trieste (di seguito nell’articolo Clpt). La protesta crea clamore e la notizia passa anche sui principali media convenzionali.

In una nota congiunta le segreterie territoriali di Trieste di Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti e Ugl Mare si esprimono così a proposito della giornata di sciopero di oggi nello scalo di Trieste: “Crediamo che debba riprendere quanto prima la piena operatività del porto”.

Sabato 16 ottobre, Trieste si anima e al presidio si aggiungono numerosi manifestanti che da buona parte dello stivale portano sostegno e solidarietà

Verso le sera, ore 19.00, il secondo comunicato del Clpt tra le righe paventa la possibilità di sospendere la protesta, che sarebbe dovuta durare almeno fino al 20 ottobre e lascia sgomenti e basiti i numerosi sodali anti certificato: “Questa prima battaglia l’abbiamo vinta, dimostrando la forza e la determinazione dei lavoratori portuali e di tutti coloro che li hanno affiancati e sostenuti nella difesa della democrazia e della libertà individuale”, ma occorre “fare un passo in avanti assieme alle migliaia di persone e gruppi con cui siamo entrati in contatto in questi giorni”, dunque “da domani torniamo al lavoro chi può ma non ci fermiamo”.

Puzzer dopo l’uscita del secondo comunicato rilascia un’intervista: “il presidio non durerà ad oltranza e la gente che fino ad oggi vi ha preso parte deve andare a casa sua e continuare a manifestare in altro modo; soprattutto chi è venuto da fuori Trieste il quale dovrà raccontare ai suoi concittadini l’esperienza delle proteste di Trieste diffondendo così in tutta Italia consapevolezza e conoscenza, denunciando la criticità totale del Green Pass”

Il comunicato crea sgomento e rabbia che porta i portuali a rivedere la posizione presa: “Vi chiedo scusa, riscriveremo il comunicato. Il presidio va avanti”. Lo ha detto Stefano Puzzer, il portavoce del CLPT, parlando ai no green pass rimasti davanti al molo 4 del porto di Trieste.

Cgil, Cisl e Uil di Trieste in tutta risposta  emettono un comunicato in cui si richiedono che: “si liberi il porto” da chi sta svolgendo il presidio no green pass in questi giorni. “Le legittime manifestazioni di dissenso devono essere garantite ma non possono impedire a un porto e a una città di continuare a generare reddito e prospettive per il futuro. Quelle persone che hanno dimostrato solidarietà a quei lavoratori portuali in presidio facciano un passo in avanti e liberino il porto e quei lavoratori da un peso e una responsabilità che non hanno”.

Domenica 17 ottobre, giornata di ballottaggio delle elezioni comunali (che vedrà la vittoria del candidato del centro destra Roberto Dipiazza), si apre con le dimissioni di Puzzer da portavoce dei portuali; sul suo profilo face book si legge: ““Ho rassegnato le dimissioni dal Clpt Trieste perché è giusto che mi assuma le mie responsabilità. La decisione è soltanto mia e non è stata forzata da alcuno, anzi: il gruppo non voleva accettarle ma io l’ho preteso”.

Terzo giorno di proteste al porto, un grande via vai di persone che aumenta di ora in ora pronte a portare solidarietà ai portuali. Si intravedono le prime divisioni tra le anime che compongono quel blocco, da un lato i portuali e dall’altro i sodali no green pass Trieste. Diverse le anime e diverse le prospettive ma accomunate per ora dalla necessaria abolizione del certificato verde.

Lunedì 18 ottobre i portuali e i no green pass sono sgomberati dal varco 4 del porto con cariche e l’uso degli idranti. Non mi dilungherò sulla descrizione dei fatti, le immagini sono fin troppo evidenti; la polizia in palese violazione della zona franca portuale ha assaltato il presidio con acqua e gas lacrimogeni senza lesinare manganellate ai presenti, pure a chi se ne stava con le mani alzate. Ha fatto il giro del mondo la foto di una donna incinta sanguinante.

I manifestanti sono stati spinti nel parcheggio antistante così da potere essere caricati e successivamente il corteo si è diretto verso il centro di Trieste dove è stato oggetto di cariche anche nel pomeriggio, con tafferugli segnalati fino a sera.

Martedì 19 ottobre il giorno dopo le violenze sbirresche numerosi manifestanti hanno trascorso la notte al porto vecchio o in piazza unità d’Italia. Puzzer consiglia di spostarsi nella piazza, dove tra l’altro ha sede la prefettura, e di abbandonare il porto continuando così le proteste in attesa dell’incontro di sabato 23 ottobre col ministro Patuanelli preventivamente accordato. La piazza durante il giorno è animata da gruppi di persone che la presidiano scandendo slogan.

Il Comitato dei lavoratori portuali di Trieste abbandona le mobilitazioni contro il Green pass. “Visti gli ultimi sviluppi delle mobilitazioni contro il Green pass il Clpt non intende partecipare alla gestione complessiva delle stesse e/o a qualsiasi coordinamento/associazione relativa. Ringraziamo l’amico e collega Stefano Puzzer per tutto il lavoro svolto e gli auguriamo tutto il meglio per il futuro”. Il comitato ha inoltre annunciato che continuerà “il suo impegno sindacale contro l’obbligo di pagare per poter lavorare”.

Balza alla scena nazionale un coordinamento costituito da 5 persone, tra cui Stefano Puzzer e Dario Giacomini, noto medico no vax di Vicenza e primario radiologo sospeso, presidente dell’associazione Contiamoci, che sospinto dalla stampa nazionale pretende di prendere le redini della protesta.

Sempre Puzzer alle ore 17.00 in conferenza stampa, a reti unificate, annuncia la nascita del coordinamento 15 ottobre aggiungendo “La nostra priorità in questo momento è proteggere l’incolumità delle persone e non vogliamo che si ripetano situazioni come quella di ieri. Mantenete ordinata e pulita la piazza”. La strategia della tensione prenquesde forma.

Mercoledì 20 ottobre la nascita del coordinamento 15 ottobre, spinto dalla stampa di regime, divide la piazza sia per il sospettoso protagonismo del suo portavoce che per la prospettiva di lotta incentrata sull’incontro col ministro, che ai più pare una distrazione dalla forma più attiva dei giorni precedenti. La linea collaborazionista del C.15 ottobre è duramente criticata sia dal “Coordinamento no Green pass”, che dal movimento 3V che per voce di Ugo Rossi, suo esponente, in una nota sostiene che “le proposte di incontri ufficiali sono l’arma che lo Stato sta usando per prendere tempo in modo da togliere ossigeno a questo fuoco in crescita” e annuncia che “la nostra battaglia, iniziata a settembre e continuata nelle giornate al porto, prosegue determinata, giorno e notte, fino all’abolizione del green pass”.

La dichiarazione del C15 ottobre conferma i dubbi riguardanti la sua funzionalità a dividere la piazza e stemperare qualsiasi proteste e la sua collaborazione con la prefettura: “Chi ha dormito in piazza Unità”, violando così l’accordo preso ieri sera con il prefetto Valerio Valenti, “lo ha fatto spontaneamente . Noi abbiamo specificato di venire in Porto vecchio”.

La piazza resta animata da poche centinaia di persone che con chiassosi tamburi scandiscono slogan. La repressione muove le proprie pedine con la partenza di una campagna intimidatoria a tappeto amplificata dai social. Fermi e richieste di documenti e messaggi che sconsigliano di andare a Trieste fanno il giro d’Italia. Il prefetto Valerio Valenti dichiara:”S’ipotizza una presenza di 20mila persone alla manifestazione no Green pass a Trieste”.

Giovedì 21 ottobre la piazza è sempre meno popolata da quel movimento colorato e chiassoso dei giorni precedenti. Significativa nella giornata è la protesta organizzata alle ore 13.00 dal Coordinamento No Green Pass di Trieste nell’area del varco 1 del porto di Trieste (l’altro ingresso dello scalo che nei giorni scorsi non era stato coinvolto nella protesta) che però non ha avuto un grande seguito.

In un vicolo periferico e non dalla piazza Puzzer in un video messaggio annulla la manifestazione in programma per venerdì 22 con queste parole:“Stanno venendo centinaia e centinaia di persone qui a Trieste, vogliono venire qui e rovinare l’obiettivo a tutti. Voi, invece, restate a casa, non muovetevi. Questa è una trappola….Non voglio mettere a repentaglio la vostra incolumità, c’è qualcuno che non vede l’ora di approfittare di questo per darci la colpa e bloccare poi le prossime manifestazioni. Fidatevi di me, non vi racconto balle”.

Per disincentivare ulteriormente la presenza in piazza interviene anche il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia con delega alla Salute, Riccardo Riccardi che afferma rispondendo ad un’interrogazione consigliare: ”A Trieste si registra una più bassa percentuale di vaccinati rispetto alla media regionale”.

La strategia della repressione preventiva del dissenso, prende effettivamente forma.

Venerdì 22 ottobre la città si sveglia in un clima surreale. Posti di blocco alle vie di accesso, forze dell’ordine in stato d’allerta e musei e biblioteche chiuse dal comune. Vengono emessi fogli di via e effettuati controlli a tappeto (1500 persone controllate fonte e 12 fogli di via fonte questura di Trieste da triesteallnews.it), si respira un’aria viziata e la piazza così depotenziata trascorre la giornata in un clima di attesa, aspettando un Godot che mai arriverà.

Sabato 23 ottobre, il tentativo di porre come unico interlocutore il neonato coordinamento 15 ottobre, spacca definitivamente  il movimento contrario al pass e mentre in tutta Italia le manifestazione che da luglio animano le piazze prendono forza, a Trieste regna il vuoto pneumatico dell’incontro col ministro e centinaia o forse migliaia di triestini (in totale saranno 3500 persone fonte open.online) sfilano per le strade di Udine.

In mattinata il tanto atteso incontro col ministro, accompagnato dal Prefetto di Trieste Valerio Valenti, si conclude con un nulla di fatto; non serviva essere dei veggenti per capire come il governo abbia mandato un ministro di secondo piano che nel migliore dei casi dopo l’incontro avrà preso l’occasione per passare a trovare i parenti essendo lui triestino d’origine. Da Segnalare la presenza di una delegazione di camalli genovesi.

La vittoria programmatica si concretizza in un incontro sterile ed infruttuoso con il ministro che ascoltate le richieste si è impegnato a riferire le istanze al cdm (consiglio dei ministri) e a dare una risposta entro la settimana successiva. Per voce dello stesso Puzzer in piazza annuncia che:”il ministro Patuanelli ci ha detto che sottoporrà le nostre richieste al governo, che ci risponderà martedì”.

La giornata si conclude con la partenza del tour elettorale del coordinamento 15 ottobre, Puzzer parla alla piazza di Belluno.

Riflessione finale

Questi dieci giorni hanno lasciato in noi la sensazione che sia stata persa un’enorme occasione e che il solco che separa chi è sempre più funzionale alla narrazione e alle politiche governative e chi sta pagando cara la propria opposizione si stia sempre più ingrossando.

Ed è innegabile che oltre alle nostre responsabilità date dalla nostra inerzia debbano essere considerate anche quelle del coordinamento 15 ottobre e del suo portavoce fin da subito sotto i riflettori della stampa di regime che li ha innalzati ad unico riferimento delle proteste e che hanno, agitando lo spauracchio della violenza, fatto il gioco dello stato depotenziando quella che poteva essere una delle prime polarizzazioni di protesta contro il governo attuale e le sue politiche liberticide.

Sulla persona Puzzer e sul C15 ottobre in questo scritto sono stati espressi dei giudizi, forse affrettati, ma che a caldo e per come sono andate le cose non potevano non essere detti.

L’errore strategico del non essere stati presenti in quella piazza, in particolar modo nelle giornate di venerdì e sabato, deriva dalla certezza che avere avuto un ruolo nel rallentamento delle operazioni portuali attraverso quelle modalità di protesta attiva avrebbero creato in primis danni economici ai patronati italiani e europei e in secundis ampliare il divario che separa tutti gli apparati funzionali a questo governo e che colpevolmente sta portando avanti questo esperimento sociale.

Non è un caso che perfino il Washington post in un articolo del 16 ottobre abbia evidenziato questa situazione: “L’Italia si è spinta in un nuovo territorio, inesplorato per una democrazia occidentale … L’Italia è stata la prima democrazia occidentale a imporre il lockdown totale. È stata la prima nazione a rendere obbligatoria la vaccinazione Covid per gli operatori sanitari. Quest’estate il governo ha seguito la Francia nell’introdurre il pass per l’accesso a numerose attività. Il primo ministro Mario Draghi ha persino suggerito la possibilità di essere il primo paese al mondo a introdurre un obbligo vaccinale generalizzato per tutti”.

Per quanto riguarda il solco sempre più marcato che c’è tra chi sta avallando la narrazione di regime e chi sta pagando in proprio il caro prezzo delle proprie idee c’è da sottolineare come i sindacati concertativi attraverso il loro operato siano sempre meno a fianco dei lavoratori e sempre più funzionali strumenti a difesa del capitale.

Negli anni ‘20 del novecento l’intellettuale Luigi Fabbri nel libro “La controrivoluzione preventiva” descrisse come il regime di allora  utilizzò la stampa e i numerosi falsi nemici per affermarsi. Oggi quella finta opposizione, che non è ancora chiaro se sia in buona fede o peggio cosciente, sta facendo il gioco di chi da sempre agendo preventivamente vuole depotenziare qualsiasi protesta.

Se ne esce con una grande riflessione o forse lezione, banale, quella di sempre: La lotta paga, sempre.

Pagava quando i portuali con la loro ferma posizione hanno obbligato lo stato e le aziende a scendere al compromesso del pagamento dei tamponi e che di fronte ad un nuovo no hanno dovuto applicare la violenza insita nella loro stessa esistenza e pagherà se ci rendiamo conto di quanto sia necessario uscire con i nostri contenuti dal recinto dove ci vogliono rinchiusi.

Le manifestazioni di queste settimane si stanno stabilizzando, il numero di persone è in aumento e il confinamento fisico, derivato dal dialogo con le autorità, relega in un pericoloso e rischioso circuito di autoreferenzialità sia fisico che mentale.

Abbattere questi limiti, lottare, osare con coraggio per un futuro di libertà e autodeterminazione.