Un sistema malato

Febbraio 28th, 2021 by currac

Prosegue con questo secondo scritto l’analisi del sistema carcerario italiano, un percorso di avvicinamento all’8 marzo, giorno di lotta trans femminista e triste anniversario delle rivolte scoppiate in moltissime carceri italiane un anno fa.

Dopo l’analisi iniziale riguardante il malessere dato dal sovraffollamento che acuito dal covid ha esasperato la situazione provocando le durissime proteste dello scorso anno, con questo scritto ci contreremo su un aspetto importante del carcere, la recidiva.

Al 2018, secondo i dati del ministero della giustizia, la recidiva per i reclusi in Italia era del 68% circa, molto più alta della media europea, con picchi vicini all’80% per quelle città dove la microcriminalità è più presente, mentre per i prigionieri affidati a misure alternative questa scendeva di poco sotto al 20%.

Purtroppo i reati per cui la recidiva è più presente non sono elencati, possiamo immaginare come la detenzione o lo spaccio di sostanze stupefacenti e la permanenza sul suolo italiano senza i documenti necessari siano tra i più comuni e tra quelli con più alta recidività.

La storia recente ci insegna che basta una legge approvata dal parlamento per essere considerati criminali o innocenti, quindi il dato è interessante ma andrebbe accompagnato dal dettaglio per poterlo valutare nel suo complesso.

Va da se che il parallelo è piuttosto inclemente, la domanda che anche il più giustizialista si deve porre è se il carcere stia davvero assolvendo alla sua funzione di riabilitativa  e reinserimento o sia meramente alla parte costrittiva e punitiva?

La domanda è retorica, lo confermano i detenuti che da dentro ci dicono quanto sia facile avere prescritta una terapia a base di psicofarmaci e quanto sia difficile avere una tachipirina o un colloquio e lo attestano le relazioni, non solo quelle indipendenti ma anche quelle ministeriali.

Se analizziamo poi i costi di questo sistema (nel 2019 circa 2,9 miliardi di euro) vediamo come quasi l’80% della spesa sia impiegata per il personale e ciò potrebbe far pensare che i detenuti siano seguiti; nulla di più falso; abbiamo assistito in questi anni ad una costante ed incessante diminuzioni del personale specializzato sia per il reinserimento che per il supporto psicologico o umano all’interno delle mura.

Alla carenza di personale denunciata quasi giornalmente dai numerosi sindacati di polizia penitenziaria assistiamo parallelamente alla scomparsa di certe figure importanti per i detenuti (ad esempio medici o responsabili dei laboratori) e alla diminuzione della specializzazione del personale e ciò dovrebbe corrispondere ad una diminuzione della spesa ma così non è, anzi tira sempre di più la coperta corta chi già sta al caldo,d’altronde nulla di diverso ci si può aspettare dal tipico atteggiamento parassitario di queste le lobby corporative.

Si aggiunte inoltre che da parte loro non è pervenuta nessuna parola di denuncia riferita ai dieci procedimenti penali per gli episodi di tortura che vedono implicati agenti della polizia penitenziaria, alcuni per le rivolte dello scorso marzo e alcuni per episodi precedenti.

Recidiva, libertà e supporto dei detenuti sono un tema unico quando si analizza la situazione carceraria. E se in medicina la recidiva è il riacutizzarsi di una malattia in via di guarigione o apparentemente già guarita, nel carcere è la misura con cui il sistema calcola, se mai ce ne fosse un’ulteriore bisogno, il proprio fallimento.

Al prossimo articolo.

Pernice Nera

Fonti:

Rapporti 2019-2020 Associazione Antigone

Dati statistici ministero giustizia

Febbraio 26th, 2021 by currac

Distopie pandemiche 2

Febbraio 23rd, 2021 by currac

La stretta sanitaria in corso ci ha spinto lo scorso autunno ad intraprendere un percorso di analisi e valutazioni finalizzato alla ricerca delle reali motivazioni dietro le scelte di gestione di questa pandemia e delle ambiguità correlate rispetto alla narrazione dei principali media nazionali.

L’affermarsi dell’emergenza pandemica, di questo nuovo ordine sanitario e della burocrazia correlata ci ha messo di fronte all’evidenza che questa stretta repressiva ha comportato privazione delle libertà tra cui il divieto di assembrarsi, le limitazioni alla socialità e il coprifuoco finora inimmaginabili per noi cittadini del cosiddetto primo mondo.

E la crisi sociale non ha riguardato solo questi aspetti ma pare stia accelerando anche i meccanismi di controllo e esclusione sociale, della marginalizzazione di determinate fasce della popolazione, fondamento del prosperare delle classi dominanti. Si stanno già profilando all’orizzonte nuovi vincoli, nuovi obblighi non ultimo il passaporto sanitario.

Con questa valutazione non vogliamo negare la situazione che stiamo attraversando ma cercare di smascherare l’ipocrisia dietro queste prossime imposizioni e obblighi che vengono spacciati come necessari per la salute pubblica.

Si sta profilando all’orizzonte un sistema sanitario centralizzato che con queste imposizioni renderà fattuale il paradigma uomo-macchina, utile e utilizzabile fino a che può lavorare poi può essere rottamato o sostituito o semplicemente escluso.

Il 15 gennaio  scorso la presidente della commissione Ue Ursula Von den Leyen ha prospettato la necessità che si formalizzi un nuovo requisito medico che dimostri che le persone siano vaccinate e l’Oms, la cui idea di sanità è bene nota e in linea con la mercificazione della salute, si è reso disponibile a creare una piattaforma di confronto e progettazione di questo obbligo.

L’ipocrisia di questa sistema che, se da un lato vuole un documento che attesti l’avvenuta vaccinazione che dovrebbe garantire la salute pubblica, dall’altro lo vuole per garantire la nostra utilità ai fini produttivi affinché le attività produttive non debbano fermare, facendo balzare ai nostri occhi il paradosso che indica come siano proprio quelle realtà, inserite nel sistema capitalistico dove il progresso è basato sull’utile, chiaramente contrarie alla salute pubblica e alla sostenibilità ambientale.

Pensate ad una sola attività cha ha come obbiettivo il profitto che comporta o che non sia causa di uno stillicidio di malattie professionali, sprechi, rifiuti e danni ambientali, alla faccia del miraggio dell’economia circolare e della salute collettiva. Pure la sanità, con la trasformazione degli ospedali in aziende sanitarie rientra in questa casistica con le logiche connesse tra cui l’abbattimento delle spese che hanno trasformato gli ospedali in suq affollati di informatori scientifici e agenti di commercio di prodotti farmaceutici.

L’altro paradosso inerente l’istituzione del passaporto sanitario riguarda il blocco degli spostamenti qualora una persona non ne sia provvisto. Questo scardina diversi trattati europei e un principi di libera circolazione che finora parevano intoccabili. Ovviamente per i cittadini occidentali o per quelli ricchi. Senza l’accettazione di tutti i protocolli sanitari, il vaccino per il Covd19 sarà solo il primo, non si potranno avere i documenti necessari per spostarsi, rendendo evidente il parallelo con i migranti che stanno cercando di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo o lungo la rotta balcanica e che li incontrano muri. Muri che sappiamo come al di la della propaganda, siano spesso sono costruiti per non fare uscire più che per non fare entrare.

Con questo scritto, che non offre spunti o proposte, abbiamo voluto mettere sul piatto una discussione centrale rispetto ai temi libertà, lavoro e salute. senza cadere nel lato oscuro del cosiddetto complottismo o del fantomatico negazionismo.

Una riflessione che si ribalta facilmente nei nostri paesi dove la “crisi” ha acuito la tendenza di sempre che vuole soprattutto le fasce più deboli vittime dei meccanismi del ricatto occupazionale che, con un numero maggiore di persone che stanno restando senza lavoro e con i vincoli sanitari che imporranno, saranno sempre più soggette. Situazione causa di frustrazione, malessere, il tutto a scapito della “salute pubblica” certamente non di quella valutata dai parametri istituzionali ma di quella che ci permette una buona vita.

Concetto difficilmente monetizzabile e quindi marginale nelle politiche sanitarie e non e mai analizzato dai principali indicatori di qualità della vita.

Inverno 2020-2021

Un quadro sconfortante

Febbraio 22nd, 2021 by currac

A quasi un anno di distanza dalle rivolte carcerarie scoppiate lungo tutto lo stivale, che hanno avuto come triste epilogo la morte di 13 uomini e episodi di violenze poliziesche su cui sta indagando al magistratura, abbiamo deciso di proporre alcune riflessioni sul tema carceri e che verranno strutturate attraverso 3 scritti.

Il fine è quello di fornire un quadro generale del sistema carcerario italiano e un approfondimento delle rivolte dello scorso 8 marzo e della situazione Covid che ha acuito e acutizzato il problema strutturale delle situazione carceraria.

La direzione di questo sistema è in mano al Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria istituito nel 1990 con compiti di gestione amministrativa del personale e dei beni della amministrazione penitenziaria, relativi alla esecuzione delle misure cautelari, delle pene e delle misure di sicurezza detentive e previsti dalle leggi per il trattamento dei detenuti e degli internati.

Dal Dap dipendono quindi le varie forze e unità speciale deputate al controllo dei prigionieri il cui numero è disponibile dai report disponibili nella sezione statistica e pubblicati mensilmente sul sito del Ministero della Giustizia. Da questi apprendiamo che a fronte di una capienza regolamentare di 50551 posti gli internati totali sono 53329 di cui 17691 stranieri e 2250 donne a cui vanno aggiunti circa 30000 che stanno scontando la pena fuori dal carcere, ai domiciliari o in specifiche strutture. Una situazione di sovraffollamento strutturale anche se in lentissima attenuazione basti pensare che a fine 2019 i detenuti erano circa 61000 ma comunque ben lontana da livelli dignitosi, se mai possano essercene.

Dei carcerati di origine straniera, troviamo 5790 europei, 9261 africani, 1311 asiatici, 964 americani e 18 apolidi o nativi in altri luoghi del mondo.

Il numero dei posti è calcolato sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri,ma il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. Quindi il regime di deroga è strutturale.

In queste condizioni di sovraffollamento le restrizioni dovute alla pandemia hanno trovato immediata applicazione. Il Dpcm del 3 marzo 2020 ha tolto la possibilità ai prigionieri di effettuare i colloqui con i famigliari e l’unica interfaccia con l’esterno e le informazioni legate al Covid è stata la televisione, che da allora ci ha bombardato quotidianamente.

Ma fosse solo questo, con la scusa del pandemia le varie amministrazioni penitenziarie hanno avuto carta bianca per togliere le piccole libertà personali e numerose sono state le segnalazioni di divieto anche per i colloqui telefonici sia con i famigliari che con i propri legali. (tutte poi confermate dai legali).

La situazione è quindi diventata esplosiva, isolati, sovraffollati e terrorizzati i prigionieri si sono ribellati e la reazione è stata terribile, lo scenario che si prospetta ci parla di violenze, torture e privazioni di una  sospensione della libertà umane al pari dei fatti del G8 di Genova.

Provate ad immaginare alla condizione dei detenuti del carcere di Poggioreale a Napoli che reclude 2300 prigionieri (pari a più di uno dei nostri paesi) su una capienza di 1650 posti più del 42% , senza informazioni, senza tutele e senza la possibilità di comunicare con l’esterno?

C’è chi di fronte a questa situazione ha prospettato la costruzione di carceri, forse spinto dalle lobby del cemento sempre pronte a lucrare in queste situazioni, così da garantire una detenzione “giusta e dignitosa”.

Qualcuno ha proposto di farle private, su modello americano dove in quelle strutture è attuato un imprigionamento di massa forse neanche paragonabile al sistema stalinista, con più di 2,25 milioni di persone recluse, 4,8 milioni in libertà vigilata a si aggiungono 5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto.

Un sistema gestito per buona parte da privati che sappiamo quali priorità e quali interessi vogliano difendere e tra la rieducazione e il reinserimento nella vita extracarceraria e la recidiva che ne garantirebbe un profitto immaginiamo bene da che parte stiano.

Lo sappiamo bene perché a loro abbiamo già delegato l’ambiente e la salute con i risultati che ben conosciamo, e delegare anche la vita di queste persone recluse sarebbe solo la ciliegina sulla torta di questo sistema già assassino.

Al prossimo articolo.

Pernice Nera

Fonti:

Dati statistici ministero giustizia

Pena di morte viva

Febbraio 18th, 2021 by currac

Questo articolo è stato scritto d’impeto mentre si stanno ultimando gli articoli per il triste anniversario delle rivolte carcerarie scoppiate lo scorso 8 marzo in tutta Italia.

La notizia della morte di Raffaele Cutolo non è giunta d’improvviso, le condizioni di salute erano note da tempo, ma è stata immediatamente rilanciata da tutti i media nazionali. Per chi non lo conoscesse Raffaele Cutolo è stato uno dei principali protagonisti delle lotte di potere all’interno dell’universo camorristico degli anni ’80 e ’90 e di numerose oscure vicende italiane.

Una breve biografia: Cutolo nasce a Ottaviano nel 1941, a 22 anni viene condannato all’ergastolo, poi trasformato a 24 anni, per l’omicidio di un giovane al termine di una rissa. Scarcerato nel 1970 per decorrenza dei termini quando gli viene confermata la condanna si rende latitante, breve, fino al marzo 1971. Rimane nel carcere di Poggioreale fino al 1977 quando gli viene riconosciuta l’infermità mentale e viene recluso in un ospedale psichiatrico dal quale evade e resta libero da febbraio 1978 a maggio 1979.

Nuovamente arrestato da allora è recluso prima nelle sezioni di massima sicurezza poi, da quando è stato istituito, in regime di 41 bis; non si è mai pentito né dissociato e non ha mai voluto collaborare con la magistratura.

Solo negli ultimi anni il suo avvocato ha inoltrato delle richieste di scarcerazione per i gravi motivi di salute che lo affliggevano e l’ultima, 3 giorni prima di morire, conteneva l’istanza di attenuazione del regime detentivo, ma il giudice se per le prime ha sempre risposto negativamente per questa non l’aveva ancora presa in considerazione. Pare che pochi giorni prima della dipartita fosse arrivato a pesare 40 chili.

E così è morto la sera di mercoledì 17 febbraio mentre la moglie stava attendendo il permesso per andarlo a trovare all’ospedale di Parma dove si trovava degente da diversi mesi.

Lo scorso febbraio Cutolo è stato ricoverato per problemi respiratori ed è stato dimesso ad aprile. Di fronte alla richiesta di scarcerazione il tribunale di sorveglianza di Bologna aveva sottolineato, a giugno 2020, come le sue condizioni fossero compatibili con la detenzione, quasi elogiando l’utilità dell’isolamento del regime di 41 bis nel contenimento e nella prevenzione della diffusione del virus e ribadendo quanto la sua pericolosità fosse ancora alta: “Nonostante l’età e la perdurante detenzione rappresenta un “simbolo” per gruppi criminali”, simbolo per la nuova camorra organizzata sciolta da anni i cui membri se non dissociati o pentiti sono morti.

Sempre lo scorso anno il suo nome è tornato alla cronaca quando è stato inserito nelle liste dei possibili detenuti scarcerabili per l’emergenza pandemica, fatto che aveva creato sdegno su molti giornali.

Di ciò che ha fatto o di ciò che hanno stabilito le sentenze della magistratura non ce ne possiamo occupare in questo articolo, vogliamo però aggiungere un piccola riflessione sul tema carcere e sull’uomo che in regime di isolamento ha, secondo le verità giudiziarie, costituito un impero criminale, ordinato omicidi, tramato con apparati deviati dello stato (deviati per modo di dire) e chissà cos’altro, uomo che ha trascorso ininterrottamente gli ultimi 34 anni e 2 mesi nel regime di isolamento dell’ergastolo ostativo che la corte europea dei diritti dell’uomo ha definito inumano con una storica sentenza nell’ottobre 2019.

La realtà è che Cutolo ha pagato caro il suo silenzio, lo stato non lo può tollerare e quindi l’ha trasformato nella bestia ideale da mostrare nella gabbia, la cui bocca sporca di sangue è servita a giustificare delle sbarre sempre più resistenti. E pure da morto sta assolvendo a questo triste compito, a giustificare la necessità di questo sistema.

Un violento esperimento sociale portato avanti da uomini privi di dignità, mediocri impiegati col gusto per la tortura, che dal tribunale di sorveglianza di Bologna di fronte alla richiesta di scarcerazione della famiglia, motivata dalle precarie condizione di salute, hanno sentenziato la sua pena di morte viva* con un semplice: “sarebbe un accadimento eclatante” con “effetti dirompenti” sugli equilibri criminali in Campania.

Dei perfetti ingranaggi di questo stato assassino.

Pernice Nera

* La pena di morte viva è la definizione data al regime di ergastolo ostativo da Carmelo Musumeci unico ergastolano ad oggi a cui è stato revocato.

 

L’ammucchiata sediziosa

Febbraio 13th, 2021 by currac

Ebbene sì, è successo quello che solo qualche tempo fa si sarebbe potuto solo immaginare. I politici hanno trovato i 209 buoni motivi che li hanno fatto tornare amici e hanno creato il più grande governo che la storia moderna di questo paese ricorda.

Grande lavoro in questi giorni per il ministero della verità , lo smart working non li aiuta ma grande è la dedizione di questi eccezionali servitori del potere di turno.

Lo sanno, sarà difficile cancellare dalla memoria collettiva tutti gli attestati di stima che i politici in questi anni si sono scambiati. Ma sarà sicuramente un lavoro facile per i giornalisti italiani, che con la loro libertà, indipendenza e solerzia hanno collocato l’Italia al 41° posto nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter Without Borders.

Sarà facile per questi coprofagi che dopo l’ennesimo grande banchetto a base di culo di drago si stanno pure leccando i baffi in attesa della grande fatica. Indomito sarà lo sforzo e sarà fantastico leggere i loro mirabolanti voli pindarici per giustificare gli antichi screzi già cominciati con la sostituzione al grido di governo hunità hunità del vecchio grido di Honestà honestà..

Li vedo riportare le cronache di chi si chiamava psico nano o mafioso di Arcore, orango, Giggino il bibitaro o quelli del mai col partito di Bibbiano o di prima il nord diventato poi prima gli italiani e oggi prima gli europei.

Non sarà facile ma ce la faranno anche perché una cosa c’è da dire, quello che accomuna questa classe politica: sono indistintamente maestri a spartirsi soldi e potere.

Come faranno a farci credere che l’opposizione a questa accozzaglia orgiastica e incestuosa e quindi il futuro visto le lacrime e sangue che presumibilmente ci stanno aspettando, è rappresentata dai fratellini e dalle sorelline d’Italia, che in ordine hanno votato Ruby nipote di Mubarack, le manovre lacrime e sangue del governo Monti, il salva Italia, la legge Fornero (sì proprio lei), il fiscal compat e un’altra serie di mannaie calate non certo sui ricchi.

Una favola a lieto fine, incredibile se non fosse terribilmente vera…Ce la faranno abbiate fede. Ce la faranno come quando torneranno a chiedere il vostro voto.

Ecco pensateci bene, ma non adesso che siete ancora frastornati e eccitati/e da questa quintalata di carne aggrovigliata nei preliminari prima della grande spartizione, pensateci quando quella feccia chiederà il vostro voto, promettendovi mirabolanti riscatti, condizioni di vita migliori e tutte le sovranità che vi possono italicamente eccitare.

Pensateci perché non è una delega che può cambiare le cose ma solo il vostro impegno quotidiano. Alla prossime elezioni camminate, salite su una cima sarà l’occasione perfetta per respirare dell’aria sana e salubre che aiuta corpo e spirito perché è dalle montagne sono scese le migliori ventate di libertà.

 

Il giorno del ricordo

Febbraio 3rd, 2021 by currac

Come ogni anno il 10 febbraio ci troviamo a parlare del giorno del ricordo istituito nel 2004 dal governo Berlusconi II, su spinta della componente nazionalista di quel governo, con l’intento di commemorare le  vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel dopoguerra.

Abbiamo già trattato l’argomento in numerosi articoli in parte raccolti nella dossier “Storia e memoria” al link https://lavallerefrattaria.noblogs.org/post/category/storia-e-memoria/confine-orientale/ e anche quest’anno abbiamo deciso di non fare mancare il nostro contributo.

Lo vogliamo fare non raccontando quello che è accaduto nel confine orientale ma ciò che è successo agli alleati del regime fascista, ai tedeschi nazisti.

La capitolazione della Germania nazista ha portato allo smembramento dei territori che la componevano, sia delle regioni più periferiche che della città di Berlino che allora fu divisa in 4 zone di influenza. Ma fu nei territori più lontani, per lo più annessi militarmente negli anni precedenti che avvenne la scorporazione più significativa e dove si verificarono le espulsioni più pesanti. Dalla Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Paesi Bassi , Romania solo per citarne alcuni  cominciò un incessante esodo che subì delle accelerazioni nel quinquennio successivo alla fine della guerra e che si stima interessò dai 12 ai 16 milioni di cittadini origine tedesca espulsa da quei territori e che comportò uno stillicidio di soprusi e violenze impartiti alla popolazione dai vari eserciti vincitori occupanti.

Senza dimenticarsi mai delle tragedie umane che una uccisione o l’esilio provocano vediamo come i numeri in Italia siano ben diversi; le ricerche dell’Irsec (Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia) e le interessanti pubblicazioni di numerosi studiosi delle Università friulane e non ci indicano come l’esodo, più o meno forzato, delle genti giuliane e dalmate si attesti attorno a 150-200mila persone e i morti trovati nelle foibe poche migliaia di persone, più probabilmente tre o quattro.

Per molti di loro potrebbe comunque trattarsi di un controesodo in considerazione delle politiche demografiche promosse da i governi regi dalla fine della prima guerra mondiale e finalizzate a italianizzare e di sostituire etnicamente quelle popolazioni che fino ad allora erano vissute in pace.

Ribadendo che dietro questi numeri ci sono vite e drammi e contestualizzando storicamente la situazione non possiamo non renderci conto di come gli esodi siano stati un fenomeno di proporzioni europee promosso dai governanti di turno con delle politiche mirate per garantire dei bacini elettorali etnicamente omogenei o per liberare delle aree ricche di materie prime o centrali rispetto a interessi economici o strategici. E parallelamente di come quei sistemi politici utilizzassero l’omicidio, più o meno preventivo, per garantirsi quei fini. E le uccisioni delle foibe, tra l’altro non ben identificabili anche perche furono ampiamente utilizzate per nascondere i propri crimini dai tedeschi e dai fascisti, devono essere lette in questo senso, certamente terribile, e non possono essere stigmatizzate a senso unico o peggio essere ingrandite a dismisura; non possiamo dimenticare il milione di morti di Gasparri, pari all’intera popolazione della Venezia Giulia o delle decine o centinaia di migliaia dello “storico” Paolo Mieli.

In Europa e in Germania questo aspetto l’hanno forse compreso meglio degli italiani. Vi potete immaginare la cancelleria Merkel che parla di pulizia etnica nei confronti delle popolazioni tedesche? Ve la immaginate berciare di sciagura nazionale o delle terribili sofferenze senza proferire una parola sulle cause come hanno fatto gli ultimi due presidenti della repubblica italiana che con la stessa leggerezza sono passati dai bei discorsi a Sant’Anna di Stazzema a quelli a Basovizza? Parole pesanti come lapidi che di fatto avallano l’impianto voluto dall’estrema destra nazionalista che vuole imporre un’antistoria sulle foibe per equipararle ai crimini fascisti e nazisti.

Ovvio no. Per un semplice motivo, che i tedeschi i conti con la storia e con le proprie responsabilità forse li hanno fatti e hanno compreso che certi accadimenti non sono altro che effetti dati da delle cause ben precise. Forse hanno capito che il seme malato dell’ignoranza più o meno voluta può essere sconfitto con la consapevolezza, non certo con le leggi che rendono illegale il fascismo o il nazismo o che istituiscono un giorno di commemorazione e raccoglimento sia esso della memoria o del ricordo e con gli anticorpi che una società ha e che si crea combattendo con il nemico invisibile e sottile che sono le proprie responsabilità storiche.

Esodi e uccisioni sono i risultati dei calcoli politici, della difesa del potere istituzionale e sono i frutti amari dei regimi totalitari novecenteschi comunisti o fascisti e delle ideologie nazionaliste, patriarcali e militariste.

Le stesse portate avanti da chi oggi vorrebbe questo giorno eretto a monumento nazionale.

Valsabbin* Refrattar*

Foto:1942 eccidio Podhum Croazia dove il regio esercito italiano fucilò 91 civili, inviò ai campi di annientamento circa 800 persone e bruciò le loro 320 case.

Il giorno della memoria

Gennaio 27th, 2021 by currac

Mi ha stupito oggi ascoltare tante parole e leggere sui social e non solo molti post e condivisioni, tante frasi cariche di significato, tanti aforismi così ludici nel trasmettere dei sentimenti, riguardanti la ricorrenza del giorno della memoria, giornata internazionale istituita, nel giorno della liberazione dei russi del campo di eliminazione di Auschwitz, per ricordare le vittime dell’olocausto.

Mi ha stupito in positivo perché ho percepito (povero illuso…) che forse un certo sentimento di sdegno rispetto a quei fatti è comune e assodato in buona parte della nostra società ma parallelamente mi ha fatto fare un pensiero amaro rispetto a chi oggi, nel concreto e nella quotidianità, continua ad opporsi a quegli abomini umani.

Sono fortunatamente molti, ma nello specifico parlo delle donne e degli uomini che hanno imbracciato le armi del coraggio e della coerenza e sono andati a combattere militarmente un concetto fascista di società, un regime autoritario e patriarcale e che dalle placide vite di uno stato occidentale sono andate e andati in Curdistan contro lo stato islamico e la Turchia.

Loro hanno fatto tesoro della Memoria che permette di conoscere i meccanismi che hanno portato all’instaurarsi del fascismo, che fa capire come si sia affermato e come sia stato assorbito più o meno passivamente dalla gente e che ha avuto come triste epilogo l’olocausto che in questa giornata vuole essere ricordato.

E lo stato lo sa ed è per questo che li ha pagati con una moneta molto simile al conio degli anni 30 e 40.

A queste persone è stata affibbiata la sorveglianza speciale, provvedimento che viene direttamente dall’impianto repressivo del codice Rocco approvato in piena era fascista e tranquillamente riproposto senza che nessuno se ne preoccupi, anche oggi.

Credo sia proprio quando dalla memoria si passi all’azione che l’essenza stessa del concetto di stato emerga insieme all’ipocrisia della libertà concessa e che non può tollerare che oltre all’apparenza di un post o di un sentire si vada poi nella pratica quotidiana.

Ed è per questo che viene usato il bastone della repressione nei confronti di coloro che hanno saputo andare oltre alla commozione e al raccoglimento che questa giornata riserva e in prima persona si sono messi in gioco e hanno messo in gioco il bene più prezioso che abbiamo, la vita e il nostro amore per difendere l’idea universale di libertà e per bloccare sul nascere le basi che portano ad un certo futuro nuovo olocausto.

Senza scomodare Brecht o Martin Niemöller del prima verranno gli zingari e poi, quando tutti saranno presi, non verrà più nessuno a salvarci, assolutamente pertinente per questa giornata, voglio concludere con questa breve riflessione:

la Memoria oltre a darci la forza e la consapevolezza per evitare di commettere gli stessi errori del passato, ci rende consapevoli che la nostra Libertà passa solo dal nostro impegno diretto e quotidiano, ricordando le vittime, odiando i carnefici e smascherando le ipocrisie fondamento del fascismo insito nell’idea stessa di stato.

Pernice Nera

I social network e l’angolo degli oratori

Gennaio 16th, 2021 by currac

 

In questi giorni, a seguito della “sommossa” di Washington, è montata la protesta per la chiusura del profilo Twitter dell’ex presidente degli Stati Uniti Trump. Molti hanno gridato al complotto, molti ad una dittatura molte sono state le reazioni in tutto il mondo.

Anche in Italia, nel settembre 2019, abbiamo assistito alla chiusura dei profili social della galassia neofascista e già allora era stato fantastico, nel senso etimologico del termine “suggestivamente insolito o irreale” sentire questi soggetti gridare alla censura, visto e considerato che, oggi, le politiche di stato contro la libertà di espressione sono promosse proprio da quei politici amici o affini a quell’area, dalla Polonia all’Ungheria, o che vogliono l’unione tra stato e chiesa come la Turchia. Ma anche da stati come l’impenetrabile Corea del Nord che lo scorso ottobre si vantava di avere 0 contagi, una muraglia al virus e alla libertà ma con un grande sistema sanitario.

Facendo un parallelo la censura applicata sotto le dittature novecentesche, sia fasciste che di ispirazione comunista, era caratterizzata da ordini diretti e precisi espressi dal potere centrale e applicata dalle sue diramazioni periferiche mentre ciò che è successo oggi o nel 2019 è stato deciso dai consigli di amministrazione dei vari social che, appellandosi alla propria politica societaria, hanno voluto così tutelare la propria immagine o meglio i propri interessi economici.

La censura ad orologeria che ha colpito Trump, ma anche molti altri, non è scattata nel momento più utile per sollevare le sorti della popolazione umana dall’abisso della disinformazione, ma è scattata quando l’utile dei vari social è stato messo in discussione, perché i vari Trump o tutti quelli che negli anni sono stati annichiliti non sono nuovi ad avere veicolato messaggi d’odio o di esclusione o le famigerate fake news. Una bella ipocrisia.

Quindi non c’è da stupirsi che queste aziende private abbiano difeso i loro interessi economici limitando chi col suo agire, col dire e con i post, ha scoraggiato gli investitori, come non c’è da stupirsi se Libero quotidiano non ospita Vauro o se il Manifesto non ospita Fiore. Tutti questi soggetti perseguono fini economici o politici che per ovvi motivi comportano una selezione delle informazioni da veicolare.

E se da un lato i fini di queste società sono chiari e non possiamo stupirci per queste scelte, non possiamo non aggiungere un elemento a questa riflessione. Ma davvero dobbiamo delegare la libertà di informazione ai social network arrendendoci così al dominio della tecnologia su di noi? Perché sono tante le persone che pensano, scrivono e elaborano idee, certo bisogna avere il tempo e la voglia di affrontare lo scoglio di una lettura che va oltre i 280 caratteri di un tweet o di una didascalia sotto un’immagine (per farvi capire questo paragrafetto vale una volta e mezza un tweet).

Non si può pensare che oscurando profili si possa limitare il propagarsi di certe idee, forse il problema non è chi promuove un messaggio ma di chi lo recepisce. Se una persona si mettesse ad Hyde Park a Londra sul gradino più alto dello Speakers’ Corner, l’angolo degli oratori, ad enunciare le sue teorie riportanti incesti tra alieni e esseri umani e venisse seguito da migliaia di persone, dovremmo farlo tacere o preoccuparci per il suo seguito?

Oggi l’angolo degli oratori si è trasferito nella dimensione metafisica dei social network dove tutti possono riversare le proprie vanità, le proprie idee ma anche la propaganda politica. Se ci pensate ormai le conferenze stampa, che erano i momenti in cui i politici dettavano la propria linea in pubblico e informavano i media, sono limitatissime, quello che oggi fanno è postare sui social e i vari media riprendono quei messaggi.

Messaggi che contengono di tutto, dai selfie coi gatti, alle sciacallate del momento ma anche le direttive politiche, gli slogan o i dettami di quelle che vengono definite teorie del complotto. I social oggi sono dei fantastici vespasiani con degli ampi archi e dei grandi specchi in cui è splendido mostrarsi, incensarsi e dare eco alle proprie idee ma che non possono in alcun essere considerati luoghi dove si formano le coscienze.

Togliere importanza ai social è centrale per abbattere l’idea che se ho un luogo dove posso esprimermi allora ho la libertà di espressione e di comprendere ciò che gli altri dicono. L’angolo degli oratori ne è l’esempio più lampante, perché non è facendo un parcheggio sopra quel parco che si può pensare di risolvere il problema delle masse che oggi credono nelle teorie degli incesti tra alieni e umani.

E ci sono davvero.

E a conclusione diciamo che il fascismo, il neofascismo e quelle ideologie sono un abominio, non tanto perché così è previsto da qualche legge o è scritto nella costituzione, ma perché sono l’essenza della privazione delle libertà tra cui quella di espressione, fondamento del loro esistere, e relegare quelle idee alle fogne è compito nostro e della nostra quotidianità, non certo di uno Zuckerberg di passaggio che, con l’ipocrisia tipica, a seconda dell’interesse economico del momento oscura loro qualche profilo social.

Come sempre l’agire è nostro.

Il nuovo decreto sicurezza 2: la questione migrante

Gennaio 5th, 2021 by currac

Prosegue con questo secondo scritto l’analisi del decreto legislativo 130/2020 dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione e sicurezza” approvato al senato lo scorso 18 dicembre dopo un lungo dibattimento che ha visto anche le classiche sceneggiate parlamentari tipiche del teatrino della politica e passato sotto il nome di nuovo decreto sicurezza.

In questo articolo concentreremo le valutazioni sulle norme riguardanti il tema immigrazione.

La loro analisi non può prescindere da una considerazione di fondo, fondamentale, che abbiamo già accennato nel precedente articolo. Questo nuovo decreto non va a scardinare l’impostazione voluta dalla destra che lega il tema immigrazione al tema sicurezza sdoganando così il legame migrante-criminale, ma la recepisce e la modifica in funzione della necessaria propaganda del momento.

Il tutto nel vacuo tentativo di rendere illegale e inumano ciò che è umano e naturale, migrare; nel 2019 dall’Italia sono emigrate 131mila persone, il 40% sotto i 35 anni. Numeri non confermati nel 2020, anno in cui gli spostamenti sono stati bloccati a causa del virus, ma che pensiamo possano riallinearsi appena ci si potrà nuovamente muovere, essendo presumibilmente mutate in peggio le cause che hanno portato a questo esodo.

Cosa differenzia questa umanità migrante da quella che proviene da altri paesi o che sta seguendo la rotta balcanica o cercando di attraversare il Mediterraneo?

Tanti aspetti differenziano questa umanità, ma uno è sostanziale: la prima si può spostare liberamente la seconda no, perché è priva o privata dei documenti, passaporti, visti e carte bollate, ed è su questo principio di legalità e su questa impalcatura burocratica che si fondano questi decreti e si formano le barriere impenetrabili e i drammi di chi, per necessità, si sposta. Non è difficile constatare come imprenditori pakistani, libici, afgani e provenienti dall’Africa possano tranquillamente arrivare in Europa su un comodo volo charter.

Analizzando gli articoli del decreto riscontriamo aspetti conflittuali con il precedente, per esempio è stato previsto il ripristino del rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, cancellato col precedente, che amplia la platea di chi potrà richiederlo e che assieme agli altri permessi previsti potrà essere convertito in permesso di lavoro subordinato. Toglie dalle mani del questore il potere di discrezionalità nella valutazione dei “seri motivi” che possono portare al rifiuto o revoca del permesso di soggiorno, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, indicando così che le questure non stessero seguendo questi obblighi?

Introduce inoltre la figura dei migranti climatici, importante valutazione concettuale, ma che denota una dissociazione dalla realtà che vuole l’emergenza climatica globale e non localizzata in determinate aree, generalmente a sud.

Viene ampliata la possibilità di vietare l’espulsione dal territorio italiano per quei migranti che rischiano di essere sottoposti a tortura o trattamento inumano e degradante nel proprio Paese, ed è un cortocircuito normativo che venga previsto questo divieto proprio in Italia dove, anche in mancanza di una legislazione sulla tortura o che ne limiti l’impunità, gli stessi trattamenti sono stati e vengano quotidianamente applicati dalle forze dell’ordine. Sarebbe interessante che ci spiegassero quale trattamento “umano” viene applicato in carcere.

Per quanto riguarda l’azione delle ong sono state cancellate le sanzioni amministrative e la confisca delle imbarcazioni previste dal precedente decreto, ma sono stati aggiunti dei paletti sulla possibilità di movimento in mare e sull’obbligo di concordare le operazioni di recupero con le autorità italiane, nel tentativo di riportare sotto un controllo stringente e sotto le logiche utilitaristiche l’azione di queste realtà che perseguono fini diversi.

Quindi analizzando gli articoli possiamo dire che le modifiche contenute nel testo, seppur agli occhi dei più parrebbero più umane, nella realtà risultano miopi e perfettamente nel solco tracciato da anni di politiche vergognose, non ci possiamo dimenticare i lager di Minniti in Libia. Uno specchietto per allodole per questi sinceri democratici che presi dalla frega per avere cancellato i decreti della destra (schizofrenia al pari dell’abolizione della povertà dei loro attuali alleati di governo) voltano lo sguardo a ciò che le loro politiche criminali hanno fatto.

Uno stillicidio di scempi e crimini, di violenze contro l’indole umana migrante, mai accettata come fatto naturale ma semplicemente ri-normata da questo decreto sicurezza.

Valsabbin* Refrattr*

Il nuovo decreto insicurezza

Dicembre 30th, 2020 by currac

Il nuovo decreto sicurezza e l’alienazione del sincero democratico.

Con questo articolo prosegue l’analisi delle politiche securitarie che in questi anni stanno segnando la vita legislativa italiana e in particolare con questo scritto ci vogliamo concentrare sul D.L. 130/2020 dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione e sicurezza”, il nuovo decreto “sicurezza” approvato in senato lo scorso 18 dicembre e pubblicato in gazzetta ufficiale il giorno successivo.

“I decreti propaganda/Salvini non ci sono più” ha postato sui suoi social il segretario del partito democratico che così ha dato eco all’approvazione del testo; l’ennesima fake news in linea con la gattopardiana massima del “cambiare tutto per non cambiare niente”. Il testo è perfettamente allineato e schierato con quello precedente, non scardinando e non mettendo in discussione l’impostazione che vuole due temi diversi, sicurezza e immigrazione collegati nell’ abbraccio mortale concepito dalle menti razziste del precedente governo (per dovere di cronaca almeno per metà presente in questo).

In questo cortocircuito che ben rappresenta la pochezza di questa classe politica, interessante è l’analisi comunicativa conseguente la promulgazione; grande risalto mediatico è stato dato alla questione migrazioni per cui non sono mancati articoli, servizi tv e post, non un cenno però è stato fatto alla stretta repressiva in atto, in perfetta continuità con i precedenti decreti, perché è ciò che non dicono che deve preoccuparci non solo quello che passa sui media, sempre più e solo megafoni del regime democratico.

Sono sedici gli articoli di questo decreto che seguono il solco sempre più profondo tracciato dal precedente testo e che possiamo racchiudere in tre capitoli: sicurezza urbana, controllo carcerario e immigrazione. In questo articolo analizzeremo solo il primo.

La pubblica sicurezza, perfetto acronimo del controllo totale, viene allargata sempre più alle fasce povere e al dissenso, in particolare a quelle fasce che potenzialmente esasperate dalla crisi, ormai strutturale in questa economia malata terminale, potrebbero alzare o stanno alzando la testa.

Viene ampliato il daspo urbano, misura sperimentata nel mondo ultras e poi allargata e utilizzata per regolare ogni forma di attività non controllabile, che consiste nel divieto di accedere a locali o eventi pubblici o a manifestazioni sportive per un determinato periodo, anni solitamente. Questo decreto allarga l’azione del daspo anche a coloro che hanno riportato, negli ultimi 3 anni, denunce o condanne non definitive per questioni di spaccio effettuato in prossimità di punti “sensibili”, scuole, università o locali pubblici aperti al pubblico, praticamente ovunque. Una presunta pericolosità che può così essere definita arbitrariamente dalla questura o dalla prefettura di turno, elemento a nostro avviso direttamente collegabile all’impalcatura del codice Rocco approvato in piena epoca fascista e della strategia della prevenzione del dissenso, alla faccia del principio di innocenza fino a condanna definitiva.

E in attesa che l’Italia adotti una legislazione sulla tortura e sull’identificazione delle forze dell’ordine, oggi troppo spesso impunite per i loro innumerevoli soprusi, vengono inasprite le pene per coloro che risultano coinvolti in risse prevedendo che, nei casi di morte o lesioni personali, il solo fatto della partecipazione alla medesima risulti punibile con la reclusione da 6 mesi a 6 anni.

Nemmeno questa crisi ha portato ad una cancellazione del piano nazionale sgomberi o del reato di invasione di edifici ennesima riprova di quanto la povertà a loro faccia schifo; stessa cosa per il reato di blocco stradale, balzato alle cronache perché immediatamente applicato per le proteste dei pastori sardi e degli operatori della logistica, a significare da un lato che quel tipo di protesta fa davvero male a chi la subisce, forti sono i contraccolpi economici soprattutto delle aziende del comparto logistica sempre più attive in questo mondo sempre più tecnologico e orientato agli acquisti sulle piattaforme di e-commerce e dall’altro rende evidente il tentativo di riportare, attraverso questa spada di Damocle fatta di anni di galera e sanzioni pesantissime, sotto il controllo dei partiti o dei sindacati padronali quelle proteste spontanee.

E se nemmeno il daspo urbano, le multe e le varie forme di controllo preventivo riescono a fermare il dissenso ci penseranno i taser, la cui sperimentazione pare non avere un limite essendo estesa alla polizia locale delle città con più di 100mila abitanti. Una sperimentazione, neologismo che indica la quotidiana goccia di stricnina, attivata in poche città e che sarà destinata a essere strutturale nel distopico futuro, e forse presente, che pare profilarsi all’orizzonte.

Distratti dal tema migranti, stiamo assistendo ad un continuo assalto con armi convenzionali e non alla povertà, alle nostre libertà e al dissenso, l’ennesimo smacco di questa classe politica che ha completamente svenduto tutti i valori, tra cui l’umanità e la dignità.

Per questi sinceri democratici la sicurezza è fatta di polizia, impunità, controlli preventivi, repressione e taser e la nostra?

La nostra è fatta di libertà e per essere liberi è necessario dissentire e disobbedire.

Valsabbin* Refrattar*

 

 

Il tricolore dell’ipocrisia

Dicembre 24th, 2020 by currac

In questo periodo di isteria collettiva nel vuoto delle nostre case stiamo assistendo, alla finestra non potendo uscire o peggio attaccati alla televisione, alla divisione dell’Italia in tre aree, a seconda dell’incisività di questa ondata pandemica.

A definire i criteri di questa ripartizione c’è un super logaritmo che raccoglie, analizza ed elabora molti dati tra cui i contagi, decessi, tamponi e posti letto occupati nelle terapie intensive.

Il potere decisionale demandato ad una tecnologia che chiaramente se da un lato rende fattuali le decisioni perché collegate e conseguenti a dei dati inconfutabili, che non possono in alcun modo essere messi in discussione, dall’altro rende evidente la precarietà su cui basa i fondamenti della raccolta delle informazioni, plasmati sulle necessità del momento.

Il quadro che ne esce è impietoso e allarmante, in questa conclamata sudditanza alla tecnologia e alle sue applicazioni la classe politica ha così l’alibi per prendere le decisioni più dure senza esserne direttamente responsabile e può così gettare la maschera per sperimentare in questa società le politiche securitarie e repressive verificandone le reazioni e constatando la lente e incessante assuefazione ad esse. Perché il loro desiderio è quello di sempre, avere una massa di schiavi obbedienti sopra cui prosperare.

E per facilitare la fruizione dei risultati di queste iper tecnologie e dei metadati correlati difficilissimi da comprendere e accettare, soprattutto per i sintomatici del dubbio, tra le varie modalità di comunicazioni hanno utilizzato quella non verbale, visiva nello specifico e per indicarci la terapia da seguire nelle nostre quotidianità hanno colorato la penisola con tre colori, il giallo, l’arancione e il rosso. Colori caldi che l’istinto animale che in noi ancora è presente ci ricorda essere collegati all’allerta e ai pericoli, non solo per il virus ma anche per questa nuova strategia della tensione.

Ed è da questa tavolozza tricromatica che vengono presi i colori per pennellare con dei decreti la nostra vita e le nostre libertà

Molti sono i paralleli tra questi colori e il loro significato atavico o collegato al periodo virulento, dal rosso colore del sangue all’arancione che brilla sulle divise degli operatori sanitari o sulle pettorine delle forze dell’ordine sempre più massicciamente per le strade, ma è sul giallo che si vuole proporre una riflessione.

Giallo, il colore dell’oro simbolo della ricchezza o della vergogna ma anche delle stelle che gli ebrei furono obbligati a portare cucite sul petto a causa delle leggi razziali. Le stesse che oggi molti politici e non solo vorrebbero applicare ai non vaccinati o ai presunti negazionisti, figura pseudo mitologica su cui si concentra la tensione della ricerca di un fantomatico utile idiota da esporre al pubblico ludibrio e da additare come untore. Indicare di negazionismo chi si pone degli interrogativi sulla gestione e propone una lettura diversa dei fatti e delle responsabilità sarà il nuovo simbolo del nemico che dovrà essere immediatamente riconoscibile con l’identico atteggiamento di pochi decenni fa, modus che non possiamo dimenticare o relegare al passato e che in questo presente non vogliamo ritorni.

E così la nostra vita, i nostri rapporti umani, famigliari o amicali, all’ora precisa dal lampeggiare del nuovo colore, sono soggetti alle disposizione della nuova tinta di turno e che sia gialla, arancione o rossa poco cambia, la direzione auspicata va verso l’acromatico nero del coprifuoco, dove si sa non esserci né colori né ombre.

E per completare questo arcobaleno ci viene chiesto di appendere l’italico tricolore ai nostri balconi, servirà per sconfiggere il virus, mostrare la nostra straordinaria umanità e rinsaldare la nostra identità nazionale.

D’altronde ce lo chiedono in tanti, anche chi nemmeno troppi anni fa lo utilizzava per pulirsi il culo, figuriamoci se non lo possono usare per pulire qualcos’altro.

Tipo le loro coscienze dai morti e da queste ipocrisie…

Pernice Nera