Archive for the ‘In tempi di virus’ Category

Distopie pandemiche 2

martedì, Febbraio 23rd, 2021

La stretta sanitaria in corso ci ha spinto lo scorso autunno ad intraprendere un percorso di analisi e valutazioni finalizzato alla ricerca delle reali motivazioni dietro le scelte di gestione di questa pandemia e delle ambiguità correlate rispetto alla narrazione dei principali media nazionali.

L’affermarsi dell’emergenza pandemica, di questo nuovo ordine sanitario e della burocrazia correlata ci ha messo di fronte all’evidenza che questa stretta repressiva ha comportato privazione delle libertà tra cui il divieto di assembrarsi, le limitazioni alla socialità e il coprifuoco finora inimmaginabili per noi cittadini del cosiddetto primo mondo.

E la crisi sociale non ha riguardato solo questi aspetti ma pare stia accelerando anche i meccanismi di controllo e esclusione sociale, della marginalizzazione di determinate fasce della popolazione, fondamento del prosperare delle classi dominanti. Si stanno già profilando all’orizzonte nuovi vincoli, nuovi obblighi non ultimo il passaporto sanitario.

Con questa valutazione non vogliamo negare la situazione che stiamo attraversando ma cercare di smascherare l’ipocrisia dietro queste prossime imposizioni e obblighi che vengono spacciati come necessari per la salute pubblica.

Si sta profilando all’orizzonte un sistema sanitario centralizzato che con queste imposizioni renderà fattuale il paradigma uomo-macchina, utile e utilizzabile fino a che può lavorare poi può essere rottamato o sostituito o semplicemente escluso.

Il 15 gennaio  scorso la presidente della commissione Ue Ursula Von den Leyen ha prospettato la necessità che si formalizzi un nuovo requisito medico che dimostri che le persone siano vaccinate e l’Oms, la cui idea di sanità è bene nota e in linea con la mercificazione della salute, si è reso disponibile a creare una piattaforma di confronto e progettazione di questo obbligo.

L’ipocrisia di questa sistema che, se da un lato vuole un documento che attesti l’avvenuta vaccinazione che dovrebbe garantire la salute pubblica, dall’altro lo vuole per garantire la nostra utilità ai fini produttivi affinché le attività produttive non debbano fermare, facendo balzare ai nostri occhi il paradosso che indica come siano proprio quelle realtà, inserite nel sistema capitalistico dove il progresso è basato sull’utile, chiaramente contrarie alla salute pubblica e alla sostenibilità ambientale.

Pensate ad una sola attività cha ha come obbiettivo il profitto che comporta o che non sia causa di uno stillicidio di malattie professionali, sprechi, rifiuti e danni ambientali, alla faccia del miraggio dell’economia circolare e della salute collettiva. Pure la sanità, con la trasformazione degli ospedali in aziende sanitarie rientra in questa casistica con le logiche connesse tra cui l’abbattimento delle spese che hanno trasformato gli ospedali in suq affollati di informatori scientifici e agenti di commercio di prodotti farmaceutici.

L’altro paradosso inerente l’istituzione del passaporto sanitario riguarda il blocco degli spostamenti qualora una persona non ne sia provvisto. Questo scardina diversi trattati europei e un principi di libera circolazione che finora parevano intoccabili. Ovviamente per i cittadini occidentali o per quelli ricchi. Senza l’accettazione di tutti i protocolli sanitari, il vaccino per il Covd19 sarà solo il primo, non si potranno avere i documenti necessari per spostarsi, rendendo evidente il parallelo con i migranti che stanno cercando di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo o lungo la rotta balcanica e che li incontrano muri. Muri che sappiamo come al di la della propaganda, siano spesso sono costruiti per non fare uscire più che per non fare entrare.

Con questo scritto, che non offre spunti o proposte, abbiamo voluto mettere sul piatto una discussione centrale rispetto ai temi libertà, lavoro e salute. senza cadere nel lato oscuro del cosiddetto complottismo o del fantomatico negazionismo.

Una riflessione che si ribalta facilmente nei nostri paesi dove la “crisi” ha acuito la tendenza di sempre che vuole soprattutto le fasce più deboli vittime dei meccanismi del ricatto occupazionale che, con un numero maggiore di persone che stanno restando senza lavoro e con i vincoli sanitari che imporranno, saranno sempre più soggette. Situazione causa di frustrazione, malessere, il tutto a scapito della “salute pubblica” certamente non di quella valutata dai parametri istituzionali ma di quella che ci permette una buona vita.

Concetto difficilmente monetizzabile e quindi marginale nelle politiche sanitarie e non e mai analizzato dai principali indicatori di qualità della vita.

Inverno 2020-2021

Il tricolore dell’ipocrisia

giovedì, Dicembre 24th, 2020

In questo periodo di isteria collettiva nel vuoto delle nostre case stiamo assistendo, alla finestra non potendo uscire o peggio attaccati alla televisione, alla divisione dell’Italia in tre aree, a seconda dell’incisività di questa ondata pandemica.

A definire i criteri di questa ripartizione c’è un super logaritmo che raccoglie, analizza ed elabora molti dati tra cui i contagi, decessi, tamponi e posti letto occupati nelle terapie intensive.

Il potere decisionale demandato ad una tecnologia che chiaramente se da un lato rende fattuali le decisioni perché collegate e conseguenti a dei dati inconfutabili, che non possono in alcun modo essere messi in discussione, dall’altro rende evidente la precarietà su cui basa i fondamenti della raccolta delle informazioni, plasmati sulle necessità del momento.

Il quadro che ne esce è impietoso e allarmante, in questa conclamata sudditanza alla tecnologia e alle sue applicazioni la classe politica ha così l’alibi per prendere le decisioni più dure senza esserne direttamente responsabile e può così gettare la maschera per sperimentare in questa società le politiche securitarie e repressive verificandone le reazioni e constatando la lente e incessante assuefazione ad esse. Perché il loro desiderio è quello di sempre, avere una massa di schiavi obbedienti sopra cui prosperare.

E per facilitare la fruizione dei risultati di queste iper tecnologie e dei metadati correlati difficilissimi da comprendere e accettare, soprattutto per i sintomatici del dubbio, tra le varie modalità di comunicazioni hanno utilizzato quella non verbale, visiva nello specifico e per indicarci la terapia da seguire nelle nostre quotidianità hanno colorato la penisola con tre colori, il giallo, l’arancione e il rosso. Colori caldi che l’istinto animale che in noi ancora è presente ci ricorda essere collegati all’allerta e ai pericoli, non solo per il virus ma anche per questa nuova strategia della tensione.

Ed è da questa tavolozza tricromatica che vengono presi i colori per pennellare con dei decreti la nostra vita e le nostre libertà

Molti sono i paralleli tra questi colori e il loro significato atavico o collegato al periodo virulento, dal rosso colore del sangue all’arancione che brilla sulle divise degli operatori sanitari o sulle pettorine delle forze dell’ordine sempre più massicciamente per le strade, ma è sul giallo che si vuole proporre una riflessione.

Giallo, il colore dell’oro simbolo della ricchezza o della vergogna ma anche delle stelle che gli ebrei furono obbligati a portare cucite sul petto a causa delle leggi razziali. Le stesse che oggi molti politici e non solo vorrebbero applicare ai non vaccinati o ai presunti negazionisti, figura pseudo mitologica su cui si concentra la tensione della ricerca di un fantomatico utile idiota da esporre al pubblico ludibrio e da additare come untore. Indicare di negazionismo chi si pone degli interrogativi sulla gestione e propone una lettura diversa dei fatti e delle responsabilità sarà il nuovo simbolo del nemico che dovrà essere immediatamente riconoscibile con l’identico atteggiamento di pochi decenni fa, modus che non possiamo dimenticare o relegare al passato e che in questo presente non vogliamo ritorni.

E così la nostra vita, i nostri rapporti umani, famigliari o amicali, all’ora precisa dal lampeggiare del nuovo colore, sono soggetti alle disposizione della nuova tinta di turno e che sia gialla, arancione o rossa poco cambia, la direzione auspicata va verso l’acromatico nero del coprifuoco, dove si sa non esserci né colori né ombre.

E per completare questo arcobaleno ci viene chiesto di appendere l’italico tricolore ai nostri balconi, servirà per sconfiggere il virus, mostrare la nostra straordinaria umanità e rinsaldare la nostra identità nazionale.

D’altronde ce lo chiedono in tanti, anche chi nemmeno troppi anni fa lo utilizzava per pulirsi il culo, figuriamoci se non lo possono usare per pulire qualcos’altro.

Tipo le loro coscienze dai morti e da queste ipocrisie…

Pernice Nera

Gabbie animali e umane

venerdì, Dicembre 18th, 2020

Con questo terzo articolo prosegue l’analisi delle politiche emergenziali in corso e del parallelo tra la gestione degli animali da reddito e non e le regole a cui siamo soggetti.

Quando si parla di animali in gabbia si pensa immediatamente agli animali rinchiusi negli zoo o nei circhi, a quelli più o meno feroci catturati ed esposti al pubblico o a quelli stipati negli allevamenti intensivi; sono comunque tutti accomunati da una vita condotta all’interno di un sistema di costrizione fisica, di contenimento e immediato è il parallelo con l’analogo sistema umano, dove si vuole amministrata la giustizia per ordine dell’autorità competente, il carcere.

Lo scorso marzo, nelle prime fasi di questa pandemia, in numerose carceri sparse per tutto lo stivale, ci sono state delle rivolte spontanee causate dal panico da diffusione incontrollata e incontrollabile del virus. A Modena cinque reclusi sono morti durante la sommossa, quattro durante il trasferimento in altre carceri come Bologna e Terni e almeno altri quattro nelle settimane successive. Morti le cui cause non sono ancora certe, una strage di stato di proporzioni incredibili senza precedenti dal dopoguerra ad oggi.

Le rivolte sono immediatamente state indicate come etero dirette dalla mafia, da sovversivi o da fantomatiche forze occulte che tramano nell’ombra, chiaramente per gettare discredito sulle reali motivazioni del disagio che ha causato quel dissenso. La verità è che la gestione dell’emergenza se fuori è stata gestita col bastone della repressione, in carcere non è certo stata usata la carota, ma un bastone con ancora più nervo. Le condizione di sovraffollamento delle carceri italiane sono note da decenni e il timore riguardante la diffusione del covid in questi ambienti così precari è stata la scintilla che ha incendiato una polveriera colma, giunta all’esasperazione con la soppressione dei colloqui con i famigliari, uno dei pochi momenti di contatto con l’esterno e di socialità non controllata dei detenuti.

E se alle immagini delle rivolte sui giornali e tv è stato dato molto risalto, per questa strage solo in pochi ambienti se n’è sentito parlare, anzi solo in questi giorni a mesi di distanza, è stato depositato un esposto per far luce sui pestaggi e le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine in quei giorni di marzo.

Parallelamente, lo scorso ottobre in trentino abbiamo assistito al corteo di protesta contro la detenzione, all’interno dell’area faunistica del Casteller nei pressi di Trento, degli orsi considerati troppo pericolosi per l’uomo e del danneggiamento fatto ad una delle recinzioni perimetrali. A questo analogo caso di costrizione forzata, che fortunatamente non ha causato vittime, è stato dato molto risalto.

E facendo un parallelo ci troviamo di fronte al paradosso che la cattura di un’orsa ha visto un corteo in trentino e un sabotaggio, azione ribadiamo assolutamente condivisibile, e la strage di Modena non ha visto una mobilitazione così per certi versi incisiva.

Sia ben chiaro, l’intento di questo confronto non vuole in alcun modo togliere supporto e sostegno alla lotta, azione e mobilitazione del Casteller, ma porre un interrogativo riguardo al rischio di avere sensibilità diverse di fronte ad un analogo sistema costrittivo.

Perché se da un lato nel precedente articolo abbiamo visto come gli animali siano assolutamente spendibili (nel loro caso sopprimibili) in nome del rischio sanitario, con questo silenzio o peggio disinteresse non vorremmo che anche quegli uomini lo siano, essendo già privati, oltre che della libertà del diritto alla salute e alla vita e sia ben chiaro non vissuta dietro le sbarre o comunque lo siano come esperimento di un sistema da allargare poi a tutta la popolazione in qualche modo non produttiva.

E se, secondo le autorità, l’istinto animale non si può modificare e quindi il contenimento diviene indispensabile, sarebbe forse meglio non utilizzare per scopi economici o turistici la natura ma questo è un altro discorso, dall’altro il falso mito della riabilitazione, rende la detenzione in carcere il fine unico. Carcerazione fatta in condizioni di disagio e di distacco dagli affetti e precaria da molti punti di vista, non ultimo quello sanitario.

E questa umanità e questi animali sono legati da un triste destino, definito da Mario Trudu, ergastolano scrittore che di fronte alla certezza di concludere i suoi giorni in gabbia chiese di essere giustiziato giudicando questa fine più degna e ottenendo una risposta negativa, pena di morte in vita. Lucida analisi che ben caratterizza l’atteggiamento spietato, sadico e cinico di chi pensa, pianifica e realizza questi sistemi costrittivi.

Sistemi che occorre distruggere con la massima urgenza, qualsiasi essi siano, virus o non virus.

Pernice Nera

Come visoni in gabbia

domenica, Dicembre 6th, 2020

Prosegue con questo secondo articolo l’analisi delle politiche emergenziali in corso e del parallelo tra la gestione degli allevamenti intensivi e le nuove regole a cui siamo soggetti.

A prima vista può apparire un confronto improprio ma se approfondiamo e analizziamo stiamo assistendo ad un perfetto allineamento delle due gestioni, che va dalle profilassi antibiotiche e vaccinali ormai strutturali e pianificate fin dai primi giorni di vita ai criteri di spendibilità e efficienza applicati a tutti gli strati sociali e che ci fanno rendere conto di come con la scusa del virus sia in corso una feroce stretta autoritaria.

La notizia che ci ha dato lo spunto per ampliare la riflessione riguarda l’abbattimento di centinaia di migliaia di visoni in Danimarca perché infetti da un nuovo ceppo del virus potenzialmente pericoloso per l’uomo. Questi animali da pelliccia sono stati abbattuti e sotterrati alla bell’e meglio in grandi fosse comuni. Stessa sorte è toccata anche ai 30000 capi di un allevamento italiano che in fretta e furia e nel silenzio generale, per ordine del ministro della sanità, sono stati eliminati. Premettendo che non crediamo sia solo il momento della morte l’elemento di una vita condotta in modo indegno, l’esistenza in gabbia è un abominio, vogliamo porre il focus sulla spendibilità di quelle vite paragonandole alle nostre.

Fortunatamente i limiti morali delle nostre società impediscono di farci fare la fine dei visoni, ma non la stessa vita in gabbia. L’isolamento sempre più massiccio a cui siamo sottoposti e sempre più pianificato da questa legislazione d’emergenza, dalla didattica a distanza alle limitazioni al movimento, al tele lavoro è dettato da esigenze meramente repressive.

Le sole attività concesse, considerate essenziali per decreto, sono quelle finalizzate alla produzione e al profitto. Non è un caso che i centri commerciali siano aperti totalmente o con pochissime restrizioni e i musei siano ancora chiusi. Musei che tra tutte le attività ricreative e culturali, per la tutela delle opere raccolte, sono già organizzati per contingentare gli ingressi. E non citiamo la scuola, altro luogo dove la socialità, l’interscambio e la critica anche ai metodi e ai contenuti dell’insegnamento creano le basi per la nascita di coscienze e teste pensanti, quindi di un sano dissenso.

Questi dpcm ci negano gli spazi e i momenti di socialità, le occasioni di confronto, quelli che definiscono assembramenti ma che in realtà sono spazi fondamentali del nostro essere animali sociali.

E correndo su questa ruota da criceti, continuamente sfruttati, non possiamo che avere le stesse reazioni istintive degli animali sottoposti alle stesse privazioni. Ai maiali nei primi giorni di vita vengono limati i canini per contenere la reazione più istintiva e naturale di una vita condotta oltre ogni stress immaginabile, il cannibalismo per difendere il loro metro quadrato di libertà e non potendosi neppure sfogare così sono soggetti a autolesionismo o a comportamenti assurdi, ossessivo compulsivi in attesa della morte.

Così ci possiamo scannare tra di noi additando come nemico e untore il vicino, il podista o chi sceglie liberamente e responsabilmente di opporsi a queste ordinanze, incoraggiati e protetti dalla politica che prospera nel vederci divisi e consapevole, vara in continuazione leggi poco chiare fatte ad hoc per questo scopo.

Leggi assolutamente non controllabili che alimentano una cultura del sospetto e una lacerazione sociale che da un lato potrebbero essere il cavallo di troia per l’instaurazione di uno stato di polizia, perché si renderà necessaria quella presenza massiccia per verificare che tutto sia a norma, e dall’altro portano sicuramente divisione nella popolazione che, già straniata dal periodo virulento, si accanisce sugli obbiettivi più deboli, facili o vicini, distogliendo completamente l’attenzione da chi con le proprie omissioni ha portato all’impossibilità di contenere questo virus. Ossia dalla classe politica predatoria che necessita delle nostre divisioni, del nostro autolesionismo o cannibalismo, per prosperare e che, troppo spesso, è lo specchio perfetto di questa società

Se per i visoni in gabbia non c’è stato nulla da fare avere coscienza che quella potrebbe essere la stessa fine, ci aiuterebbe a capire come il loro destino e le logiche che governando le loro esistenze sono le stesse ci che stanno imponendo.

Smontare le gabbie animali è un primo passo per riconoscere le gabbie in cui ci vogliono rinchiusi e una delle soluzioni per tornare a respirare liberi fuori dal metro quadrato di libertà che ci hanno concesso.

Pernice Nera

Il salto di specie

mercoledì, Dicembre 2nd, 2020

L’analisi del periodo pandemico che abbiamo svolto finora si è concentrata sulla situazione attuale e ha cercato di smascherare le ipocrisie dietro al discorso della responsabilità individuale o collettiva nella diffusione del virus, dietro gli slogan di regime o la neo lingua bellica adottata in tempo di pace pandemica. Abbiamo pensato con questo scritto di approfondire anche alcune delle cause che sono collegate alla proliferazione del virus e la prima a cui abbiamo pensato, forse la più evidente, è quella collegata con l’inquinamento a cui siamo quotidianamente soggetti.

E nello specifico non quello delle attività produttive, che nel bresciano è arcinoto, dal caso Caffaro alla concentrazione studiata nel mondo delle realtà industriali e artigianali o alle discariche che spuntano qua e là come funghi, ma a quello collegato all’allevamento intensivo.

La comparsa ciclica delle zoonosi, ossia di quelle malattie infettive che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo, è aumentata esponenzialmente negli ultimi anni e una delle cause più conclamate è collegata con l’espansione degli allevamenti in aree ancora non antropizzate.

Che queste siano nella foresta amazzonica o nel cuore della Cina poco cambia, questa colonizzazione, con porcilaie a 6 piani o migliaia di ettari deforestati per la semina della soia o per il pascolo semi brado degli zebù, ha da un lato sottratto l’habitat agli animali autoctoni e dall’altro creato una pericolosa promiscuità tra specie che mai naturalmente si sarebbero incontrate. La stessa che spesso si trova sui banchi dei macellai.

Le condizioni di stress a cui questi animali sono soggetti sono simili perché in entrambe i casi sono costretti a vivere in aree troppo densamente popolate, e questo aspetto li rende molto più fragili e quindi più soggetti ad ammalarsi o ad essere vettori di malattie.

E se per gli animali selvatici la loro morte fattuale o la loro maggiore vulnerabilità da anni viene denunciata dai loro studiosi, per gli animali da reddito queste vengono fatte passare come uno scotto del progresso ma che non ci deve preoccupare perché gli animali vivono placidi garantiti dalle norme sul benessere animale.

Queste due parole di cui tanto si riempiono la bocca i grandi produttori o trasformatori di carne o le associazioni di categoria degli allevatori, coprono un sistema finalizzato ad avere animali super produttivi e non certo sani, per quello ci sono i farmaci.

A supporto di tale considerazione pensate che una vacca frisona da latte, che in condizioni di vita normali può arrivare a 18 anni, in pianura padana ne vive 5 di media.

O che un maiale da ingrasso, che in Italia viene macellato intorno ai 160 Kg, per il fantomatico benessere animale può tranquillamente trascorrere tutta la sua vita in 1m² di superficie, o un pollo in gabbia che può terminare il suo ciclo in poco più di un mese vivendo in uno spazio grande come un foglio a4 e mezzo (650-750 cm²). E in queste zone rosse l’uso di antibiotici è sistematico, sia per prevenire il diffondersi delle patologie sia perché, ed è un aspetto non ancora capito, questi hanno funzione auxinica, ossia stimolano la crescita. Tra le conseguenze di questa follia (per ovvie questioni in questo articolo non entriamo nel merito della violenza di questo sistema) nell’uomo constatiamo l’insorgere di forme di resistenza agli antibiotici che vanifica l’efficacia di molte cure in caso di malattia; l’importante è che un pollo diventi pollo in 40 giorni.

Ed è un tema che ci tocca molto da vicino, per molte ragioni anche perché queste realtà non sono solo distanti migliaia di chilometri da noi, sono comuni nella pianura bresciana.

Inquinamento e sfruttamento dell’ambiente, consumo di carne e uso di medicinali sono argomenti correlati con la diffusione del virus.

Per sostenere un sistema produttivo e di sviluppo in stato di malattia terminale, stanno cercando di proporre le dinamiche tipiche degli allevamenti intensivi anche all’uomo. Igienizzazioni forzate, isolamento dei malati o presunti tali e campagne medicali a tappeto.

O si cambia il sistema di allevamento-vita o saremo ciclicamente coinvolti in queste pandemie perché non è con un vaccino, che mette una pezza alle conseguenze, che si può pensare di risolvere il problema, ma è solo agendo sulle cause.

E lo possiamo fare in molti modi. Mettendo in discussione questa idea di sviluppo che ci vede come visoni in gabbia pronti a essere sacrificati per il profitto e che ci porta alla logica conclusione che la spesa è meglio farla nell’orto, non in farmacia.

Sta a noi scegliere.

Pernice Nera

 

Fuga dalla stanza 101

mercoledì, Novembre 25th, 2020

Si conclude con questo sesto articolo l’analisi del periodo virulento che stiamo attraversando. Il percorso si è strutturato in cinque articoli dove abbiamo cercato di smascherare le ipocrisie che stanno dietro alle politiche repressive, ai messaggi battenti e incessanti “dell’andrà tutto bene” e alle continue privazioni delle nostre libertà.

Abbiamo approfondito la situazione di due dei più comuni sistemi costrittivi legalizzati, la scuola e le case di riposo, abbiamo constatato come in nome del profitto possano essere serenamente sacrificate le nostre libertà e abbiamo messo in discussione la narrazione mainstream che incessantemente ci sta martellando sul tema responsabilità.

E dopo la necessaria valutazione del momento, impresa alla quale abbiamo cercato di dare un piccolo contributo, crediamo sia necessario trovare risposte concrete da mettere in atto e il primo passo l’abbiamo individuato nel rispedire al mittente, senza se e senza ma, la narrazione che ci vuole responsabili del contagio in quanto irresponsabili nella nostra quotidianità (sic che paradosso). La colpa è nostra solo nella misura in cui abbiamo continuamente delegato le scelte sul nostro futuro ad una classe politica tutta dedita al profitto e al malaffare.

Il passo successivo dovrà essere infatti orientare la tensione alla riappropriazione di una politica attiva dell’individuo, che non si limiti all’espressione di un vacuo voto ma che persegua impegno diretto e reale partecipazione; per esprimere dal basso una volontà popolare che non sia tale solo sulla carta.

Viene poi la solidarietà che ci porta a sostenere concretamente studenti e professori che hanno rifiutato la didattica a distanza e si sono trovati fuori dalle scuole a fare lezione, perché il mondo digitale, mentre cerca di sedurci con dispositivi sempre più “smart”, altro non fa che allargare la voragine di apatia che ci sta divorando. Crediamo non sia un caso che proprio la scuola, a dispetto di certi tessuti produttivi mai messi in discussione (si parla addirittura in questi giorni di riapertura degli impianti sciistici), sia stata la prima a fermarsi e non sia praticamente mai ripartita (eccezion fatta per asili e primarie dove la chiusura , vista l’età dei frequentanti, impedirebbe di fatto ai genitori di recarsi sui luoghi di produzione).

Inoltre l’autorità sa bene come i movimenti radicali e di critica al potere costituito siano spesso arrivati proprio dalla scuola e abbiano preso forza incrociando nel percorso le fasce popolari e lavoratrici.

La stessa solidarietà va portata attivamente a tutto il personale sanitario che si oppone alle logiche dell’azienda ospedaliera. Perché, ripetiamo, non può essere un modello basato sul lucro ad operare per la salute pubblica. Una solidarietà costante e reale, a salvaguardia delle loro stesse condizioni lavorative, ben altro rispetto agli strumentali moti di falsa empatia che gli sono stati in questi mesi riservati dallo stesso potere che, tra l’altro, quelle condizioni avvilisce da decenni.

E mentre assistiamo ad una spersonalizzazione totale e a un allontanamento dei rapporti umani e commerciali, in linea con la logica del distanziamento sociale, ci proponiamo di creare dei modelli diversi di consumo in alternativa all’ e-commerce e alla grande distribuzione. Soddisfare le nostre necessità di spesa in un circuito locale è un’efficace risposta per creare tessuto e relazioni che vadano al di la del mero rapporto pecuniario sostenendo così l’economia del territorio.

Per ridiscutere il rapporto che lega l’economia di territorio allo stato riteniamo legittimo utilizzare lo strumento della disobbedienza fiscale, in particolar modo per quelle attività alle quali sono stati richiesti onerosi adeguamenti per poter esercitare e che ora si vedono nuovamente private della possibilità di lavorare, in buona parte a causa dell’inadempienza dello stato alle sue stesse leggi.

Ma il tema fondamentale riguarda le nostre libertà: se ci si pensa un attimo, pure quelle che pensavamo fossero inalienabili sono state sospese in attesa dell’unica via d’uscita a questo periodo, il vaccino. Ed oggi che si profila all’orizzonte non possiamo non sottolineare come l’interpretazione materialista del: “ecco abbiamo il vaccino e ve lo vendiamo” non sia stata minimamente messa in discussione; è stata finora una gara al primo che arriva e che, riuscendo a depositare il brevetto, sul nostro corpo può fare maggior profitto ( in barba alla sbandierata retorica dello sforzo nazionale per il bene della salute pubblica).

Sulla nostra salute si sta combattendo una battaglia ben più grande di quella contro il virus, quella della nostra libertà.

Coraggio, unione e consapevolezza sono gli unici vaccini al virus che da anni ci sta affamando: l’egoismo del capitale. Un egoismo lacerante che neppure di fronte allo stato d’emergenza, alle privazioni e ai morti unisce e spinge alla collaborazione perché il profitto deve venire prima di tutto.

E’ tollerabile tutto ciò?

Ci congediamo con un estratto del libro che ha ispirato il nome collettivo e che è sempre un faro che ci guida nell’indagare sulle distopie del potere: “Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza.”

In alla fuga dalla stanza 101, Winston e Julia, Novembre 2020 o 1984?

Ma quale responsabilità?

martedì, Novembre 17th, 2020

Prosegue con questo quinto articolo l’analisi del periodo pandemico a firma Winston e Julia e con questo scritto ci vogliamo concentrare sul tema responsabilità, tanto caro alla narrazione dei principali media filo governativi.

L’abbiamo già parzialmente affrontato nei primi quattro articoli, dalla distruzione del sistema sanitario all’affermarsi di una nuova neolingua, ben rappresentata dall’ossimoro del distanziamento sociale, ma anche dell’indottrinamento scolastico e delle persone isolate nelle Rsa, la colpa o la responsabilità della diffusione del virus è sempre personale e ribaltata sulle scelte e azioni individuali.

Ci siamo resi conto di come non si faccia mai parola delle responsabilità politiche di chi ha amministrato e amministra il paese e le regioni.

Ma se scaviamo un po’e ci interroghiamo, è chiaro come questo disegno omissivo sia in perfetta continuità con le reazioni di inizio anno che già allora cercavano di spostare la responsabilità della diffusione del virus tutta sul tempo libero delle persone, dallo sport ai bar,sui luoghi di cultura e di socialità e di contro i luoghi produttivi sono sempre stati considerati sicuri; per decreto sia ben chiaro.

Nessuno finora ha chiesto conto delle responsabilità di Confindustria e delle pressioni fatte per tenere aperti i distretti produttivi bergamaschi e bresciani a marzo e aprile. Che conseguenze hanno avuto?

Nessuno chiede conto ai locali imprenditori che pur di garantirsi il profitto hanno sfruttato la possibilità di essere considerati tra le filiere indispensabili pur esercitando tutt’altra attività produttiva.

Non si chiede conto delle responsabilità politiche sia nella prima fase che di questa seconda; nessuno dice che tra gli obbiettivi per contenere la “seconda ondata” contenuti nel dpcm di marzo c’era raggiungere un rapporto del 14% di posti letto nelle terapie intensive e posti letto totali e solo 3 regioni hanno raggiunto l’obbiettivo; e ovviamente la Lombardia no, è al 9% scarso, 1000 posti sui 1500 circa previsti. E pochissimi mettono in evidenza dell’assenza di un piano pandemico aggiornato che avrebbe garantito strutture e stock di materiale sufficienti per affrontare con preparazione un’emergenza.

È evidente come nemmeno di fronte all’emergenza, presunta o reale, di fronte a delle scelte scriteriate siano purtroppo pochi che si stanno muovendo per chiedere conto della devastazione e saccheggio del sistema sanitario perpetrati negli ultimi anni e delle scelte che hanno portano all’impoverimento delle classi già più in difficoltà.

E chi lo fa individualmente o scendendo in piazza, oltre a essere pesantemente represso (ma non è una novità), viene additato come untore e come nemico dell’unità nazionale.

Quindi tutti stretti e uniti e protetti dal coprifuoco, tipico provvedimento adottato in tempi di guerra, evidenza di come la nostra esistenza debba essere vissuta fino alle 18.00, ossia fino all’orario di uscita dal luogo di lavoro e le attività culturali, ludiche e aggregative possono essere considerate superflue nelle nostre vite.

La maschera l’hanno gettata, in questi giorni l’abbiamo capito, il disegno è chiaro: o si è funzionali alla produzione o si sta a casa, ciò che manca lo si può acquistare sugli e-commerce. Il concetto è stato messo nero su bianco da Toti, presidente delle regione Liguria, che in un recente post ha definito gli anziani morti come: “non più utili allo sforzo produttivo del paese”. I settori improduttivi o se ne stanno a casa o possono morire. Aggiungiamo anche il commento del leghista Borghi che candidamente afferma che: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e quindi non sulla salute”.

Della nostra salute non importa nulla a questi vigliacchi che cercano con delle compensazioni e con le politiche di assistenzialismo, briciole rispetto alla torta, di distogliere l’attenzione dalle loro responsabilità perché mentre si soffre non possiamo dimenticarci le immagini dei comizi, delle feste e festini estivi di questa classe politica.

Ribaltare la responsabilità è un tema centrale oggi, la colpa non è di chi vuole vivere consapevole e libero ma di chi ci vuole schiavi in cattività, perché la crisi l’abbiamo già ampiamente pagata una volta come soggetti depredati della nostra salute ed ora la stiamo pagando con la nostra libertà grande alibi per coprire le responsabilità altrui.

Arrivederci al prossimo ed ultimo articolo delle serie che si propone con una certa presunzione di fornire alcune risposte, soluzioni, riflessioni, pratiche e spunti per il prossimo futuro.

Winston e Julia, Novembre 2020 o 1984?

Apatie asintomatiche

giovedì, Novembre 12th, 2020

Nella nostra rassegna di articoli di analisi sul tema “emergenza pandemica” abbiamo ritenuto necessario riservare uno spazio particolare agli esseri umani internati nelle RSA italiane. Utilizziamo il termine internati consci del forte valore costrittivo che ciò sottintende.

Di fatto costoro da mesi vivono una situazione per certi versi paragonabile al regime di massima sicurezza riservato ai detenuti considerati particolarmente pericolosi.

Attraverso questo scritto intendiamo dare risalto a delle problematiche quasi totalmente eluse dalla copertura mediatica, e ridare così voce e dignità a migliaia di persone attualmente spogliate dei più elementari diritti dell’individuo.

Una premessa è d’obbligo: la situazione nelle RSA italiane non era certo rosea neppure prima dell’epoca Covid, quest’ultima non ha fatto altro che cristallizzare grossi deficit sedimentati da decenni.

La mentalità aziendale, incoraggiata dalle istituzioni, ha da tempo occupato la sfera dell’assistenza alla terza età; una miriade di fondazioni private e S.P.A. (fra queste vi sono veri e propri colossi come la KOS del noto imprenditore Carlo De Benedetti, con 116 strutture sul territorio nazionale) si sono negli ultimi decenni sostituite al pubblico, trasformando in un affare colossale la gestione degli ospizi attraverso la solita ricetta neoliberista che ogni impresa dedita al profitto mette in pratica.

Tagli al personale, al costo del personale stesso, riduzione di tutte le spese vive a partire dal vitto, riduzione di tutte le attività ricreative e stimolanti tese a rallentare il deterioramento cognitivo e fisico ( a compensazione di ciò si privilegia una posologia farmaceutica ricchissima di sedativi e psicofarmaci).

Con regolare cadenza negli ultimi anni sono emersi episodi che chiamare di degrado è un eufemismo; vessazioni e maltrattamenti ai danni degli utenti sono più volte stati documentati da indagini di polizia e giornalismo d’inchiesta. Tutto lascia presumere che i casi venuti alla luce rappresentino solo la punta dell’iceberg.

Ed ecco che dal mese di marzo (ufficialmente) si abbatte su questo già di per sè desolante panorama l’incubo del virus. Gli anziani nelle RSA vengono immediatamente isolati dai loro affetti e le visite dall’esterno inibite. Nel contempo però su indicazione di una delibera del consiglio regionale lombardo, ma non solo in Lombardia, pazienti positivi con sintomatologia lieve vengono ricoverati negli ospizi. Si dirà poi in condizioni di isolamento rispetto agli altri, ma il personale che li cura è innegabilmente lo stesso. I dispositivi di protezione forniti agli operatori sono del tutto deficitari, come inadeguato è il monitoraggio delle infezioni.

Ad una percentuale rilevante di lavoratori che finiscono col tempo positivi in quarantena , si aggiunge la defezione (per non chiamarla diserzione come fece un dirigente del 118 ad aprile) di un numero elevato di personale sanitario. Si badi bene, il nostro non è un attacco alla categoria e neanche un giudizio umano, ma una semplice costatazione. Probabilmente molti di costoro si sono sentiti poco tutelati, oltre che spaventati dall’ isteria mediatica che dava (e continua a farlo) una rappresentazione del Covid in linea con l’ebola. Il risultato di questi fattori è che nel periodo che va dal 15 marzo al 15 maggio la maggioranza delle RSA italiane si trova ad operare con organici (già di per sé stringati) ridotti con percentuali picco dell’ 80 %. In che misura ciò abbia contribuito al torrente di decessi per/con covid negli ospizi (oltre la metà del totale nazionale) non ci è dato sapere.

Queste gravissime mancanze di tutela degli utenti, rendono se possibile ancor più inaccettabili le misure di totale isolamento dalle famiglie. In attesa di una morte biologica non lontana, già di per se ostacolata da un eccessivo accanimento terapeutico non in sintonia con il ciclo naturale della vita, questi dannati sperimentano una morte affettiva continuata ed ostativa.

Molte anime belle auspicavano l’emergenza pandemica potesse essere un’opportunità per ridiscutere l’impegno pubblico nella sanità e nell’assistenza ai bisognosi. L’inazione dello stato negli ultimi mesi (che altro aspettarsi dalla stessa classe politica che ha tagliato solo dal 2012 ad oggi 37 miliardi di euro dal bilancio sanitario) ha ampiamente dimostrato che si tratta di una pia illusione. La gestione privata , che per decenni hanno tentato di venderci come più efficiente e sostenibile, ovviamente ricerca il profitto a discapito della salute.

E la religione del Dio Denaro porta ineluttabilmente alla morte dello spirito. Fintanto che questi saranno i principi regolatori della nostra società, continueremo ad assistere alla marginalizzazione degli anziani come di tutti gli individui giudicati improduttivi.

L’orribile cinismo del capitale ha provocato nei più una mutazione antropologica che ha scalzato i nostri vecchi dal venerato ruolo avuto in ogni società preindustriale, quello di memoria e guida di un popolo.

Ridare loro centralità e rispetto è dovere di ogni essere umano degno di questo nome.

Perché gli anziani sono il nostro passato e il nostro futuro allo stesso tempo, custodi della nostra

memoria e specchio del nostro divenire.

Winston e Julia, Novembre 2020 o 1984?

 

La distruzione di un sistema sanitario

domenica, Novembre 1st, 2020

Dopo gli scritti dal titolo “Distopie pandemiche” e “A-Socialità pedagocica” prosegue con questo terzo articolo l’analisi a firma Winston e Julia.

Il sistema sanitario nazionale così come lo conosciamo è stato creato verso la fine degli anni ‘70 con l’obiettivo di accorpare e regolare le varie casse di mutua allora esistenti.

L’impianto di allora prevedeva la decentralizzazione delle deleghe dallo stato alle regioni e fin dai primi anni la regione Lombardia ha rappresentato una delle eccellenze a livello nazionale.

Dall’inizio degli anni ’90 in questo scenario si è affacciata la sanità privata che pian piano si è presentata come partner statale e sostituto per quelle prestazioni che il pubblico non aveva tempo o risorse per gestire fino ad arrivare a gestire la parte preponderante dei fondi pubblici erogati.

 

La trasformazione in aziende sanitarie degli ospedali ha introdotto logiche di profitto all’interno del sistema, tagli al personale, tagli alla spesa per le prestazioni poco redditizie e carenze delle erogazioni si sono abbattuti sul bene più prezioso che abbiamo, la nostra salute.

Lottizzazione, mercificazione dei servizi sono da allora stati parte integrante del sistema, l’inevitabilità del dovere fare profitto ha scalzato il servizio universale di sanità pubblica.

La precarizzazione del lavoro ha tagliato quel fondamentale legame di solidarietà e comunicazione tra il personale interno ed esterno agli ospedali rendendo evidente il triste paradosso che se sei ricattabile accetti, non ti lamenti e non denunci.

Nella nostra memoria abbiamo impresso l’impegno dei medici che, negli anni ‘70 e ‘80, hanno pubblicamente denunciato i danni derivanti dall’esposizione all’amianto.

E di fronte all’arrivo del Covid-19 il sistema sanitario non ha retto, o meglio non ha potuto reggere.

Il “Rapporto Sanità 2018 – 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale” del Centro Studi Nebo ha presentato la misura esatta dell’emergenza: in meno di 40 anni sono stati tagliati 339 mila posti letto (da 530 a 191 mila) e il rapporto posti letto ogni mille abitanti è passato da 5,8 a 3,6.

Stando ai dati del ministero della Salute, rielaborati da Anaao Giovani (il sindacato dei medici), nel 2010 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.165 istituti di cura, di cui il 54% pubblici e il 46% privati; oggi il numero è sceso a mille unità, ma a diminuire sono state di più le strutture pubbliche, queste ultime dislocate soprattutto in Lazio, Lombardia, Sicilia e Campania.

Dal 2012, governo Monti, il mantra del “del pareggio di bilancio” ha portato ad un inasprirsi delle politiche di taglio della spesa pubblica e delle spese sanitarie.

Il taglio orizzontale del 5% di spesa, che ha penalizzato soprattutto le regioni con i sistemi più inefficienti, ha comportato anche il taglio per i dispositivi sanitari di protezione.

E se consideriamo che le RSA in Lombardia sono per il 95% a gestione privata e assorbono 950 milioni di euro su uno stanziamento totale di 1,5 miliardi, a cui vanno aggiunte anche le rette pagate dagli utenti stessi, capiamo come il privato abbia sempre più assunto un atteggiamento più da parassita che da partner.

Questa gestione ha causato, a giugno, positività al Covid-19 del 42% degli operatori Rsa e il dato è sicuramente sottostimato visto il numero di tamponi fatti.

Che mancassero le mascherine è un fatto noto, come noto è che alcuni di questi operatori la vita l’hanno persa o l’hanno fatta perdere contagiando i loro assistiti, alla faccia dei podisti untori.

La distruzione del sistema sanitario pubblico nazionale è avvenuta gradualmente, è avvenuta per l’incapacità dello stato di resistere alle pressioni delle lobby e degli interessi di potere di chi nelle istituzioni statali ricopre ruoli.

E quindi è sì accaduta per l’avidità di pochi ma anche per l’inerzia di molti (Noi) che di fronte a questo scempio non hanno mai detto NO!

Meditiamo.

Al prossimo articolo

Winston e Julia, Novembre 2020

A-Socialità Pedagogica

martedì, Ottobre 27th, 2020

Prosegue con questo secondo articolo a firma Winston e Julia l’analisi dello sconcertante periodo che stiamo attraversando.

A quasi due mesi dalla riapertura delle scuole crediamo sia interessante analizzarne la nuova realtà.

Cosa è cambiato, quali sono le motivazioni profonde di questi cambiamenti e che impatto stanno avendo e avranno sulle varie parti in causa e sul concetto stesso d’Istruzione.

Per analizzare ciò che sta succedendo ad oggi nel sistema scolastico e valutare i rischi conseguenti alle misure preventive messe in atto, bisogna forse fare un passo indietro e riflettere su quelli che dovrebbero essere i valori e le caratteristiche proprie di un luogo dedicato all’istruzione, alla cultura e alla formazione personale, secondo il significato stesso della parola, dar forma agli individui nella loro completezza.

Per definirsi tale questo luogo dovrebbe garantire agli studenti la possibilità di sviluppare la capacità di relazionarsi e cooperare con il prossimo, assecondando la natura sociale propria dell’essere umano e di sviluppare un senso critico attraverso lo studio e la cultura.

Presupposti questi che sono in netto contrasto con la situazione attuale in cui siamo costretti a confrontarci con una scuola nella quale se già prima le troppe ore passate in classe erano causa di frustrazione e stress ora gli studenti si trovano vincolati nelle aule e costretti ognuno dietro al proprio banco anche durante la ricreazione, tradizionale momento di decompressione e di ritrovo, impossibilitati in pratica a scambiarsi qualsivoglia oggetto, forma d’aiuto o gesto d’affetto.

Tra le altre restrizioni in atto troviamo ovviamente l’obbligo di mascherina per gli studenti al di sopra dei sei anni e per gli insegnanti anche negli asili, il che rende difficile costruire un rapporto di fiducia tra studenti e tra maestri e bambini.

Sempre nell’ottica di una scuola sana ed equilibrata i bambini sono costretti a sfilare in fila indiana per il controllo della temperatura, e nel caso qualcuno risulti con un paio di tacche di febbre viene isolato in un locale a parte in attesa dell’arrivo dei genitori che devono accorrere immediatamente a dispetto degli impegni lavorativi, familiari o delle possibilità pratiche.

Per finire, se così si può dire, assistiamo inermi alla legittimazione della presenza delle forze dell’ordine all’interno delle strutture scolastiche, tra cui asili e scuole elementari, per effettuare controlli ed ammonire gli insegnanti che non si adattano perfettamente alle norme vigenti interpretando un ruolo che non è di loro pertinenza in quanto proprio del direttore scolastico, il tutto senza considerare l’impatto che queste azioni possono avere sugli insegnanti stessi e sui bambini.

Il risultato è che ci si abitua, in previsione dell’ingresso nel mondo lavorativo, a vivere i momenti a scuola e correlati con stress ed è evidente che in queste condizioni diventa pressoché impossibile sperimentare quel che sono cooperazione, fiducia e umanità per cui è fondamentale un contatto diretto e spontaneo.

Il corto circuito della gestione scolastica in tempo di Covid è messo in evidenza dal paradosso interno all’abbinamento di parole Distanziamento Sociale dove troviamo accostati due termini con significati opposti tra loro.

Distanziamento ossia porre distanza, dividere e sociale da socius,che significa compagno, ove sociare significa unire.

La domanda quindi sorge spontanea, come può funzionare una scuola che in quanto tale dovrebbe favorire lo sviluppo completo degli individui in primo luogo attraverso il processo di  socializzazione,seguendo i crismi del distanziamento sociale?

Bisognerebbe mettere sul piatto della bilancia i rischi sanitari da un lato e dall’altro quelli psicologici e formativi degli studenti, tra cui bambini che stanno sviluppando la loro struttura psicologica e che non riescono a cogliere il fattore emergenziale del momento e assimilano come norme di vita queste misure.

Quando sia dal governo che dai media si ha l’impressione di una diffusione di dati allarmistici, talvolta in contrasto tra di loro, e di misure di dubbia efficacia, sarebbe opportuno prendere in considerazione alcuni dati per poter fare una potenziale valutazione dei rischi effettivi.

Mentre i numeri dei decessi rimangono invariati tra i dati diffusi dalla protezione civile italiana e quelli risultanti da studi sierologici il numero dei contagi è ben differente.

Secondo questi studi il numero dei contagiati in Italia sarebbe di molto maggiore rispetto ai dati diffusi dalla protezione civile, di conseguenza il tasso di letalità del virus crollerebbe drasticamente.

Non si può dire lo stesso riguardo i decessi causati da malattie cardiovascolari e tumori che da marzo ad ora sono rispettivamente il triplo ed il doppio rispetto al numero di decessi ufficiali per coronavirus, e sui quali volutamente non viene posta alcuna attenzione.

Viene spontaneo domandarsi allora se il fine giustifica i mezzi, se realmente vi sia la necessità di queste misure preventive e in caso contrario a chi giova tutta questa caotica situazione.

Ragioniamo quindi sulle direzioni che sta prendendo questa faccenda, direzioni le cui forme in alcuni casi si presentano come delle novità, mentre in altri casi sembra di assistere ad un acceleramento di meccanismi che già da parecchi anni sono stati messi in luogo nel sistema scolastico e non solo.

Cerchiamo di individuare il punto d’arrivo verso cui la scuola si sta muovendo già da anni attraverso un’analisi della sua struttura organizzativa e formativa.

Pensiamo ad esempio al sistema di debiti e crediti così come alla scelta di terminologie quali offerta didattica e competenza tecnica, risulta evidente che questi non possono che essere elementi peculiari di una scuola che fonda i suoi valori e le sue finalità su concetti di produttività, specializzazione e profitto in piena ottica imprenditoriale.

Non per nulla da anni assistiamo ad un abbandono delle facoltà umanistiche, che attraverso un percorso di analisi storica favoriscono lo sviluppo di un senso critico in favore di quelle tecniche e scientifiche che permettono di sviluppare conoscenze di settore specifiche e parziali e che formano individui che altro non sono che ingranaggi di una grande macchina interdipendenti gli uni dagli altri.

Cosa significa questo in una società che ci spinge a percepire il prossimo come un fattore di rischio da tenere a distanza?

Significa che questi rapporti di interdipendenza lavorativa sono possibili grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici, che ci permettono di entrare in comunicazione con individui sparsi sul globo che possono colmare le nostre lacune formative con le loro competenze parziali favorendo un processo di normalizzazione ed interiorizzazione di un individualismo che già ci ha contaminati da tempo, favorendo un iper socializzazione digitale a discapito di rapporti umani con le persone che ci circondano per i quali è fondamentale un confronto diretto, fatto di incontro e scontro che permette di formarci anche in relazione all’altro e alla comunità.

Per seguire la parabola di questo processo in atto basti pensare a quanto negli ultimi anni la tecnologia si è inserita nelle scuole dall’avvento del registro elettronico, dei computer individuali e dei tablet e che raggiunge l’apice oggi nella didattica online con tutte le sue sottili sfumature.

Pare assurdo che in un presente nel quale sempre piu’ giovani trascorrono troppo tempo relazionandosi a tecnologie e social network la scuola li ponga ormai praticamente nella condizione di abusarne anche all’interno della struttura scolastica.

In questo articolo ci concentriamo sulla scuola perchè crediamo sia bene ricordare che ciò che avviene al suo interno e i meccanismi che la muovono ci toccano in massa in qualità di genitori, studenti o insegnanti.

Sembra proprio che si stia assistendo ad un capovolgimento totale, quello che dovrebbe essere un luogo sicuro di incontro di giovani menti in pieno sviluppo viene utilizzato sia come terreno di dottrina che come detonatore sociale per far si che nuovi valori si radichino nella coscienza di giovani e bambini e quindi si diffondano nella società.

Bisogna forse fermarsi un attimo e domandarsi seriamente se siamo disposti ad assecondare questo status quo delle cose per timore di un possibile contagio e soprattutto se questo contagio sia davvero piu allarmante di quello in atto sul piano morale e sociale, che sembra aprire la strada ad una nuovo totalitarismo del quale tecnologia e terapia sono strumenti con un peso specifico non indifferente.

Quando tutti camminano in una direzione univoca rendersi conto che forse non per forza è la direzione corretta e decidere di far marcia indietro in mezzo alla folla diventa ben complicato, forse sarebbe il caso di ricordarselo.

Darsi il tempo di riflettere prima di muovere il primo passo potrebbe essere un punto di partenza verso un recupero di consapevolezza quanto mai necessario in questo momento storico.

 

Al prossimo articolo.

Winston e Julia, Ottobre 2020

Distopie pandemiche

mercoledì, Ottobre 21st, 2020

Sulla scia di quanto espresso su questo portale mesi fa WWW.vallesabbianews.it/notizie-/-it/(Lettere,Salute,Politica-e-Territorio)-Dubito-ergo-sum…-anche-in-epoca-Corona-Virus-53616.html , e delle analisi a firma “Valsabbin* Refrattar*, torniamo ad affrontare il tema “emergenza pandemica”, attraverso una serie di articoli e con il medesimo proposito di mettere in essere un dibattito orizzontale per scalfire il monolite del pensiero unico che, sotto il suo peso, pretende schiacciare ogni pensiero critico.

Per neutralizzare l’infamante accusa di negazionismo (categoria storicamente utilizzata per chi nega l’olocausto ed ora piazzata ad arte per squalificare chiunque esprima dubbi sulla gestione dell’epidemia), facciamo una necessaria premessa, il virus esiste e la terra non è piatta.

Detto ciò, lasciando da parte eccessi emotivi da tifoserie e dietrologie spicce, non intendiamo accettare il concetto ora in voga di Scienza con la maiuscola, che ci propone dogmi non dimostrati, abbandonando così i principi cardine di “sensate esperienze” (Galileo) e “possibilità di confutazione” (Popper).

La comunità scientifica non ha in assoluto posizioni univoche riguardo la questione Covid, fra i tanti medici e scienziati che dissentono dalla narrazione dominante vi sono illustri virologi come Tarro e premi Nobel come Montagnier.

Semplicemente però, chi non ha posizioni che si conciliano con l’ordine del discorso imposto viene totalmente ostracizzato mediaticamente e subisce attacchi personali senza diritto di replica.

Senza un dibattito vivo e in sviluppo la scienza non è più tale, e prende le sembianze di una religione.

I componenti del Comitato Tecnico Scientifico, coacervo di top manager calati dall’alto ed intrisi di clamorosi conflitti di interesse, assumono il ruolo di Sacerdoti del Tempio.

Il governo si deresponsabilizza di ogni decisione, e smette di essere tale, affidando a costoro decisioni e previsioni insindacabili e ingiudicabili. Persino dopo che, spargendo terrore a piene mani, ad aprile costoro annunciarono proiezioni con un calcolo di 151.000 terapie intensive per giugno, e che quelle cifre che si rivelassero poi errate di 150753 unità, nessuno dovette rendere conto del clamoroso procurato allarme.

La valanga che sta travolgendo innegabilmente le più elementari libertà individuali e di impresa muove da presupposti per nulla trasparenti.

Il bollettino di guerra che ogni giorno martella la popolazione snocciola dati elaborati con modalità nebulose, e presentati ad arte per dipingere un quadro con le tinte più fosche a disposizione.

Perché non si palesano mai età e patologie pregresse dei nuovi ingressi in terapia intensiva?

Qual è il fine nell’effettuare tamponi post mortem a tappeto se non quello di gonfiare artificiosamente le statistiche dei morti per Covid inserendovi anche decessi avvenuti per conclamate altre cause??

A tal proposito aggiungiamo che nei mesi a venire i numeri giocoforza cresceranno, nelle stagioni autunnali ed invernali la mortalità per questioni fisiologiche schizza, come anche la pressione sugli ospedali, in emergenza ormai ciclicamente da tempo dopo trenta anni di continui tagli alla sanità!

Per quale ragione non si accoglie come incoraggiante il dato che in media il 95% dei positivi giornalieri è asintomatico?

Questa figura dell’asintomatico, che è cardine per l’ordine del discorso emergenziale, merita poi un discorso a parte.

Non è per nulla dimostrato che possa contagiare, come si è lasciata scappare in una recente conferenza

stampa Maria Van Kerkhove, funzionario a capo del gruppo tecnico dell’Organizzazione mondiale della

sanità !! (costretta per la cronaca a nebulose ritrattazioni il giorno successivo).

Definire inoltre contagiata una persona senza sintomo alcuno, per poi dichiararla guarita al successivo tampone negativo dovrebbe portare ogni persona di buon senso a fare una grassa risata.

Si può definire contagiato un individuo colpito da una malattia che altera le normali funzioni biologiche, e non una persona portatrice sana di un Virus (ne ospitiamo a centinaia!!).

Generalmente per eludere queste e altre argomentazioni vengono puntualmente tirati in ballo i morti di marzo e aprile, omettendo di analizzare che quei decessi si sono registrati in totale assenza di cure, con i medici di base interdetti dal visitare, con le RSA piagate dal ricovero nelle stesse di pazienti Covid, con il tardivo ricovero ospedaliero di moribondi intubati in ventilazione profonda (prassi poi rivelatasi persino nociva).

Avremmo potuto acriticamente accettare i provvedimenti di marzo, attribuendo le troppe distopie e negligenze agli errori in buona fede di chi si è trovato ad affrontare qualcosa di nuovo ed extraordinario. Ma da quando, da metà aprile, con le prime

autopsie (inspiegabilmente omesse in precedenza) si è capito che il virus colpisce attraverso trombi che

danno luogo a embolie polmonari, e che è contrastabile con successo attraverso l’utilizzo di correnti

anticoagulanti (non a caso da quel momento la mortalità è implosa) ci facciamo sempre più domande.

Una di queste e’ : ” Perchè il virus ha colpito con veemenza straordinariamente maggiore le province di

BG e Bs ?” L’inquinamento atmosferico?? Le massicce campagne vaccinali messe in atto in quelle zone

nei mesi precedenti??

Noi non abbiamo una risposta certa, e pare che a nessuno nelle istituzioni interessi averla. Essì che dovrebbero preoccuparsi di fare assoluta chiarezza su un fenomeno come quello dell’interferenza virale dovuto alle vaccinazioni di massa, quantomeno per un principio di precauzione, prima di pretendere, come già successo in alcune regioni, che l’antiinfluenzale venga resa obbligatoria per gli over 65.

Crediamo che in molti abbiano iniziato a capire che “andrà tutto bene” è uno slogan che può calzare solo per i grandi colossi della farmaceutica, dell’informatica, della tecnologia, del credito e dell’e-commerce che in questo periodo emergenziale hanno visto decuplicare i loro profitti; può calzare per le schiere dei loro amministratori scodinzolanti a busta paga che distribuiscono appalti senza gare ai soliti noti ( uno su tutti i 27 milioni di mascherine al giorno al gruppo Fiat).

La cura somministrata alla classe media e lavoratrice è ben peggiore della malattia ed a breve potremo apprezzarne le conseguenze in tutta la loro gravità.

Migliaia di piccole-medie aziende falliranno, e un esercito di disoccupati si troverà, nel migliore dei casi, a svendere la propria forza lavoro per condizioni miserrime (vi invitiamo ad informarvi sulle condizioni lavorative da Amazon ad exemplum).

Proprio per non privarci dell’unica arma a disposizione di un popolo oppresso, l’unione, rifiutiamo il

concetto di distanziamento sociale (non fisico, si badi bene le parole non vengono scelte a caso).

Rifiutiamo i meschini appelli in salsa Gestapo alla delazione riguardo le abitudini del vicino.

Continuiamo a creare tessuto sociale, a guardare negli occhi il nostro prossimo senza vedervi un untore, ad

insegnare a i nostri figli condivisione e aggregazione solidale.

Rivendichiamo il diritto di riunirci ed assembrarci.

Perché oltre che inumano, il divieto di assembramento, sarà un caso, resta il tratto distintivo che accomuna tutti i regimi autoritari della storia.

 

Al prossimo articolo.

 

Winston e Julia, Ottobre 2020 o 1984?

Armi di distrazione di massa

lunedì, Aprile 6th, 2020

A poco più di 2 mesi dalla comparsa del virus in Italia è forse giunto il tempo di fare un primo bilancio.

In 25 anni di governi regionali di destra, dal 1995 con Formigoni e poi con Maroni ed ora Fontana, gli ultimi 2 in quota lega, abbiamo assistito al fiorire della sanità privata a scapito della pubblica e dalla pubblicizzazione del sistema sanitario lombardo definito come eccellenza italiana.

Eccellenza che spolpata di tecnologie e competenze in questi giorni di virus ha seriamente rischiato il collasso, evitato grazie sacrificio del personale sanitario, peraltro già martoriato precedentemente da tagli e precariato.

Un sistema che ha comunque avuto dei buchi neri nel controllo della diffusione del virus, come nel caso delle Rsa e delle strutture che accolgono anziani, lasciate in balia di se stesse fin dai primi giorni, quando già era chiaro che il virus aveva un’incidenza maggiore sugli anziani. Senza dpi, istruzioni e tamponi in molte strutture è accaduto il peggio, come nel caso della Rsa di Quinzano d’Oglio (Bs) dove si sono contati 33 morti sulle 80 persone ospitate.

Tamponi che anche nelle Rsa della Valle sabbia sono stati effettuati solo nei primi giorni di aprile.

Il sistema sanitario lombardo che ha dato risposte diverse rispetto ad altre regioni, come il Veneto o l’Emilia e che già oggi i primi studi dimostrano che come l’isolamento forzato e l’ospedalizzazione anziché la prevenzione attraverso tamponi abbiano avuto effetti negativi sia dal punto di vista umano che economico.

E di fronte a queste responsabilità, a cosa stiamo assistendo?

Assistiamo con l’abilità tipica di chi ha fatto della politica una professione da un lato allo spostamento delle colpe della diffusione del virus da una dimensione collettiva a una personale, droni inseguono i runner in città e il focus è incentrato su chi esce di casa senza un motivo apparente e non su Confindustria che fin da subito ha insistito e ottenuto, che le attività produttive non si fermassero. O che nell’elenco delle aziende definite strategiche rientrasse la Leonardo che, il 29 marzo, ha riaperto la fabbrica di Cameri dove vengono prodotti i caccia militari F35.

E dall’altro lato vediamo profilarsi all’orizzonte il nuovo nemico da odiare verso cui incanalare tutto il malessere in questi anni accumulato e che in questi giorni di reclusione si è acuito.

Dopo i terroni e i negri è giunta l’ora dell’Europa, crudele entità che gode nel vederci soffrire e che nemmeno di fronte a questa emergenza non fa nulla per aiutarci. E gli stessi oggi attaccano e che minacciano di uscire dall’Europa sono gli stessi che da decenni siedono nei banchi di quel parlamento e che prendendo mensilmente lo stipendio hanno saputo solo collezionare il maggiore numero di assenze nelle riunione e nelle commissioni dove vengono discusse le sorti anche del’Italia. Un’ipocrisia fin troppo evidente.

E non che la loro controparte politica abbia fatto meglio. Negli occhi abbiamo ancora la manifestazione pro tav di Torino e nelle nostre memoria le politiche liberiste della sinistra. Una sequela di provvedimenti per dirottare risorse dalla salute ad un sistema partitico e economico malato.

I migranti, i diversi, l’Europa o un supposto benessere collettivo sono lo specchietto per le allodole utilizzati per sviare l’attenzione dalle reali cause e dalle responsabilità dei problemi che affliggono la società e col fine di lasciare inalterato lo status quo al comando.

E quindi, guidati da chi in questi anni ha portato a questa situazione non ci resta che, nei quotidiani due minuti di odio, odiare con forza lo spauracchio di turno e oggi accettare passivamente di stare chiusi in casa o di contagiarsi in fabbrica, distratti dalla peggiore arma di distrazione di massa, la politica.

Valsabbin* Refrettar*