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Una morte annunciata

venerdì, Aprile 14th, 2023

Ha avuto grande risalto la notizia della morte di Andrea Papi ventiseienne di Caldes in val di Sole che, uscito di casa lo scorso 5 aprile per una corsa in montagna, è stato trovato privo di vita con evidenti segni di aggressione e che poi l’autopsia ha confermato essere provocate da un orso.

Un dibattito serrato si è scatenato e tanti sono stati i pensieri e i commenti che ho potuto leggere in questi giorni e con questo scritto ho deciso di mettere nero su bianco, alcuni pensieri che già qualche anno fa avevo scritto ma che purtroppo non avevo reso pubblici.

Facendo un passo indietro l’orso e i grandi carnivori in generale sono stati da sempre un pericolo per le fragili comunità alpine che appena hanno avuto la possibilità, ad esempio con la diffusione delle armi da fuoco, hanno provveduto a mettersi al riparo dalla natura di questi carnivori.

Si stima che nell’intero arco alpino negli anni 60 del ‘900 ci fossero una quindicina di esemplari scesi poi a tre-quattro concentrati nell’area occidentale del trentino ad inizio degli anni 90.

La reintroduzione del più grande plantigrado europeo s’è concretizzata col progetto Life Ursus che tra il 1999-2002 ha permesso il rilascio di una decina di esemplari provenienti dalla Slovenia, sette femmine e tre maschi, con la pretesa di poterli gestire attraverso radio collari, anche negli anni, attestando poi la popolazione vitale tra i 40 e i 60 esemplari.

Esistono delle differenze tra l’orso sloveno e quello “storico” italico sia dal punto di vista fisiologico, il primo presenta dei letarghi più brevi e un tasso di riproduzione leggermente maggiore, che biologico probabilmente spazi maggiori e meno disturbo antropico, anche venatorio, hanno reso l’orso sloveno meno diffidente e più avvezzo al contatto con l’uomo di quello autoctono abituato all’avversione dei montanari.

Oggi l’orso è presente in molte valli della provincia di Trento e in altre delle province confinanti, ufficialmente censito intorno ai cento esemplari, solo qualche decina radiocollarati, ma più verosimilmente vicino ai 150 esemplari; un numero destinato a salire con i piccoli partoriti ad inizio anno e non ancora censiti. Numeri ben diversi da quelli inizialmente auspicati nel progetto.

La reintroduzione dell’orso è stata fin dal primo momento ammantata da una propaganda martellante con al centro le tematiche relative al ripristino di condizioni di naturalità e biodiversità dell’ecosistema montano trentino ma che mai sono riuscite a nascondere le reali intenzioni di sfruttare il volano di questo progetto a livello pubblicitario, turistico e commerciale; molti sono i loghi e i nomi di attività pubbliche e commerciali che si richiamano al progetto.

L’accettazione acritica e passiva del progetto life Ursus ha portato con sé l’esplicita accettazione della trasformazione della montagna in un parco giochi non urbano e l’accettazione che questa e i suoi abitanti siano destinati ad essere spettatori di questo scempio a favore di un turismo colonizzatore, mondano e giornaliero.

In una parola insostenibile, da tutti i punti di vista.

Negli anni purtroppo poche sono state le voci dissenzienti e fa riflettere come esista una spaccatura tra chi la montagna la vive nella quotidianità, per esigenze economiche o di vita e chi la vive nei fine settimana o nelle settimane bianche e nelle escursioni-selfie.

Fa riflettere come contro chi si è permesso di porre solo delle domande, o dei dubbi sul progetto si sia creato negli anni un asse tra la galassia ambientalista (termine a mio avviso vuoto di significato, tra l’altro vorrei vedere chi non si dichiara così) e anticaccia, ovviamente anti-specisti, e la provincia di Trento e gli enti pubblici collegati che nella sua scelta ha mostrato come l’apoteosi specista, con le sue pretese di ripristino di una naturalità artificiale, ha prodotto questo disastro.

L’eterogeneità dei fini si potrebbe dire, ma pure nei mezzi, ossia nell’assoluta e colposa inerzia e immobilità di fronte agli squilibri creati che hanno portato, de facto, alla perdita di controllo sul progetto e sugli animali.

La scelta specista di considerare degli animali selvatici animali da cortile, gestibili e direzionabili, che ha come prezioso alleato l’anti-specismo di pancia, ignorante, nel senso etimologico, dei meccanismi biologici che regolano un ecosistema in buona parte snaturato dall’intervento antropico che ha come unica soluzione, forse un po’ nichilista, il non fare nulla perché la natura si autoregola. Chiaramente anche dopo una tragica fatalità.

Il colpevole della morte di Andrea Papi non è certo l’orso, colpevole solo di essere un orso con la sua natura e i suoi istinti, ma come per tutte le degenerazioni ambientali il colpevole è l’uomo.

Per la verità le responsabilità della morte di Andrea Papi, come di tutti i danni e i ferimenti che hanno sconvolto la vita di numerose persone, sono chiare e sono da ricercare all’interno di quella cerchia politica che ha voluto, sostenuto, attuato e tutt’ora implementato quei folli progetti chiamati life ursus o wolfalps.

Mandanti morali si potrebbe dire, o responsabili come avrebbero detto quando la differenza tra vittime e colpevoli era molto più netta, e quando il concetto di violenza, di vita e di morte nella civiltà contadina che ci ha preceduto era molto più chiaro.

Oggi la violenza quando non diretta e manifesta attraverso delle aggressioni è evidente a scapito degli allevatori spaventati e dagli armenti, sbranati dai grandi carnivori, che stanno irrimediabilmente abbandonando i pascoli alpini, e senza il pascolo scompaiono le condizioni per la nidificazione di alcune specie autoctone come, ad esempio, la coturnice delle alpi, degli apicoltori che per preservare i propri alveari già fiaccati dalle malattie e dalla chimica devono creare dei fortini elettrificati, della fauna ittica distrutta dalla costruzione di laghi artificiali per le neve artificiale, e di tutte quelle specie animali e vegetali che non potendo essere impiegate come volano mediatico e pubblicitario sono sacrificabili e destinate ad una lenta morte.

Sto pensando anche ad una specie alloctona come il muflone, bestia sacrificabile per l’alimentazione dei carnivori immessi, che introdotta con piani provinciali, nel quadriennio 2018-2022 in Trentino ha visto la propria popolazione censita scesa da 720 a 161 esemplari a fronte di un aumento esponenziale dei lupi; lupi che nei vicini appennini, finiti gli animali selvatici, si sono avvicinati ai centri abitati predando senza remore qualsiasi animale domestico, cani in testa.

Se umanamente posso essere dispiaciuto per gli orsi e i lupi, che a mio avviso devono essere comunque eradicati, dall’altra so bene che questa scelta è oggi ancor più necessaria per la folle idea della montagna cartolina, della natura fatta di panorami, di rifugi sempre più resort di lusso, delle foto di lupi ululanti al chiaro di luna sull’Instagram e degli orsi Yoghi e Bubu birbanti rovistatori tra i cestini dei turisti in campeggio.

È una questione di autodifesa.

La natura e la montagna per come le conosco sono ben altro, sono tanto generose quanto spietate e lo sono già abbastanza senza che vengano introdotti elementi come l’orso o il lupo.

La soluzione ad oggi prospettata per dare una risposta alla morte di Andrea è la stessa impiegata per gestire qualsiasi problema, renderla emergenza che giustifica i peggiori divieti e le peggiori scelte.

Da un lato si stanno pensando a delle restrizioni e dei divieti di accesso alle aree di presenza dell’orso, quindi, in sintesi di rinunciare a vivere la montagna nella sua totalità, come già avviene in certe zone dell’Abruzzo che però ha una densità antropica decisamente diversa al trentino (o magari lo si potrà fare attraverso un green pass?), dall’altra giustificando la soppressione di prima 4, poi 3, poi 50 orsi per la loro pericolosità sociale che dal 5 aprile questi hanno acquisito.

Scelte che scatenano così una risposta di pancia da parte di chi non ha ancora compreso dove davvero stia la violenza e che rendono bene l’idea di quanto questi dilettanti allo sbaraglio non vogliano in alcun modo risolvere il problema e di come la loro violenta non violenza, del loro immobilismo, sia più pericolosa del ripristino di quelle condizioni che hanno garantito più serenità a chi di montagna e anche delle sue asperità vive.

In questo nulla resta il dramma di una famiglia, di una madre che in una lettera lucida e toccante, ha definito la morte di suo figlio “una morte annunciata”, una lettera che mi ha colpito e mi ha spinto a scrivere queste righe.

Per Andrea.

Foto: Willy Verginer – Sculture silenziose

La resistenza di un professore “disobbediente”.

sabato, Marzo 4th, 2023

Ora che penso che i tempi siano maturi, per trarre spunti di ragionamento mi sono risolto a esternare alcune riflessioni e raccontare la mia esperienza umana e lavorativa nell’ambito del trascorso triennio pandemico.

La mia primissima reazione, come penso sia stata quella di molti di fronte ad una malattia sconosciuta e potenzialmente letale, è stata la paura, unita alla totale mancanza di fiducia nella capacità delle istituzioni di far fronte comune e di mettere in atto interventi pronti ed efficaci, conformi all’entità e alla gravità della situazione. Ho adottato dunque una mia personale linea di condotta volta all’autoisolamento, ancora prima che venissero imposte le chiusure, al fine di preservare la mia salute, quella dei miei familiari e dei miei amici, la cui frequentazione è stata da me interrotta spontaneamente in modo deciso. Ho aderito coerentemente alla scelta dei primissimi lockdown, utili a limitare il più possibile i danni nei confronti di un virus che nel breve periodo si era già rivelato devastante con gli ospedali al collasso. La situazione è degenerata con la chiusura progressiva delle scuole e l’adozione della didattica a distanza alla quale nessuno era realmente preparato. In un primo momento ho tentato di garantire una parvenza di continuità assegnando elaborati e disegni via mail, che dovevano essere consegnati con scadenze elastiche al fine di venire incontro alle difficoltà degli alunni, mentre per la parte teorica della mia materia, mi era impossibile sondare la reale preparazione dei ragazzi a causa della mancanza degli strumenti indispensabili per affrontare le lezioni online, in una materia come arte che richiede forse più delle altre la lezione in presenza.

Nella maggior parte del tempo libero ho studiato, letto e scritto molto per approfondire gli argomenti relativi alla mia materia, ho sperimentato nuove tecniche artistiche, convinto sin da subito che la pandemia sarebbe durata a lungo e che il tempo prezioso doveva essere fatto fruttare.

Conclusa la scuola, molto dubbioso se ascoltare le rassicurazioni relative al calo dei contagi, nonostante le aperture, forte del legame che mi lega al territorio, quasi giornalmente ho iniziato ad esplorare la rete di antichi sentieri perlopiù abbandonati, immerso nel silenzio e nell’isolamento totale. Raccogliendo frutti, erbe, funghi di cui sono a conoscenza, ho sconfinato in territori poco o mai praticati, convinto che la Montagna non dovesse essere solo vista come unica fuga dalla pandemia, ma anche come necessario e prezioso recupero di un sapere perduto, ricca di componenti mistiche intrise di una religione antica, amplificata dalla mia passione per il mondo contadino.

Con la fine di agosto, pur nella convinzione dell’opinione pubblica di un ritorno alla “normalità”, ero sicuro che sarebbe ricominciato tutto con l’arrivo del freddo ed era dunque indispensabile prepararsi per tempo alla clausura dell’inverno: così unitamente ai materiali per la pittura ho predisposto webcam e microfono per sostenere al meglio le lezioni online. Infatti, come previsto, con l’inizio della scuola e cambiata sede, si sono alternati i periodi di DAD alle chiusure per l’elevato numero di contagi. Con i permessi ci si poteva recare dal lavoro alla montagna vicina e questo mi dava la possibilità di continuare le uscite non solo sui monti di casa ma anche in quelli dell’alta valle, nel fitto di boschi immersi nelle brume autunnali o coperti dalla neve dell’inverno.

La difficoltà maggiore era rappresentata dalla scuola, unico ambiente a rischio nei periodi di lezione in presenza, problema aggirato adottando scrupolosamente mascherina, disinfettanti sempre a portata di mano e svolgendo lezione dalla cattedra praticamente incollata alla parete di fondo, accanto alla finestra aperta. Facevo volentieri ogni mattina il tampone prescritto, da me ritenuto sempre unico modo possibile e sicuro per tutelare la salute di chi mi stava vicino. Nel corso dell’anno scolastico, con le scuole nuovamente chiuse per la pandemia, ho organizzato un metodo di lavoro attraverso le lezioni online per cercare di operare al meglio e formulare dei voti attendibili e reali: facevo lezione nelle ore curricolari e con la disponibilità degli alunni, dedicavo gratuitamente interi pomeriggi alle interrogazioni a coppie, in tempi scanditi di mezzora ciascuno fino a sera. Un lavoro immane e faticoso del quale vado particolarmente fiero e del quale non sono mai stato riconosciuto. Intanto si iniziava a vociferare della scoperta di un vaccino, considerato già da molti speranzosi la soluzione definitiva alla pandemia. Dopo tante parole da parte di istituzioni e media fatte di incoerenza e cambi di rotta improvvisi, la ritenevo una soluzione molto fantasiosa e un gran poco credibile, consapevole che per la scienza, ci sarebbero voluti anni per conoscere ed elaborare una soluzione sicura, senza effetti collaterali, atta a contrastare efficacemente il covid. Eppure l’entusiasmo crescente e la propaganda mediatica martellante e violenta, seguita presto da decisioni politiche impositive, hanno scelto il vaccino come unica e sola strategia in grado di eliminare il virus, scartando a priori e mettendo al bando qualsiasi altra soluzione.

Dapprima consigliato è diventato presto obbligatorio prima per i sanitari, poi anche per gli insegnanti. Restando coerente alla mia scelta, che mi aveva già comportato numerosi sacrifici dal punto di vista lavorativo e sociale, sono rimasto fermo sulla mia posizione mentre tra i colleghi c’era chi sosteneva a spada tratta i provvedimenti dell’obbligo e altri, dapprima fermamente convinti nel contrastarli, vi si sono immediatamente sottomessi per i più svariati motivi. Questa mia decisione personale è stata sostenuta anche dalla convinzione che il ruolo di insegnante imponga l’educazione al pensiero autonomo e alla libera scelta. La fortissima chiusura mentale e propaganda mediatica non ha fatto altro che amplificare l’odio sociale e lo scontro tra le due parti, “provax” e “novax”. Da un lato la scienza, vista ora non più come ricerca e sperimentazione ma come fede incrollabile nel vaccino come unico dogma e dall’altra quelli contro, a prescindere dalla scelta: tutti “novax”, uniformati al pubblico più negazionista ed estremista che, sin dalle prime chiusure, manifestavano in massa senza alcuna sensibilità, rispetto o riguardo per la salute altrui. Inizialmente le spese sempre più alte per pagare i tamponi ogni mattina, successivamente anche il ricatto lavorativo, talmente ingiusto rispetto al tanto lavoro e sacrificio non ripagati, mi ha reso ancor più ostinato, intransigente e determinato a mantenere la mia posizione, ora per una questione di principio.

Riconosco di essere stato più fortunato di altri nel prendere le mie decisioni perché la mia famiglia mi ha sostenuto economicamente, ma conoscendo il mio carattere avrei adottato la stessa linea di condotta anche se mi fossi trovato in grave stato di indigenza. Le reazioni all’interno della scuola sono state le più diverse, dai pochissimi che comprendevano la situazione complessa, tra cui alcuni genitori che mi hanno manifestato la loro più genuina solidarietà e che ricorderò per sempre e ai quali va la mia più profonda riconoscenza, al silenzio e all’indifferenza della quasi totalità dell’organico scolastico fino ai più astiosi e inflessibili, che a stento tolleravano la mia presenza e “disobbedienza”, togliendomi il saluto e guardandomi entrare a scuola quasi schifati. Dopo il difficile abbandono delle mie classi, ho approfittato dei tre mesi di sospensione per continuare nello studio e nella ricerca.

Sono stato successivamente reintegrato a scuola e impiegato, come prevedeva il decreto, in mansioni diverse dall’insegnamento, con il divieto categorico di entrare in classe e addirittura di vedere i ragazzi, nella discriminazione e nell’indifferenza quasi totali. Questo nonostante fossi l’unico a garantire la sicurezza con il tampone effettuato d’obbligo, risultato in due anni di pandemia sempre negativo, mentre la quasi totalità dei colleghi vaccinati era a casa più volte contagiata e la scuola tentava di far fronte alla complicata situazione delle assenze in classe assumendo supplenti disponibili oltre le graduatorie esaurite. Essendo stato privato della mia qualità di insegnante, ho cercato tuttavia di mostrare la massima disponibilità e collaborazione nell’ambiente della segreteria, anche se assegnato alle mansioni più monotone.

Tornato quest’anno scolastico alla serenità di un ambiente lavorativo “normale”, auspico che questa mia esperienza, insieme a tante altre, forse più devastanti della mia, possa far capire quanto siano sbagliate e controproducenti le derive autoritarie, imposizioni e obblighi, che non hanno portato a nulla di buono se non alla conseguenza di amplificare odio e divisioni fra la gente e sono stati la negazione delle libertà e delle scelte personali, che dovrebbero essere perseguite sempre nel rispetto dell’altro ma anche con maggiore coraggio, determinazione e coerenza.

Baronchelli Giovanni

25 Aprile 2022: il tempo delle scelte

domenica, Aprile 24th, 2022

Sono passati 80 anni dalla disfatta militare conseguente all’invasione della Russia, rimasta nella memoria collettiva come “ritirata di Russia” e “battaglia di Nikolajewka”. In Italia e in particolare nella nostra valle, ciò ha rappresentato la presa di coscienza collettiva di un fallimento e nel cuore di molti ha dato la forza per mettere in discussione il ventennale regime fascista.

Oggi da quelle terre ci giungono notizie di una nuova guerra, non meno brutale ma quale non lo è, e a tamburo battente la stampa sta martellando sulla necessità di un intervento e sulla necessità di schierarsi tout court, dividendo il fronte tra buoni e cattivi.

Una semplificazione eccessiva che non tiene minimamente conto della storia di quei luoghi e neanche del percorso politico di chi oggi viene definito come nuovo partigiano, seppur indossi i simboli dei reparti nazisti o condivida con loro l’idea ipernazionalista, squadrista con chi non si allinea e che si è macchiata di terribili crimini dal 2014 ad oggi.

La valanga di polemiche che sono state sollevate nei confronti di chi si è espresso diversamente dal pensiero dominante, ha travolto anche la principale associazione reducistica dei partigiani italiani, la quale, per una volta dopo molto tempo, ha messo in discussione questa linea difendendo valori di internazionalità e pace. Questi episodi dovrebbero davvero farci riflettere sul livello di libertà della nostra società.

Poco ci si può aspettare da chi col pacifismo ha fatto anni di campagne elettorali ed oggi è completamente asservito a logiche economiche e, prono agli interessi atlantisti, sta sostenendo misure e posizioni guerrafondaie e militariste quali l’invio di armi o lo stanziamento di nuovi fondi per le spese militari.

In questo giorno dove si ricorda, si celebra e si festeggia chi della lotta armata ne ha fatto una scelta di vita (e troppo spesso di morte) una riflessione deve essere fatta sul significato di Resistenza e sulla necessità di attualizzare quei valori.

Riflessioni centrali per non confondere parole importanti quali Resistenza, Libertà e Liberazione, strette da un innegabile legame di causa ed effetto, il quale, se frainteso, ci porta erroneamente ad assumere che godere della libertà sia scontato e slegato dalla lotta e dagli sforzi per conquistarla o mantenerla.
L’esistenza di questo legame indissolubile tra questi termini e i concetti che essi richiamano deve essere ben chiaro altrimenti si rischia di svuotare di senso la parola di cui amiamo riempirci la bocca: non ci sarebbe Libertà senza Liberazione, non ci sarà mai Libertà senza Resistenza.

Organizzare eventi mossi da nobili intenti, come pulire i nostri paesi coinvolgendo i più giovani o celebrare le libertà di espressione artistico culturali, che per altro ci vedrebbero attivi partecipanti in altre date, ovviamente sempre muniti di regolare certificazione verde, snatura l’essenza del 25 aprile e porta a recidere il legame storico e umano con gli ideali e l’esempio della Resistenza.

Il 25 Aprile di quest’anno definisce il tempo delle scelte.

Un tempo per una narrazione complessa contro la narrazione guerrafondaia che vuole il male da una parte e il bene dall’altra senza una qualsiasi analisi più approfondita, un tempo necessario per non doversi trovare più costretti a prendere le decisioni di quelle donne e uomini che hanno animato la lotta per la liberazione dal regime fascista.

Ieri come oggi essere contro il pensiero unico rappresenta la sola via di uscita dal vortice e il dissenso può essere manifestato con piccoli ma grandi gesti anche nei nostri paesi.

A Baitoni e Bondone troviamo delle vie che nel 1939 il Podestà di Storo, che allora amministrava anche questi paesi, intitolò a dei conclamati fascisti della prima ora e che nonostante gli 83 anni trascorsi non vediamo essere mai state cambiate. Stiamo parlando di via Tullio Baroni e via Tito Minniti a Bondone e via Aldo Sette a Baitoni.

Tullio Baroni volontario fascista deceduto in combattimento nella guerra civile di Spagna ottenne la medaglia d’oro al valor militare alla memoria come “tempra eccezionale di fascista e di soldato”;
Tito Minniti aviatore e volontario nella guerra di invasione in Etiopia dove il regime fascista utilizzò a tappeto armi letali quali il gas, stupri e violenze di qualsiasi genere per piegare la resistenza;
Aldo Sette uno dei primi squadristi caduto negli scontri delle squadre d’azione che operarono prima della marcia su Roma.

Sarebbe davvero bello che quelle intitolazioni lasciassero spazio al cambiamento.
In contrapposizione a tale scempio e alle biografie di questi figuri vorremmo le vie così rinominate:
ex via Baroni oggi via Volontari Internazionalisti di Spagna;
ex via Minniti oggi Vittime del colonialismo italiano;
ex via Aldo Sette oggi via Barricate di Parma in memoria della Resistenza popolare della città ai fascisti della marcia su Roma.

Una nuova toponomastica, un piccolo gesto, che ci auguriamo possa portare ad una vera presa di coscienza delle responsabilità di quel regime perché è davvero assurdo che a più di 80 anni di distanza ci sia ancora il ricordo di figure che hanno contribuito a rendere il mondo un posto peggiore.

Il 25 Aprile di quest’anno definisce il tempo delle scelte, l’orologio verso un nuovo regime totalitario corre più forte che mai e noi sappiamo da che parte stare, la stessa di sempre.

Ora e sempre Resistenza!                                               Antifasciste e Antifascisti

Nome di battaglia Aquilone

martedì, Ottobre 19th, 2021

Ambrosi Paolo Giovanni, un bagolinese nell’epopea della guerra civile spagnola

Introduzione

La storia che vado a raccontare non che è un minuscolo frammento del mosaico di avvenimenti che hanno segnato la prima metà dello scorso secolo.

Ho incontrato Ambrosi Paolo Giovanni quasi per caso, stavo conducendo una ricerca sul periodo resistenziale nella Val Caffaro e stavo consultando gli archivi on-line dell’Istituto storico Ferruccio Parri in parte digitalizzati e resi pubblici. Durante la consultazione di questi schedari mi sono imbattuto nel progetto dell’Aicvas (Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna) che dagli anni ’90 in collaborazione con l’allora Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia di Milano ha raccolto e reso disponibile la banca dati contente le schede personali dei volontari italiani nella guerra civile spagnola e facendo una breve ricerca per comune mi sono imbattuto nel nome di Ambrosi Giovanni Paolo nato proprio a Bagolino.

La storia della famiglia Ambrosi (scötòm Bàcàc o Bàcàciù), almeno della cronaca anagrafica, è riportata nel foglio di famiglia del registro della popolazione depositato presso l’archivio del comune di Bagolino, presumibilmente aggiornato per il censimento della popolazione del 1931. In questo documento troviamo la famiglia Ambrosi residente nella casa n.6 di via Madonna di San Luca e le schede del padre Ambrosi Bortolo Fu Giorgio e Carè Domenica nato a Bagolino nel 1873, della madre Girardini Caterina nata nel 1888 a Cimego e dei loro 6 figli: Luigi 1908 e Severina 1912 nati a Cimego e Paolo Giovanni 1915, Irene Teresa 1919, Domenica Ermenegilda 1922 e Marina 1922 e morta l’anno successivo, nati a Bagolino.

Le scarne informazioni danno inizialmente la famiglia residente a Cimego, tra il 1912 e il 1915 il trasferimento a Bagolino e nel corso degli anni ’30 il successivo trasferimento a Grenoble in Francia.

Il fascicolo famigliare è stato poi archiviato ed eliminato il 21.4.1936 causa il trasferimento e la nuova residenza in Francia.

La famiglia Ambrosi resterà a Grenoble fino agli anni ’60 al civico 26 di rue Revol e poi la madre si trasferirà a Ugine in Savoia fino alla sua morte.

 

Contesto storico

La politicizzazione con la classica contrapposizione a blocchi, sinistra e destra tipica del novecento, non è lo schema degno di rappresentare la situazione degli abitanti dei nostri paesi. Questa divisione è un fenomeno relativamente recente anche se presente in modo molto leggero.

Questi nostri paesani notoriamente conservatori e troppo spesso impegnati a guadagnarsi da vivere più che a pensare a questioni politiche hanno però prodotto molte eccezioni, soprattutto durante nei giorni del periodo Resistenziale. È infatti molto interessante analizzare come anche nella Val Caffaro ci furono numerosi gruppi partigiani, ben collegati tra loro ma di estrazioni sociali e con pulsioni politiche molto diverse; da gruppi autonomi come la Banda Dante e Banda Giacomino composte soprattutto da elementi autoctoni scollegati dal sentire politico, a gruppi aggregati attorno ad un clero progressista poi in buona parte confluiti nel partito comunista italiano come le Fiamme Verdi Brigata Perlasca ad infine un unicum rappresentato dalla Brigata Giustizia e Libertà Monte Suello con forti contatti nelle elitè culturali cittadine e di ispirazione socialista.

A contribuire alla formazione di queste coscienze occorsero più di venti anni di regime dittatoriale fascista e molti episodi forse credo non ultimo quello che vede come protagonista il nostro Ambrosi.

Le origini sociali dello scoppio della Guerra Civile spagnola, combattuta tra il 1936 e il 1939 vanno ricercate lontano, ben prima della guerra mondiale. Fin dalla metà del 1800 sorsero in Spagna quei blocchi di potere di difesa degli interessi agrari e industriali (un po’ meno per via dell’ancora scarsa industrializzazione) con cui siamo abituati rappresentare gli scontri tra padroni e operai, grandi latifondisti e braccianti agricoli e a poi dalla monarchia e della sua elite militare. In una Spagna dall’economia agricola il conflitto tra questi due blocchi fu guidato dall’esercito e dalla monarchia spagnola che appoggiata dai militari governò con bastone della repressione

Il triennio successivo alla fine della prima guerra mondiale vide un rafforzamento della componente sindacalista anarchica e socialista e fu ricco di scontri tra i blocchi opposti di potere, tensioni che durarono fino alla metà degli anni ’30.

La nascita della seconda repubblica spagnola nel  del  fu il tentativo per smorzare le proteste scoppiate, in grandi regioni ma il re si rivolse ad un generale

Dopo quello che è passato alla storia come biennio nero (1931-1932) che comportò un inasprimento del conflitto di classe e vide le destre monarchiche e militariste cercare di restaurare il sistema precedente alle piccole conquiste sociali prese delle classi subalterne negli precedenti anni. Il turbolento periodo successivo culminò con le elezioni del 1936 che videro l’affermarsi del fronte socialista (fruente popular) che seppur di misura conquistò la maggioranza.

La destra analizzata la situazione decise che una svolta reazionaria fosse l’unica via per restaurare il potere e poco dopo le elezioni diede il via ad un colpo di stato che trovò in parte impreparate le istituzioni repubblicane ma che non si affermò immediatamente. Grande fu la reazione popolare che però non riuscì ad evitare che molte regione caddero sotto il controllo nazionalista; buona parte dell’esercito si schierò con i golpisti ma parte della marina no e fu un passaggio chiave perché col loro impegno impedirono che dal Marocco l’armata d’Africa comandata dall’allora colonnello Franco, forte dei suoi 34000 uomini, sbarcasse sulla terraferma e ciò evitò l’affermazione del golpe ma non evitò lo scatenarsi della guerra civile spagnola.

[1]

La guerra e la partecipazione dell’Ambrosi

Per potere far sbarcare le sue truppe Franco si dovette rivolgere ai 2 regimi di estrema destra europei che nonostante l’iniziale scetticismo garantirono il supporto seppur in misura diversa. Il sostegno dell’Italia fascista guidata da Mussolini fu molto più sostanzioso di quello tedesco.

La parte repubblicana vide una forte mobilitazione internazione delle sue componenti comuniste, socialiste e anarchiche che però dovette sottostare alla linea ufficiale delle principali potenze (Francia, Inghilterra, Russia e Stati Uniti) del non intervento. Fu così fattuale che i più sinceri idealisti si mobilitarono e ancor prima che il Comintern organizzasse le brigate internazionali individualmente partirono per la Spagna aggregandosi alle truppe repubblicane. Enorme fu l’adesione di intellettuali e artisti, idealisti ma anche di persone comune, come il nostro Ambrosi.

E così che Paolo Giovanni nel 1937 decise di partire per la Spagna. Le motivazioni della sua partenza le conosciamo grazie ad una lettera scritta nel 1965 dalla sorella Maddalena Severina detta Rosetta a Vanelli allora segretario delle Fratellanza Garibaldini di Spagna – Comitato Promotore – Anpi Padiglione della Montagnola.

“… mio fratello è partito per la Spagna con l’idea che gli ha dato mio marito (Jean Maddalon) che in quel momento si occupava del reclutamento dei volontari“.

Convinto così dal cognato, reclutatore di volontari per l’area di Grenoble, Ambrosi partì per la Spagna e già verso la fine del 1936 lo troviamo alle dipendenze del Battaglione Garibaldi poi promosso il 30 aprile 1937 a Brigata. Alcune fonti lo vogliono come appartenente al 2° battaglione mitragliatori altre al 1° con il ruolo di fuciliere.

“il suo nome appare, per la prima volta, in un elenco nominativo dei combattenti italiani appartenenti al I° battaglione mitraglieri, redatto dall’ufficio amministrativo dello stesso battaglione in data 14 settembre 1937 a Castelnau (Catalogna) dove la brigata era di riposo dopo le operazioni militari sul fronte di Saragozza. “[2]

Del periodo che va dal suo arruolamento alla morte non abbiamo notizie, abbiamo però la nota nel certificato bibliografico del fondo Insmli che riporta “ricercato dall’Ovra”[3] l’opera Volontaria di Repressione Antifascista ossia la polizia segreta dell’Italia fascista con compiti di ricerca degli oppositori politici.

La Brigata Garibaldi durante il 1937 e 1938 partecipò a tutte le principali battaglie, dalla difesa di Madrid fino alla sua ultima, la difesa del fiume Ebro. Furono mesi in cui si assistette ad una lenta ma costante affermazione delle truppe nazionaliste grazie anche al fondamentale supporto aereo garantito dai due alleati italiani e tedeschi che probabilmente furono davvero la svolta della guerra. vennero pianificate e testate i bombardamenti indiscriminati sulle città, uno di questo episodi, il bombardamento di Guernica, passò alla storia grazie all’immortale quadro di Picasso che prese il nome proprio da quell’episodio.

L’ultima linea di difesa

Dalla scheda trasmessa dal alla Presidenza del consiglio dei ministri, commissione interministeriale per la formazione e la redazione di atti di morte e di nascita non redatti risulta che al momento della sua morte, egli apparteneva alla Compagnia mitraglieri del 2° battaglione.

“Caduto in combattimento sul fronte dell’Ebro il 12 settembre 1938 sulla Sierra Cabals, fronte dell’Ebro. Si ignora il luogo di sepoltura delle salma. Pertanto, dato gli aspri combattimenti che si susseguivano giorno e notte, si ritiene che la Salma abbia avuto sepoltura sul luogo stesso del combattimento”.

La conferma della morte viene riportata dal commilitone Albini Giulio (Valente) nato il 25.10.1899 a Premia (Novara) anch’esso ferito in quei giorni sul fronte dell’Ebro.

Un’informazione aggiuntiva riguardante la morte dell’Ambrosi ci viene dalla comunicazione della commissione per il riconoscimento della pensione di guerra che precisa: “che decedette unitamente all’antifranchista Amistadi Luigi”. Amistadi Luigi fu Luigi e Tamburini Domenica residente nato ad Arco (Tn) il 28 marzo 1903 e residente a Liegi in Belgio. Dal fondo Ismli apprendiamo che l’Amistadi è caduto a Sierra Cabals nella battaglia dell’Ebro

Buona parte delle informazioni riguardanti

L’esperienza degli internazionalisti terminò il 21 settembre 1938 quando il primo ministro Negrin, su pressione delle potenze occidentali impegnate nella politica del non intervento, ordinò che tutti i combattenti non spagnoli che da tutto il mondo intervennero in soccorso della Spagna si ritirassero dal fronte. Questa esperienza di libertà terminò per volontà politica e a Barcellonca i 29 ottobre si tenne una parata di commiato in cui tutto il popolo catalano e spagnolo si strinse attorno a queste e questi volontari. mostrando la vicinanza ideale e sentimentale ringraziandoli per il loro sforzo e sacrificio.

Nel suo discorso, commosso e commovente, Dolores Ibarruri, disse: “Compagni delle Brigate internazionali! Ragioni politiche, ragioni di stato, il bene di quella stessa causa per cui avete offerto il vostro sangue con illimitata generosità, costringono alcuni di voi a tornare in patria, altri a prendere la via dell’esilio. Potete partire con orgoglio. Voi siete la storia. Voi siete la leggenda […] Non vi dimenticheremo; e quando l’ulivo della pace metterà le foglie […] tornate! Tornate da noi e qui troverete una patria”.

L’allontanamento dal fronte di queste truppe ebbe come naturale conseguenza l’accelerazione della sconfitta delle truppe repubblicane che capitolarono nel marzo del 1939 perdendo le loro roccaforti della Catalogna lasciando spazio al regime franchista che con vicende altalenanti perdurò fino al 1975 anno di morte del generale Franco.

Solo 4 mesi dopo la fine della guerra civile spagnola l’Europa fu colpita da un’altra catastrofe: la seconda guerra mondiale.

Negli anni successivi

Le notizie riguardanti la vicenda dell’Ambrosi le ho potute recuperare grazie al fondo Insmli, fondo Aicvas, b. 9 fasc. 64. Questo contiene il ricco epistolario e le schede raccolte per il rilascio della pensione di guerra alla madre del caduto.

Da questo ho potuto ricostruire buona parte della storia e anche del dramma che questa famiglia ha vissuto. La lettera della sorella Rosetta sopra riportata termina con una considerazione molto intima e personale riguardante la morte del fratello: “Mia mamma non ha mai perdonato a mio marito del fatto che ha perso il figlio unico”. Un fatto talmente grave la triste e dura condizione

Una attitudine antifascista della famiglia che possiamo riscontrare anche nel riconoscimento della qualifica di patriota (Protocollo D.M. Torino del 31.10.58 pr.7?05 el.1) alla sorella Severina Ambrosi allora residente a Condovè (Torino) e dal 20.06.44 al 07.06.45 appartenente alla 16ma Brigata S.a.p. Belletti. Nell’atto di attribuzione della qualifica troviamo la specifica riguardante l’attività saltuaria della patriota.

La pensione di guerra verrà rilasciata nel 1975 agli eredi perché la madre, Girardini Caterina morì 7 anni prima. Apprendiamo dalla missiva scambiata tra all’Aicvas che la sorella Rosetta in quell’occasione si rifiutò di ritirare quanto era stato concesso.

La frustrazione data da 10 anni di attesa aggiunta al dolore per la perdita del fratello presumo possano essere la causa di questo rifiuto.

Riflessione finale

Questa piccola storia rappresenta in pieno la riflessione che vuole la grande storia composta da una miriade di piccole, piccolissime storie.

L’esperienza della guerra civile spagnola è stata “Una esperienza irripetibile” [4] che ha contribuito a segnare le generazioni e le coscienze di quelli che poi furono i e le combattenti della Resistenza italiana e non solo. Dal proclama di Rosselli “Oggi in Spagna domani in Italia” l’onda lunga di questa esperienza ha valicato i decenni ed è arrivata fino a noi. Il mondo che quei volontari cercarono di costruire un mondo libero, collettivo, comunitario e egualitario è tutt’oggi un esempio e un’idea che anima le conoscenze e riempie di sogni i più sinceri idealisti. Gli stessi che oggi si trovano nel Kurdistan o nelle lotte sociali e che nella quotidianità combattono contro la repressione sempre più pervasiva nelle nostre vite.

In questo periodo sempre più nero raccontare questa storia, seppur scarna di notizie, è fondamentale perché quell’esperienza possa rappresentare un esempio da seguire anche oggi.

Quindi non posso che augurarmi che possano tornare gli aquiloni a volare alti nel cielo e per godere delle loro bellezza e per farci alzare la testa.

Aprile 2021

[1] La Spagna all’indomani del golpe nazionalista. Fonte Wikipedia.

[2] Estratto dal Carteggio contenuto nel fasciolo personale Insmli, fondo Aicvas, b. 9 fasc. 64.

[3] Insmli, Fondo AICVAS, Busta 9, Fasc. 64

[4] Alvaro Lòpez , “Battaglione Garibaldi” ASSOCIAZIONE ITALIANA COMBATTENTI VOLONTARI ANTIFASCISTI DI SPAGNA maggio1990 p.

Appello ai vaccinati

mercoledì, Settembre 29th, 2021

Care e cari che da un lato della piazza ci state guardando.

Ascoltate le nostre istanze.

Con la vostra scelta di farvi inoculare un vaccino avete in cuore vostro contribuito a contenere la diffusione del virus del covid 19 ma molti altri sono i pericoli che oggi si profilano all’orizzonte.

In primis un lasciapassare sanitario che nulla ha di democratico e che, oltre alle giuste speculazioni sociali riguardanti la possibile e prossima istituzione di uno stato di controllo fondato sulla discriminazione, è pensato per spingere le persone alla vaccinazione e non per contenere il virus.

In secundis la miopia nel pensare che il vaccino che avete scelto di inocularvi non potrà in alcun modo proteggervi dall’insorgere di nuove varianti.

È un’evidenza in considerazione del fatto che parte della scienza ufficiale ha negli anni dimostrato con dei modelli matematici e non solo che la vaccinazione in periodo pandemico è una delle concause che portano il virus a mutare e quindi è una questione di tempo prima che una nuova variante sarà in grado di bucare la protezione di questa prima campagna. E se a questo aggiungiamo che buona parte del mondo, del secondo e terzo mondo, non potendo pagare i vaccini è lasciato in balia di se stesso da chi si riempie la bocca della parola sanità universale e anche il portafogli, si ha la certezza che a breve una nuova variante arriverà.

E se da un lato la pandemia si è potuta espandere grazie alle politiche di decennale spolpamento della sanità pubblica, con scelte politiche unicamente volte alla cura e non alla prevenzione e orientate all’accentramento dei servizi per ottimizzare i costi anziché prevedere una sanità di territorio che può mettere in atto politiche attive, è chiaro come la nuova variante, a queste condizioni troverà un terreno favorevole alla sua propagazione.

Non è un caso che la propaganda dei principali media sia incentrata solo contro chi liberamente e legalmente ha scelto di non vaccinarsi o che rifiuta il passaporto verde (liberamente e legalmente rimettendoci del proprio) anziché evidenziate come i posti nelle terapie intensive e semi intensive siano stati gradualmente tolti, come la sanità di territorio che agisce a livello preventivo sia in balia di se stessa e come non siano ancora state ufficializzate e rese fruibili le numerose cure al covid.

Per queste ragioni senza una vera e reale presa di posizione nei confronti della difesa di questo servizio universale è certo che la vostra vaccinazione avrà sicuramente i giorni contati, la vostra scelta libera o sotto il ricatto di non vivere la vostra socialità, cultura e il lavoro sarà stata vana (non che forse lo possa non essere).

Vaccinati non attaccate chi ha fatto una scelta diversa dalla vostra, lottate perché oltre alla libertà di tutte e tutti possa esistere una sanità slegata da chi questa crisi l’ha causata, voluta e pianificata.

Crisi che oggi viene pagata con le nostra vita, le nostre libertà e con la nostra divisione.

Il grande azzardo

giovedì, Settembre 23rd, 2021

alla sinistra che non c’è
a quella che gli basta governare che va tutto bene
a chi vuole la rivoluzione servendo le multinazionali del farmaco
a chi storce il naso per la green card, ma basta non parlare di vaccino perchè non si è tuttologi
a chi non è più niente perchè basta poter tornare al ristorante senza storie

COVID-19: IL GRANDE AZZARDO
Di fronte alla pandemia, abbiamo assistito dopo una prima reazione improvvisata e contraddittoria, ad un approccio che si è rivelato essere strumentale e supino ad indicazioni di organismi burocratico-tecnocrati fortemente influenzati e condizionati, a loro volta, da interessi di lobby economiche interessate alla monetizzazione del problema più che alla sua risoluzione.
Il panico, generato dall’impreparazione e favorito da un sistema sanitario (ingessato, baronale, privatistico), ha favorito indirizzi e protocolli non rivolti ad affrontare dal punto di vista delle buone pratiche mediche il virus, ma unicamente volti ad assecondare scelte rigide, eterodirette, finalizzate ad aprire la strada all’introduzione di vaccini di massa sperimentali (a prescindere dalla loro qualità) finanziati dagli stati ma brevettati dai privati, come unica soluzione possibile.
Si poteva fare questo solamente imponendo pesantissime regole d’emergenza (non per questo sempre giustificate) e cercando di dimostrare che non ci fossero alternative.

L’evidente e documentato ostracismo, dall’alto, verso ogni forma di cura immediata (sia per la prevenzione, sia in fase di insorgenza della malattia, sia in fase conclamata) ha dimostrato in modo inequivocabile la collusione tra apparato burocratico preposto alla gestione pandemica e gli interessi delle industrie farmaceutiche (e non solo) che puntavano a diventare referenti del “mercato” dell’emergenza. Rifiutarsi di vedere questo vuol dire rifiutarsi di leggere la realtà dei fatti.
Protocolli sanitari
Siamo partiti senza applicare la prima regola necessaria in casi simili: strutture ed equipe dedicate alla malattia infettiva isolate dal resto dei servizi come avvenuto in Cina, in aggiunta ad un forte monitoraggio e pronto intervento territoriale.
Abbiamo assistito all’immediata paralisi del sistema, al contagio nei reparti, nelle RSA e l’accumularsi di decine di migliaia di visite annullate o rimandate che sicuramente hanno causato il precipitare delle condizione di salute di molti malati. Anche questi morti indotti.
Abbiamo assistito a livelli di mortalità, soprattutto in Italia, molto alti e nonostante questo non si è provveduto a dare spazio a quegli esperti che proponevano, perchè conoscevano, protocolli atti a garantire un innalzamento delle capacità naturali del sistema immunitario, pratiche utili a contenere la malattia nelle sue fasi iniziali o in fase acuta. Si chiedeva la pronta applicazione (protocolli sperimentati per la sars-1 riproposti dal virologo francese Didier Raoult), e in alcuni casi la sperimentazione, di medicinali e pratiche che si sono dimostrate utili, ricevendo come risposta un
generale disinteresse nella catena di comando, disinteresse seguito da aperte denigrazioni,
boicottaggi ed espliciti divieti.
L’input era: la “vigile attesa” + ospedalizzazione dei casi che inevitabilmente si aggravavano.
Tutto questo ha comportato la morte di moltissime persone che potevano essere salvate. Non si sono inizialmente svolte indagini per capire come si sviluppava nel dettaglio la malattia e le esatte cause di morte. Pochissime autopsie, sconsigliate o vietate con motivi risibili vista la situazione.
Procedendo contro ogni logica di ricerca, si è blindata ogni attività su linee guida molto ristrette ed assolutamente inadeguate, impedendo di fatto ogni approccio complementare o alternativo a quanto si voleva imporre.
Abbiamo assistito a pazienti arrivare negli ospedali e giungere a morte in tempi brevissimi, mentre in altre situazioni, ove medici di base o strutture ospedaliere si erano strutturate in modo differente (prima che venisse loro impedito) la mortalità è risultata essere molto bassa, se non quasi nulla.
Oggi emergono valutazioni che fanno calare un’ombra oscura su quello a cui abbiamo assistito. Abbiamo assistito ad un approccio senza rigore di analisi, di valutazione e di giudizio, ove analisi, valutazione e giudizio non erano deliberatamente ricercati.


Le mancate cure
Sulle possibili cure (ostacolate) c’è ormai molta letteratura. Sull’ivermectina ad esempio, medicinale economico efficace in tutte le fasi della malattia e non pericoloso se correttamente dosato, ci sono più di 60 studi appropriati e migliaia di casi concreti. Di fatto, è molto difficile utilizzarlo in Italia. Altre sostanze (proxalutamide, fluvoxamine, povidone-iodine, budesonide, bromhexine, bamlanivimad, casirivimad-imdevimab, HCQ, nitazoxanide, colchicine, vitamina D, ecc – fonte c19early.com) e protocolli con più medicinali venivano proposti a livello internazionale
e da medici italiani.
La vicenda del divieto della preziosa Idrossiclorochina è emblematica. Prima hanno prodotto un falso studio per definirla pericolosa (è utilizzata da 70 anni) e inutile (scandalo Lancet 2020) e poi, dopo essere stati smascherati per il falso studio di discredito, non hanno cambiato politica continuando ad ostacolarla in modo energico.
Il mandante di questo linciaggio? Big Farm. Gli esecutori ? La catena di comando, tutta intera. La reazione a tutte queste proposte mediche (in evidenza già ad inizio 2020, alcune prima) è stata prima l’irrisione, poi ostracismo, boicottaggio, sino all’esplicito divieto.

La vicenda del lavoro del dott De Donno è emblematica. Sono arrivati ad insabbiare il protocollo proposto affidando la sperimentazione ad un istituto non preparato ed impossibilitato a svolgerla. Il risultato, cercato ed ottenuto, è che nessuna sperimentazione è stata avviata. Come non rendersi conto della violenza e della repressione, termine non esagerato, rispetto a tutti quei medici, ricercatori, scienziati che proponevano soluzioni non allineate agli ordini di scuderia ufficiali? A chi poneva osservazioni, dubbi o domande, sono arrivati richiami, pressioni intimidatorie e alcune radiazioni dagli ordini professionali.

Diffamazioni pubbliche, senza mai argomentare tale insensata violenza e ottusità entrando nel merito dei contenuti e delle proposte avanzate. Come non ascoltare premi nobel come Montagnier (rischia di aver ragione anche sull’origine del virus, che potrebbe non essere naturale), di incredibile esperienza quando mette in luce contraddizioni e pericoli legati ai protocolli utilizzati e sul vantaggio di quelli non utilizzati (come l’uso di vaccini BCG) ?
Come ignorare il lavoro del virologo francese Didier Raoult, tra i più prestigiosi in merito, minacciato da lobbisti delle industri farmaceutiche? O le ricerche del dott. Ryan N. Cole, anatomopatologo esperto sulla da lui dimostrata tossicità delle proteine Spike che circolano per settimane nel corpo dopo la vaccinazione, arrivando ad affermare
che è criminale vaccinare le giovani generazioni ?
D’altra parte la prassi della ricerca vorrebbe che per i vaccini sperimentali, perché di questo stiamo parlando, si dovrebbe applicare il principio “colpevole sino a prova contraria” in caso di reazioni avverse e non esattamente l’inverso come è accaduto e continua ad avvenire, ovvero “assolto ed efficace salvo prove contrarie” (che per interesse o inerzia colpevole non si cercano). O il lavoro del dott. Geert Vanden Bossche virologo indipendente ed esperto di vaccini che non è
contrario ai vaccini, MA al fatto che questi vaccini siano stati utilizzati in campagne di massa durante la pandemia, risultando quindi inappropriati e pericolosi, quali concausa della selezione delle varianti (non causa delle varianti, come vogliono mettergli in bocca, ma selezione). Tema rilanciato anche del medico Teresa Forcades che a sua volta cita il lavoro del dottor Peter McCullogh.
O le affermazioni del Dr. Michael Yeadon (ex vicepresidente di Pfizer che si è dimesso in contrasto con quanto accadeva) sull’impossibilità dei vaccini di funzionare con questi virus, non potendo impedire la neutralizzazione del virus (i governi hanno dichiarato il falso), riportando l’attenzione sul programma puramente commerciale delle case farmaceutiche che hanno già programmato i “richiami” periodici, senza neppure la necessità di studi di sicurezza clinica grazie alle coperture politiche e delle agenzie corrotte. Ha avuto modo di affermare (in riferimento ai vaccini e ai protocolli imposti) “Not One Of Those Things Is Supported By The Science”.
O la pubblicazione dei dott. Akiko Iwasaki e Yexin Yang (aprile 2020) che ricordano la possibilità dell’effetto ADE (per questi virus che per loro natura sono molto mutevoli), già riscontrato in passato in esperimenti per vaccini per la Sars-CoV e similari, ovvero che gli anticorpi specifici del vaccino inoculato si comportano come “cavalli di troia” per virus che si ripresentassero leggermente differenti, aggravando le conseguenze piuttosto che migliorandole.
Casi definiti rari, ma sarebbe dovuto essere un monito d’allarme molto serio per non procedere con
una vaccinazione di massa utilizzata nei fatti come sperimentazione al buio.
Nota: ora ci si premura di affermare che tale evenienza non si sia mostrata nelle vaccinazioni in corso, ma questo oltre a non assicurare nulla per il futuro, è la dimostrazione come tutto sia partito senza garanzie serie preliminari.
Quelli sopra citati sono tutti specialisti maniaci, fuori di testa in cerca di notorietà? Solo chi è in malafede può pensarlo. Insieme a loro centinaia di altri medici che vengono isolati dal “sapere ufficiale” con l’anatema del “novax” il nuovo simbolo d’infamia da cucire sulla casacca a chi mostra reticenza alla “verità rivelata”.
Pratica di repressione di antica origine, molto fascista/stalinista.
La domanda quindi è la seguente: perchè, in presenza di protocolli utili a prevenire e contenere gli effetti gravi del virus, si sta rischiando così tanto con una campagna vaccinale che è un terno al lotto tutt’altro che “scientifico”?
Si sta giocando con la vita di miliardi di persone solo per interessi economici e ottuso servilismo.
Un esempio su tutti della manipolazione in corso è la recente irrisione e diffamazione, su falsi presupposti, da parte della FDA (ente americano che ha autorizzato i vaccini in questione) contro l’ivermectina definendola solo un medicinale adatto ai cavalli e pericoloso per gli umani, partendo dalla vicenda di alcuni ricoveri di persone, che a causa della paura e delle mancate cure, avevano assunto senza l’ausilio di un medico medicinali veterinari contenenti quel farmaco.
Hanno usato dei drammi umani per diffamare un farmaco utile, ma concorrente. La prova provata di quanto siano deviati e devianti questi enti elevati a “dei protettori” dell’umanità.
Nota di interesse: l’ipotesi (dimostrata plausibile) che il virus sia sfuggito da un laboratorio di ricerca, invece di aprire un serio dibattito sulle regole di trasparenza e di controllo di questi centri, sembra aver infastidito anche chi cercava prove (il Covid) per dimostrare come il mondo, il suo ambiente, sia talmente compromesso da generare (partendo ad esempio dagli allevamenti intensivi, dall’inquinamento o dall’abuso di farmaci) le condizioni per un grave indebolimento dei sistemi immunitari e quindi l’insorgere, o il prevalere, di patologie una volta minoritarie sino all’insorgere di fattori pandemici. Constatazioni opportune ma che non vengono sminuite se il virus fosse frutto
dell’uomo, come già avvenuto diverse volte in passato, in quanto è una verità sotto gli occhi di tutti.
Gestione dei dati
Assistiamo ad un modo molto improprio di gestire i dati (che di per se sono sempre difficili da gestire) in una vicenda che risulta molto delicata. E’ parso subito tutto molto poco serio e credibile, sin dalla raccolta dei dati relativi a chi era deceduto “per Covid” o “con il Covid”, il numero delle infezioni, i valori percentuali, la relazione tra i dati e le pratiche nel mentre applicate, usandoli all’abbisogna solo in funzione del clamore mediatico o per sostenere idee che si volevano dimostrare o “far condividere” … tutto molto poco “scientifico”.
La fase di sperimentazione stessa dei vaccini rimane ancora oscura dal punto di vista dei dati e delle metodologie utilizzate. Di fatto si è deciso (qualcuno ha deciso in modo implicito) che la sperimentazione vera doveva essere quella della campagna d’uso di massa, MA non allestendo un serio e puntuale sistema di monitoraggio, d’indagine e verifica, la cosiddetta “sorveglianza attiva”, anche questo è stato omesso. Quindi niente sperimentazione. Uso diretto e fede cieca.

La stesso sistema di segnalazione delle reazioni avverse è risibile rimanendo spontaneo (studi hanno mostrato come in sistemi di monitoraggio simili solo il 6% delle reazioni avverse dei farmaci vengono segnalate – Hezell e Shakir 2006)
Piccoli fatti eclatanti: qualcuno a tavolino ha deciso che il mix di vaccini era auspicabile, oppure che prima si doveva servirlo molto freddo e poi bastava servirlo … anche in spiaggia, che si potevano e dovevano vaccinare anche i bambini senza che mai fossero stati inclusi nel protocollo di validazione del farmaco, che prima servivano solo due dosi e ora si parla di dosi senza fine, ecc.
I dati sono stati parte dell’azione di pressione mediatica, ma la qualità delle informazioni è l’altra faccia della medaglia da considerare. Un’unica domanda: come mai solo ora ci viene detto che i vaccini hanno efficacia a breve termine
e che non eradicano il virus permettendo la sua trasmissione e lo sviluppo della malattia?
Azzardo
In poche parole, tutto questo (vaccinazione di massa con prodotti sperimentali in piena pandemia) dal punto di vista sanitario, costituisce un azzardo per gli scenari che potrebbe aprire.

Probabilmente il più grande azzardo medico della storia dell’umanità visti i numeri in gioco. Tale azzardo, con la constatazione delle possibili cure impedite, si configura come un azzardo strumentale ad interessi puramente economici, e quindi risulta assolutamente ingiustificato e criminale. Nulla lo giustifica, di fronte ai rischi in gioco, neppure l’indimostrata riduzione della mortalità a breve periodo. Sono i destini dell’umanità nel lungo periodo che dobbiamo tutelare.
Cedere alla paura, alle false rassicurazioni, per incerti risultati nel breve periodo è egoismo. Queste paure sono state, come al solito, strumentalizzate per interessi.


Protocolli “sociali”
La scienza si basa sul confronto e l’evidenza dei fatti.

Questo palesemente è stato impedito e chi invocava la “scienza” in verità invocava la “pseudo-scienza” della coercizione. La reazione come detto è stata l’intimidazione, l’ostracismo, la denigrazione, le ritorsioni in campo lavorativo. Sospensioni, licenziamenti.
Medici costretti alla “clandestinità” per poter rispettare il Giuramento di Ippocrate. Per la vita civile e democratica abbiamo assistito alla stessa cosa. Non ci si può esporre se non si vuole subire emarginazione ed insulti.
La stampa come al solito non è imparziale e le notizie non vengono fatte circolare per autocensura o
per pressioni precise, molto forti ed incrociate.
Questo basterebbe come prova della degenerazione democratica in atto.
Ma il danno è più grave: si è giunti a far crollare degli argini che sino all’inizio della pandemia erano considerati inviolabili. L’uso, non necessario e per tempi prolungati, dello “Stato di Emergenza” è uno degli atti più gravi.
L’abuso del Green Pass, fuori dalle indicazioni europee, è un altro passaggio di particolare gravità non solo per i suoi palesi limiti – analisi giuridiche hanno infatti evidenziato la sua illegittimità mentre le sue funzioni sanitarie sono inesistenti – ma per la prospettiva che apre di patentini sanitari, l’obbligo di adesione a pratiche mediche o stati di buona salute, che possano segnare il destino dei cittadini.

Si pensi solamente alle complesse vicende della riservatezza delle informazioni mediche nel mondo del lavoro, gli aspetti assicurativi o del controllo impositivo dei propri stili di vita. Assistiamo a cori stonati (anche di ex operaisti) che predicano ed invocano la libertà di licenziamento per mancata vaccinazione, la legittimità di precludere servizi essenziali (come lo studio) in base allo status sanitario, il rendere normale l’obbligazione a pratiche medico sanitarie …
scaricando tutti i rischi e le responsabilità sui singoli (imposizioni senza responsabilità).
Il sistema che diventa padre padrone sui nostri corpi e sui nostri modelli di vita. Oggi per “necessità” pandemiche, domani per altre “necessità” o semplici convenienze. Che fine fa l’autodeterminazione (che è anche sanitaria) sancita dalla nostra Costituzione, dall’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite e dall’art. 8 della Convenzione Europea Diritti dell’Uomo?
Si afferma che le azioni drastiche, pesantissime rispetto le limitazioni personali, erano necessarie per l’interesse pubblico. Abbiamo visto che questo non era, viste le alternative, del tutto vero e soprattutto questo poteva e doveva avvenire con modalità differenti, con livelli di coerenza differenti, in modo più mirato, senza azzardi.
La libertà che si invoca non è quella del fare “quel cavolo che ci pare”, ma di essere rispettati come cittadini ed esseri umani, e di non essere presi in giro, non essere cavie e merce di scambio nel supermercato della salute. E’ mancata la trasparenza, è mancata la coerenza, è mancata la proporzionalità delle azioni e la giustificazione dimostrata delle stesse.
Rimangono gli argini distrutti.
Nota. Lo Stato di Emergenza è servito solo per controllare i cittadini e non per incidere in modo diretto ed utile sul controllo delle speculazioni commerciali ed economiche legate alla pandemia, sul nicchiare delle strutture sanitarie private o su altri aspetti più strutturali e legati a vecchi vizi.
La vicenda dei DPI sanitari ne è un esempio. La mancata azione forte per realizzare strutture provvisorie, di emergenza, per la gestione della prima fase (come fatto in Cina) è un altro esempio, ma il più grande sono i miliardi di dollari che stanno facendo sulle nostre vite.
La sinistra
In Italia la sinistra (o pseudo tale) pare tra i cani da guardia più disciplinati di quello che è accaduto e accade. Incredibile e disarmante per chi si sente appartenere a quella famiglia culturale e politica. Il motivo? La paura? Basta per giustificare questa cecità? Forse è che la gestione (giustamente) è in mano allo stato (inteso come ente pubblico), o meglio pare esserlo, e la sinistra ha sempre creduto nel pubblico e ha sempre invocato l’intervento del pubblico per risolvere i problemi. Ad esso ci si affida.
Un mettersi a disposizione che è stato però un “abbassa la testa e tira” … come i somari. Non si è voluto vedere che questo stato (nella sua articolazione) è asservito a processi decisionali e procedure che a loro volta sono asservite e sono funzionali ad interessi che non sono quelli dei cittadini, della salute, dell’ambiente, ma quelli speculativi.
In questo caso l’emergenza sanitaria e in generale l’avere sempre più utenti (malati o sani che siano) a cui vendere comunque farmaci o servizi sanitari.
In questa emergenza il lavoro che si sarebbe dovuto fare era proprio quello di affrancare il pubblico da questi processi e procedure parassitarie, eterodirette, per ridisegnare lo stato a misura di cittadino e d’interesse pubblico.
Non riconoscerlo, non ammetterlo, fare di tutto per non vederlo dimostra la totale inadeguatezza di tutto il panorama della sinistra italiana. Alcuni sono consapevoli dei meccanismi di potere (reale), delle carenze e deviazioni del sistema sanitario, dei reali interessi in gioco manon riescono a concludere il discorso riconoscendo che ciò che è accaduto ed accade è proprio il frutto di quello stato di cose, che è esattamente ciò che loro affermano che non dovrebbe accadere e che li stanno accompagnando nel raggiungimento dei loro obiettivi.

Tacciono o peggio collaborano attivamente nel consolidare la menzogna, la coercizione e l’azzardo.
In questo modo difendono lo status quo e lo assecondano accodandosi al coro dei servi utili.

A.V. liberi in corpus liberi
fine estate 2021

Tempi moderni. Tempi di pandemia.

venerdì, Maggio 14th, 2021
Ciò che – già prima della pandemia- si stava rivelando sempre più efficiente era ed è la struttura repressiva.
Innumerevoli gli atti volti a spegnere qualunque forma di dissenso sul nascere:
In primis la super diffusione della paura nella gente;
Le tecnologie militari come il teaser: considerato non letale e perciò spesso visto  sostituito ai richiami verbali. Nonostante siano molti i casi di morti successive ai forti shock;
Gente -pronta in qualsiasi momento!- a chiamare un autorità che intervenga per far rispettare il DECORO! Nel caso qualcun* esca dagli schemi e dagli standard di una normalità sempre più fumosa;
Paura e intolleranza diffusa tiene in piedi tutto ciò.
Psicofarmaci vengono assunti in forma privata, nelle carceri, nei cpr, nei cie,  rems, spdc, crt come non mai!
per sedare la gente e tenerla buona! Dove finisce l’essere umano?
Numerosi sono i casi di Trattamento Sanitario Obbligatorio, dove la leggenda dello psicoreato assume le sue sembianze complete nella realtà.
Se una persona soffre e magari arriva all’esaurimento nervoso è triste sapere che se non ha dietro una rete d’aiuto, conoscenze, amicizie sincere e persone solidali, può finire nei guai.
A chiunque può capitare un periodo difficile della vita. Per qualcun* se non ascoltat* può significare morte.
Reparti, carceri, cie fanno da anni vittime.
Tutt* possiamo avere dei problemi come tutt* purtroppo in una sventura possiamo subire l’abuso da parte della divisa e delle istituzioni.
 La rete capillare repressiva è riuscita ad arrivare a tutte le età, a trovare problemi che prima non venivano nemmeno considerati (vedi i disturbi dell’attenzione).
I numerosi ricorsi a misure speciali – tra gli ultimi casi la richiesta di sorveglianza speciale per Boba a Torino: gli inquirenti argomentano reputando inneggianti alla rivolta alcuni versi, citati da un personaggio del libro che avrebbe scritto “Io non sono come voi”.
Si criminalizza il pensiero e ciò è inquietante.
Per non trovarsi soli o sole ad affrontare questo presente è necessario e fondamentale crearsi appunto una rete di amicizie o collettivi che possa rimanere unita di fronte alle situazioni. Molto spesso, dove non ci sono testimonianze e solidarietà attiva, può finire veramente male per un individuo. Un clamoroso silenzio dona ancor più potere a queste lorde mani dominanti.
Gli esempi di abusi di potere purtroppo sono innumerevoli.
Nessun* deve più finire come Francesco Mastrogiovanni, morto dopo un tso, nell’ignoranza e indifferenza, legato al letto. Come spesso accade in molti reparti dove vigono tutt’ora protocolli di contenzione meccanica al letto o l’elettroschock, ora chiamato “terapia elettroconvulsionante con pre sedazione”.
Come la sorte di Andrea Soldi, morto durante il procedimento di ricovero coatto in un parco di Torino, strozzato dai vigili urbani attivati dopo la segnalazione del padre alla mancata presenza al richiamo farmacologico perchè per far partire un tso basta una qualsiasi segnalazione)
Scegliamo veramente ciò che è meglio per noi, lottiamo senza cedere, stando attenti e critici con ciò che ci circonda.
Non sentiamoci intoccabili (non è così!)
facendo barricate
 contro il NULLA
-guidato dal soldo,
dal virtuale
e dai neurolettici-
che avanza…
Angelo

La Bàla nelle prealpi bresciane: una tradizione da preservare

domenica, Dicembre 13th, 2020

Giocatori di Bàla, luglio 1937

Nei racconti popolari degli anziani del piccolo paese di montagna dove viviamo, associata ai momenti di festa che rompevano le ordinarie fatiche giornaliere, ha spesso fatto capolino la descrizione di festose giornate dove giovani e meno giovani si cimentavano nel gioco qua nel bresciano denominato della Bàla.

Le origini di questo fenomeno ludico arrivano ben oltre la memoria dei più anziani e la sua pratica accomuna molti piccoli centri abitati dell’arco alpino e appenninico.

Aldilà del nome (che evidentemente varia a seconda dei dialetti), e di alcune piccole varianti nelle regole pratiche , l’essenza del gioco è la stessa. Senza entrare troppo nei particolari, trattasi di uno “sport” di squadra, praticato nelle piazze o nelle vie interne di paese, che potrebbe figuratamente essere accostato ad una sorta di tennis popolare giocato a mani nude. Il numero dei partecipanti per squadra varia da tre a quattro membri a seconda dell’ampiezza del campo da gioco. La palla tamburello e la palla elastica, attività ludiche che in Liguria hanno una certa popolarità, possono essere considerati parenti della bàla. L’Eskupilota , un gioco molto simile, è nei Paesi Baschi, notoriamente gelosi delle proprie tradizioni, attualmente praticatissimo e assurto a sport nazionale .

Anticamente la palla da gioco era autoprodotta con il cuoio ottenuto dalle pelli animali, e visto lo scomposto ciottolato che lastricava le vie ,si poteva colpire praticamente solo di volo.

Nel presente la bàla è praticata utilizzando palline da tennis previamente private del “pelo” e l’ asfalto sulle strade permette di colpirle più facilmente anche dopo il primo balzo.

Negli ultimi decenni alle nostre latitudini, al pari di molte altre attività che hanno caratterizzato la vita popolare negli abitati di montagna, anche la bàla si è trovata a rischio estinzione.

Le piazze di paese, un tempo indiscutibilmente considerate come res populi, sono oramai divenute in primis spazio controllato dall’istituzione, e in secundis prolungamento della proprietà privata.

Oramai quasi un quinquennio orsono, uno sparuto gruppo di amici ha deciso di provare a rilanciare la bàla nel nostro abitato. L’antico gioco, a causa anche di un forte calo demografico, era in disuso totale

da una quindicina d’anni. Lo “slogan” con cui abbiamo cercato di dare spinta al progetto è stato “La Bàla la mör mai!” (dialettizzando e trasponendo il “punk never dies!”). I risultati sono andati oltre ogni aspettativa, con grande affluenza anche da paesi vicini dove, per diatribe legali con proprietari di case che si affacciano sui campi da gioco e ordinanze comunali, vige la proibizione di praticarlo.

Durante la buona stagione nel fine settimana, e oltre, la bàla è diventata momento di appuntamento fisso . In queste occasioni il paesello, strappato dalla desolazione di una piazza vuota, rivive fra le imprecazioni e le urla di giubilo di chi si è ritrovato a condividere il tempo e gli spazi genuinamente. “La Bàla la mör mai!” oltre che un folto gruppo spontaneo, negli anni si è pure trasformata in una sorta di brand impresso su vari capi di abbigliamento e gadgets, il tutto senza fini commerciali ma con lo scopo di accrescere coesione e identità nel nostro circuito.

Dal 2017 inoltre viene organizzato un partecipatissimo torneo di due giorni con oltre 20 squadre, che si trasforma in una sorta di ibrido fra una T.A.Z. e una sagra di paese.

Fortunatamente da noi la soddisfazione di rivedere l’abitato con vita è quasi unanime anche fra chi a bàla non ci gioca, ma ne gode sedendosi a guardare, o passando oltre scambiando qualche battuta, senza doversi confrontare con la sideralità di un paese senza paesani.

Ritrovarsi spontaneamente nelle piazze e dare vita ad una auto organizzata aggregazione, libera da ogni logica di consumo, risulta evidentemente poco compatibile con le evoluzioni sociali degli ultimi tempi . Le radici del distanziamento sociale, che ora viene apertamente caldeggiato e imposto, hanno origini ben più lontane della così chiamata crisi pandemica; sono da ricercare nel terreno dello sviluppo iper tecnologico del capitalismo, e sono diventate endemiche con l’introduzione dei socials e degli smart phones.

Attività che creano tessuto sociale autogestito, rifiutando di essere omologate , registrate e autorizzate sono in palese contrasto con le necessità di controllo delle istituzioni.

Lo sono ancor più con i desiderata del libero mercato che trasformando anche le relazioni sociali in mercimonio, auspicabilmente virtuale, spera di generare una platea di acritici e passivi consumatori. Ne consegue che in breve tempo ci si è dovuti confrontare con i tutori dell’ordine. L’operato di costoro nel monitorare e reprimere la nostra passione è stato zelante fin da subito. Gli episodi in cui abbiamo ricevuto visite non gradite si sono ovviamente moltiplicati e inaspriti con il sopraggiungere del distanziamento sociale per decreto.

I metodi di contrasto messi in campo sono gli stessi che vengono utilizzati (facendo le debite proporzioni) con ogni movimento fuori controllo.

Da una parte la mano tesa, per un bonario riassorbimento nel quadro della legalità, con richieste di costituzione di federazioni sportive e in alcuni casi la costruzione da parte delle istituzioni di campi artificiali, detti sferisteri. Dall’altra il bastone, con multe e denunce per chi si ostina a giocare nelle piazze interdette.

Purtroppo l’edizione di quest’anno del torneo è stata fermata dai birri senza possibilità di replica. Se precedentemente vi erano state delle multe individuali per occupazione di suolo pubblico, alle quali si poteva far fronte senza grossi problemi, quest’anno gli oramai incontabili DPCM hanno dato ai repressori strumenti più affilati. Tutti i presenti “acciuffabili” sono stati registrati e alcuni di noi, già poco simpatici alle divise per altre questioni, non troppo velatamente minacciati. Bonariamente ci hanno lasciato 10 minuti di tempo per rompere l’assembramento prima di procedere all’accertamento di fatti di “gravissima rilevanza penale” (cit.).

Ovviamente la criminalizzazione di un fenomeno ludico appare ai più fatto quantomeno grottesco, spingendo pure gli spiriti meno bollenti a fare qualche pensierino ribelle…….il che non è male.

Resta sentire condiviso fra i praticanti che l’ essenza stessa della bàla sia nelle piazze, e i campi artificiali edificati restano pressoché deserti (per intenderci il rapporto piazza/sferisterio per un giocatore di bàla può essere trasposto in neve fresca/neve artificiale per uno sciatore).

Un altro aspetto che riteniamo importante in questo nostro percorso è quello di far sentire una voce e uno spirito diversi nella difesa di una tradizione alpina. Ovviamente vi è notevole eterogeneità nelle sensibilità di chi si ritrova nelle piazze, ma l’aver portato il contributo di un approccio libertario, ha scalfito il monopolio di chi certe bandiere le fa proprie per trasformarle in meri cavalli di battaglia, al fine di ottenere gradimento politico e potere.

La volontà di andare avanti è forte e condivisa , non sarà facile arrestarla. Durante questi mesi invernali si discute già di come continuare a riempire le nostre piazze e alimentare il fuoco di questa passione.

Avanti così e la bàla la mör mìa.. quantomeno non prima di noi.

Di cosa parlano i politici in tv?

lunedì, Gennaio 13th, 2020

Tendenzialmente, di risolvere i problemi. Ci siamo. Ma di quali problemi stanno parlando? Fame nel mondo, guerre ugualmente sparse in tutti i tempi, le foreste di un intero continente che bruciano, Trump bel signorone americano che decide di fare il cattivone, oppure i problemi quelli belli nostrani e classiconi, l’immigrazione, le tasse. Non so che altro. Belli profumati, belli carichi da battaglia, seduti su divanetti imbellettati al centro dei teleschermi. Guardiamoli bene! Non è importante quello che dicono, ma come! Come in ogni spazio di agonismo che sia la dialettica o il confronto estetico quel che conta è sfoggiare di più: fare la voce grossa, accaparrarsi lo stupore del pubblico. Salvini, al di sopra della sua impalcatura politica, è un personaggio; come lo sono tutti. Caricature tali e quali ai vecchi personaggi Disney del “topolino”. Paperone il riccone self-made con quel grado di modestia derivato dal sacrificio, Topolino il cittadino democratico carico d’impegno civile, Paperino, (sigh!) è lo sfortunato lettore. Chi scrive ricorda di quando Salvini appariva le prime volte nei teleschermi con quella felpona verde e il tono di voce di chi vuol far sul serio. Ah, perfetto! Con tutto questo odio per la politica, per i vitalizi, per questi politici “che si mangiano tutto” (odio indirezionato che riduce le cause del mondo a conflitti tra stati), l’uomo che sa interpretare quello che diciamo noi, che si esprime come noi davanti a questi uomini in cravatta che parlano di numeri e in modo complicato, è proprio quello che serve…

Ahi noi! Tra gli applausi sonanti del pubblico in aula, strisciano sussulti di approvazione nell’inconscio delle menti dei telespettatori incalliti dai discorsoni. La rabbia prende le forme di una signora in gran pugno, batte risposta senza esitare alle domande incerte del conduttore: la sua voce è dura, l’atteggiamento rabbioso. Sì, nel telespettatore italico medio la G. Meloni incarna il provocante ideale di donna dominante (sessualmente?)!

Abbiamo fatto un po’ di chiarezza. E diciamocele le cose?!

Parlano, e parlano, e si battagliano si sfidano urlano s’adirano fremono dibattono. Eppure, siamo sempre qui. Andiamo a lavorare e tiriamo baracca e pensiamo alle nostre vite. Che nel frattempo sono sempre più alienate, omologate (produci, consuma, ricicla! crepa!), standardizzate, atomizzate!

Chiusi nella nostra individualità ci rifugiamo negli alter-ego che costruiamo nel mondo virtuale dei social, sempre più interconnessi alla nostra identità. In essi ritroviamo il mondo che vogliamo vedere, con la nostra cerchia di relazioni inconsistenti.

Togliamo gli occhi dallo schermo, guardiamoci finalmente in faccia: ci siamo accorti di aver perso ogni autonomia?

Di cosa parlano i politici in tv? Di un bel niente, recitano.

Sui Curdi spariamo anche “Noi”

domenica, Ottobre 20th, 2019

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Questo l’articolo 11 della costituzione. L’Italia ripudia la guerra. Questo dovrebbe bastare ad impedire la vendita di armi ed il sostegno economico e militare a Paesi in guerra e colpevoli di crimini contro l’umanità come l’Arabia Saudita in Yemen (ci si informi sull’attività degli stabilimenti RWM in Sardegna e sulle recenti mobilitazioni portuali a genova) e la Turchia, che da ormai molti giorni sta invadendo e bombardando la Siria avvalendosi del fatto che nel nord-est, territorio del Rojava a maggioranza curda è in atto un progetto di amministrazione autonoma, convivenza e rivoluzione sociale multietnica, egualitaria e concretamente democratica.

 

Dovrebbe bastare ma non basta, perché gli interessi del capitale impongono costante espansione, impongono avanzamento oltre ogni sentimento, umanità, senso, oltre ogni vita.  Non basta e infatti la seconda parte di questo bellissimo articolo spiega che “promuove le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”… Potrebbe essere per questo che sostenere la guerra Turca contro uno stato impotente e soprattutto una minoranza venga giustificato come chissà quale progetto politico internazionale. In realtà come sempre ci sono altre ragioni come quella del petrolio, come sempre, e poi al potere è sempre interessato più uniformare che concedere modi – e mondi- diversi di società.

Il punto è che qualunque sia la forza politica al governo, c’è anche nel nostro Paese un apparato bellico-militare industriale che fa affari e si muove in maniera indipendente con la tendenza a porsi al di sopra della “cosa pubblica” e bypassare il parlamento e anche le leggi costituzionali il cui valore viene evidentemente smentito dalla realtà dei fatti.  Un esempio è quello della legge 185 del 1990 che disciplina il commercio delle armi e vieta la vendita a stati in guerra. Sarà per collezionismo che la Repubblica Italiana investe nella spesa militare 27 miliardi di euro l’anno cifra pari a 70 milioni al giorno?

Aziende come Iveco, Beretta, Oto Melara, Fincantieri, Selex ES, Piaggio Aerospace, Leonardo (ex Finmeccanica), Augusta Westland, RWM producono aerei militari, elicotteri, veicoli corazzati, bombe, cannoni, munizioni, radar, avionica, missili, artiglierie. La guerra – 36 se ne contano sparse per il mondo in atto in questo momento – non è mai finita, si è solo spostata.

E a giocarle, sulla pelle dei vinti, sono sempre le stesse forze.

 

Banche armate. Per quanto riguarda le banche i dati sulle transizioni in ambito di armamento sono di parziale tracciabilità, comunque anche se dichiarati genericamente raggiungono tra cosiddetti importi segnalati e non, valori di miliardi di euro annui. Un dato per quanto riguarda la Banca Valsabbina, banca armata attiva sul nostro territorio, è nel 2018 un totale di più di  93 milioni di euro tra importi e importi accessori segnalati tra cui una rilevante operazione da 25 milioni relativa alla fornitura di 19.675 bombe aeree della classe MK 80 da parte di RWM Italia all’Arabia Saudita. Come pubblicato dal sito ufficiale di disarmo.org la modalità di pubblicazione attuale dei dati relativi all’export militare non consente un concreto controllo da parte di parlamento e opinione pubblica su un argomento così delicato.

 

La guerra oggi come ieri è il terreno in cui le potenze dispiegano i surplus di forze economiche e tecnologiche, sono il campo di prova e sperimentazione di quello che poi viene trasferito in campo civile, in termini di controllo e repressione ma specialmente in campo chimico-farmaceutico, alimentare, industriale, etc. La maggior parte dei pesticidi e insetticidi prodotti da potentissime multinazionali nascono come armi chimiche tali e quali ora vengono utilizzati in campo agricolo. Armi per le forze dell’ordine, sistemi di controllo e vigilanza urbana ed extraurbana, droni per i censimenti della popolazione, telecamere di riconoscimento facciale, e chissà cosa ancora ci spetta.

WAR IS PEACE, FREEDOM IS SLAVERY, IGNORANCE IS STRENGHT.

 

FONTI

disarmo.org

www.retekurdistan.it

www.banchearmate.it

25 Aprile Sempre

giovedì, Aprile 25th, 2019

È proprio prendendo spunto dal nome della neocostituita rete che vogliamo partire per fare una riflessione su cosa può significare oggi questa giornata e quali sentimenti ci devono accompagnare affinché le idee, l’esempio e i sentimenti portati dalla Resistenza possano davvero essere parte integrante delle nostre vite.

I sentimenti che guidavano i partigiani della banda Dante della Val Caffaro e delle tante altre bande montanare che hanno portato i disertori tedeschi fuggiti dagli ospedali o dalle strutture di cura del Garda o i prigionieri russi, inglesi, americani fuggiti tra i tanti dal campi di concentramento di Vestone fino in Svizzera. Gli stessi sentimenti li troviamo nelle persone che oggi aiutano altre persone braccate dalla legge ad attraversare quelle linee immaginarie chiamate confini. Li troviamo ai valichi alpini con la Francia, militarizzati per impedire a queste persone a questa umanità di pretendere ciò che noi abbiamo già e un futuro migliore e dignitoso.

Ieri come oggi i sentimenti di solidarietà spingono giovani interzionalist* in Kurdistan ad inseguire un sogno fatto di giustizia uguaglianza e liberà, mettendo in gioco la cosa più importante per ognun* di noi, la vita.

La stessa messa in gioco da Ippolito Boschi “Ferro” che con lo stesso sentimento di fratellanza che unisce popoli lontani e che lo univa al comandante “Renato” catturato da nazifascisti e piantonato da 4 guardie all’ospedale a Salò, ha partecipato con un piccolo commando alla liberazione di Renato ed è morto.

La vita l’hanno rischiata anche le donne che hanno murato in casa il corpo del ribelle per amore morto; ma è stata rischiata anche dagli uomini e dalle donne comuni che allora hanno protetto, difeso e accolto nelle povere case di montagna i partigiani e i renitenti e che in cambio hanno avuto altra violenza, la deportazione o peggio la morte, come per gli internati nei campi di concentramento tedeschi morti per stenti e privazioni.

Chi forse non rischia la vita ma rischia sicuramente la propria libertà è chi si oppone al potere costituito prendendosi un daspo urbano per avere interrotto una pubblica assemblea con a tema l’ennesima grande opera e le devastazioni del territorio connesse, come è successo per gli amici e le amiche no tav del Garda, come chi viene accusato di associazione a delinquere per avere creato una rete in solidarietà a chi è povero e non può permettersi una casa o come chi la libertà l’ha persa e oggi è in carcere accusato di terrorismo o associazione sovversiva.

Questi compagni e queste compagne, dalla Sardegna, da Torino o da Trento sono accusati di fatti che se paragonati alla Resistenza verrebbero esaltati come atti di sabotaggio. Sono accusati di avere creato spazi liberi di discussione e di libero movimento per gli emigranti o sono accusati di danneggiamenti contro la più grande fabbrica italiana che è l’esercito, contro la grande opera del Tav, contro l’università di Trento che invece di creare idee e vita crea sistemi di morte o contro una sede della lega, il partito più razzista e fascista che la storia repubblicana conosce e che non a caso boicotta apertamente questa giornata.

lo stato li chiama terroristi ma sappiamo chi è il vero terrorista.

Lo sappiamo e non lo diciamo solo come slogan ma lo diciamo convintamente. Chi utilizza le università per delle ricerche finalizzate a migliorare i sistemi gps e offensivi o tecnologie per la marina o la difesa sta creando tecnologie di morte e di terrore o chi devasta territori solo per interessi economici come deve essere definito?

Queste privazioni della libertà le vediamo applicate dalle stesse istituzioni “democratiche” che affibbiano provvedimenti senza che ci siano processi, in modo arbitrario, costruendo teoremi, e in questo vediamo chiaramente come l’idea fascista della società, basata sul controllo e sull’obbedienza anche nei nostri paesi è perpetrata contro chi pratica in modo diretto il dissenso. Non è un caso e ci deve fare riflettere, che buona parte di questi provvedimenti provengano dal codice Rocco approvato in piena era fascista e recapito in toto se non acuito durante la legislazione di emergenza degli anni ’70, in pineo allarme terrorismo.

Un po’ come accadeva per i provvedimenti fascisti di confino degli oppositori politici e non, o come i provvedimenti di libertà vigilata che ieri venivano affibbiati agli oppositori politici o a chi si opponeva alla dittatura e oggi viene data a chi è andato a respirare un’aria pura e di libertà come quella della rivoluzione curda.

E proprio parlando di questi odierni partigiani internazionalisti ci congediamo con le parole estratte dalla toccante lettera d’addio scritta da Lorenzo Orsetti, internazionalista fiorentino ucciso dall’Isis in Siria.

“Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quanto tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni”. “E’ proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate che “ogni tempesta comincia con una goccia”. Cercate di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole”

E noi cerchiamo di esserla, il 25 Aprile e Sempre!

 

I Compagni e le Compagne

Lorenzo Orsetti

martedì, Marzo 19th, 2019

Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non
rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo
più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e
libertà. Quindi nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo, e
sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di
meglio. Vi auguro tutto il bene possibile, e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto)
decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo
l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so,
ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche
quando tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili,
cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la
vostra luce serve. E ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate
di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.
Serkeftin! Orso, Tekoser, Lorenzo