Di cosa parlano i politici in tv?

Gennaio 13th, 2020 by currac

Tendenzialmente, di risolvere i problemi. Ci siamo. Ma di quali problemi stanno parlando? Fame nel mondo, guerre ugualmente sparse in tutti i tempi, le foreste di un intero continente che bruciano, Trump bel signorone americano che decide di fare il cattivone, oppure i problemi quelli belli nostrani e classiconi, l’immigrazione, le tasse. Non so che altro. Belli profumati, belli carichi da battaglia, seduti su divanetti imbellettati al centro dei teleschermi. Guardiamoli bene! Non è importante quello che dicono, ma come! Come in ogni spazio di agonismo che sia la dialettica o il confronto estetico quel che conta è sfoggiare di più: fare la voce grossa, accaparrarsi lo stupore del pubblico. Salvini, al di sopra della sua impalcatura politica, è un personaggio; come lo sono tutti. Caricature tali e quali ai vecchi personaggi Disney del “topolino”. Paperone il riccone self-made con quel grado di modestia derivato dal sacrificio, Topolino il cittadino democratico carico d’impegno civile, Paperino, (sigh!) è lo sfortunato lettore. Chi scrive ricorda di quando Salvini appariva le prime volte nei teleschermi con quella felpona verde e il tono di voce di chi vuol far sul serio. Ah, perfetto! Con tutto questo odio per la politica, per i vitalizi, per questi politici “che si mangiano tutto” (odio indirezionato che riduce le cause del mondo a conflitti tra stati), l’uomo che sa interpretare quello che diciamo noi, che si esprime come noi davanti a questi uomini in cravatta che parlano di numeri e in modo complicato, è proprio quello che serve…

Ahi noi! Tra gli applausi sonanti del pubblico in aula, strisciano sussulti di approvazione nell’inconscio delle menti dei telespettatori incalliti dai discorsoni. La rabbia prende le forme di una signora in gran pugno, batte risposta senza esitare alle domande incerte del conduttore: la sua voce è dura, l’atteggiamento rabbioso. Sì, nel telespettatore italico medio la G. Meloni incarna il provocante ideale di donna dominante (sessualmente?)!

Abbiamo fatto un po’ di chiarezza. E diciamocele le cose?!

Parlano, e parlano, e si battagliano si sfidano urlano s’adirano fremono dibattono. Eppure, siamo sempre qui. Andiamo a lavorare e tiriamo baracca e pensiamo alle nostre vite. Che nel frattempo sono sempre più alienate, omologate (produci, consuma, ricicla! crepa!), standardizzate, atomizzate!

Chiusi nella nostra individualità ci rifugiamo negli alter-ego che costruiamo nel mondo virtuale dei social, sempre più interconnessi alla nostra identità. In essi ritroviamo il mondo che vogliamo vedere, con la nostra cerchia di relazioni inconsistenti.

Togliamo gli occhi dallo schermo, guardiamoci finalmente in faccia: ci siamo accorti di aver perso ogni autonomia?

Di cosa parlano i politici in tv? Di un bel niente, recitano.

Il giorno del ricordo

Gennaio 8th, 2020 by currac

Prosegue in questo secondo articolo l’analisi dello stretto rapporto tra storia e memoria e le loro mistificazioni parlando in questo articolo della ricorrenza del giorno del ricordo.

Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Inizialmente imbastita da Fini e Violante, tra mille polemiche legate alle critiche di numerosi storici nel 1998, è stata istituita ufficialmente il 30 marzo 2004 con legge n. 92 su pressione delle destre alleate all’allora governo Berlusconi II. Le prime firme al testo sono quelle dei principali esponenti di destra e si pone l’obbiettivo di: «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

La data del 10 febbraio non è casuale: il dieci febbraio del 1947 è il giorno in cui venne stipulato il trattato di pace di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate che stabilirono l’assegnazione alla Jugoslavia dei territori dell’Istria, della regione di Zara e di buona parte della Venezia Giulia. Le potenze alleate non dimenticarono l’aggressione militare Italia fascista al fianco di nazisti e giapponesi e nemmeno le atrocità da questa commessa (anche se solo in sede di redazione del trattato la considerarono, nonostante l’intervento di De Gasperi, ritennero l’Italia responsabile nonostante il voltagabbana finale.

Premettendo che, in questa riflessione vogliamo dire che non c’è intenzione di non volere ricordare le persone morte nelle foibe o che hanno patito le sofferenze legate all’esodo dalle proprie abitazioni, vogliamo contestualizzare quei fatti, cercando di raccontare cosa sono stati i 20 anni di presenza fascista in quelle terre e le politiche di italianizzazione forzata e smascherando le reali intenzioni dietro a questa giornata.

Altra premessa necessaria riguarda il ricordo (gioco di parole) di un altro giorno, quello della Memoria, giorno internazionale che riguarda la memoria delle vittime del nazi fascismo, ricordati il 27 gennaio, data simbolica della liberazione del lager di Auschwitz da parte dei soldati dell’armata rossa.

La contrapposizione ideologica delle 2 giornate è evidente e strumentale alle politiche di chi ha promosso e voluto il giorno del ricordo, ma anche di chi negli anni l’ha propagandato, partendo da tutti i presidenti della repubblica italiana che dal 2004 si sono succeduti.

L’idea di contrapporre il giorno della Memoria, ricorrenza di carattere internazionale, che ricorda tutte le vittime delle ideologie naziste e fasciste e che hanno colpito chiunque non fosse omologato a quel tipo di società come tutti gli oppositori politici, gli “asociali”, gli omosessuali e le lesbiche, i malati di mente o i disabili, o chi è stato stigmatizzato come gli ebrei, gli zingari o i rom, o chi è stato liquidato perché considerato subumano come i prigionieri di guerra russi, con una giornata che ricorda una parte di morti, è davvero vergognosa.

Il tentativo è chiaro, mettere sullo stesso piano vittime e carnefici paragonando l’imparagonabile ossia un numero non certo di corpi rinvenuti nelle foibe (tra l’altro alcuni chiaramente fucilati dai nazifascisti e molti frutto di vendette personali) con i milioni di morti a seguito del metodico sistema di pulizia etnica e sociale, omicidi e indicibili esperimenti su cavie umane. Questo per riabilitare in maniera velata il fascismo,mostrando gli aguzzini come martiri di una guerra che “capitò”.

E questo ci fa dire che le uccisioni nelle foibe , che tratteremo nel dettaglio nel prossimo articolo, e l’esodo delle genti friulane e dalmate sono state una delle conseguenze delle politiche di italianizzazione forzata e di sfruttamento di quelle aree cominciate non con l’avvento del fascismo ma subito dopo l’annessione di quei territori dopo la prima guerra mondiale, e sono state la conseguenza delle politiche identitarie e nazionalistiche dei comunisti titini che hanno ripreso le modalità tipiche degli eserciti nazi fascisti.

La demonizzazione da parte dei promotori di questo giorno (ossia da parte dei figli e figliastri dei partiti fascisti), dei partigiani comunisti titini per avere fatto quello che hanno fatto, è davvero ipocrita e qualifica molto sulla vera finalità riguardante questa giornata; anzi sembra proprio che buona parte delle vendette private nei concitati e caotici momenti successivi alla fine della guerra, siano state fermate nel momento in cui presero il controllo del territorio..

La critica e la condanna che noi facciamo guardando a questi fatti e a questa ricorrenza istituzionale è il fatto di ridare dignità pubblica a ideologie basate sull’esaltazione della nazione, dei confini e delle frontiere, di popoli intesi come razza, del culto del più forte. Insomma di ideologie che già hanno dimostrato di cosa sono capaci. E questo sì, questo va ricordato!

Questo ci fa presupporre che una certa parte politica, dopo avere messo sullo stesso piano il giorno della memoria  ed il giorno del ricordo, voglia dare il via ad una equiparazione che porti poi ad una minimizzazione delle colpe e che ha come fine una ricostruzione storica falsata e decontestualizzata, che voglia portare una sorta di assoluzione perché loro stessi vittime delle politiche e della repressione comunista come se la loro morte violenta potesse cancellare ogni responsabilità nazi-fascista pregressa.

” se dici una menzogna enorme e continui a ripeterla, prima o poi il popolo ci crederà. La menzogna si può mantenere per il tempo in cui lo Stato riesce a schermare la gente dalle conseguenze politiche, economiche e militari della menzogna stessa. Diventa così di vitale importanza per lo Stato usare tutto il suo potere per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato.” Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich

Senza una continua ricerca, senza lo studio, l’approfondimento e una capacità critica si rischia di fare passare i colpevoli per innocenti, si rischia di travisare chi davvero fu carnefice e causa di quei processi per cui oggi vengono ricordate le vittime.

Si rischia che vengano create le basi perché dei “nostri” morti siano più importanti di altri morti, primo passo e seme velenoso del nazionalismo, padre infetto delle peggiori malattie della nostra epoca.

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*

 

Nella foto: villaggio croato dato alle fiamme dai militari italiani durante la seconda guerra mondiale.

La difesa dei patrii confini

Gennaio 7th, 2020 by currac

È grazie alla grande abbuffata di retorica degli ultimi anni, in cui si è commemorato il centenario dell’inizio e fine della prima guerra mondiale che abbiamo cominciato a sviluppare alcune riflessioni sul rapporto stretto tra storia, memoria e loro mistificazioni.

Queste riflessioni e tanti fatti odierni di cronaca ci hanno portato, in occasione della ricorrenza lo scorso 1° settembre degli ottanta anni dall’inizio della seconda guerra mondiale, a mettere nero su bianco tutti questi pensieri.

E l’abbiamo fatto attraverso alcuni articoli che hanno l’intento di ristabilire una narrazione di quei fatti non dal punto di vista memonico o evocativo ma da quello storico, e perché no politico, cercando collegamenti con attualità con la presunzione o l’obbiettivo di mettere il semino del dubbio all’interno dei vostri pensieri.

Questi articoli tratteranno in serie la retorica legata ad alcuni slogan o frasi tipiche di una certa oratoria quali la difesa dei patrii confini, il concetto di patria e patrioti o italiani brava gente, ma tratteranno anche la giornata del ricordo e le foibe.

Partiamo quindi con il concetto di difesa dei patrii confini, frase tipica dei discorsi pubblici detti durante le commemorazioni dei caduti delle varie guerre fatti dalle varie forze d’arme e nostalgici vari ma anche della propaganda di tutti i partiti di destra che basano sul fondamento identitario la loro propaganda e le loro speculazioni politiche.

Ma vediamo quali confini l’Italia ha davvero difeso dal 17 marzo 1861 giorno in cui, con atto formale, il Regno di Sardegna e il suo re Vittorio Emanuele II sancì la nascita del Regno d’Italia.

Le prime guerre che l’allora regno italiano intraprese, oltre all’epopea garibaldina del 1866 che a fronte di tanti volontari idealisti vide l’invasione delle terre trentine o tirolesi che storicamente non possono essere considerate italiane, vanno inserite nel fenomeno tipicamente ottocentesco del colonialismo.

Nel 1869 ebbe inizio una lunga serie di guerre volte all’espansione coloniale italiana, con l’occupazione della baia di Assab in Eritrea, proseguendo nel 1889 con la Somalia definita poi colonia nel 1905, e con la ricerca del posto al sole in Libia all’epoca colonia ottomana, con la guerra italo-turca del 1911 e proseguita nel 1912 con la guerra per l’occupazione delle isole del mare Egeo.

La grande mistificazione è stata poi attuata con la prima guerra mondiale, quando a fronte di accordi ormai noti che avrebbero concesso Trento a Trieste in caso di dichiarazione di neutralità ha visto l’Italia entrare in guerra contro il suo finora alleato, l’impero austro ungherese.

Questo che in caso contrario sarebbe stato definito come tradimento, oggi sappiamo essere stato fortemente voluta dai poteri economici che vedevano nella guerra una grande occasione di aumentare i propri profitti e di direzionare le energie delle rivendicazioni sociali.

E i grandi discorsi retorici particolarmente presenti negli anni del centenario  ci hanno veramente nauseati perché abbiamo la presunzione di sapere bene quello che fosse il sentimento patriottico che animava le genti dei nostri paesi, ovvero inesistente; forse qualche borghese o commerciante che poteva vedere aumentati i guadagni non certo i contadini, che al tempo erano la maggior parte della popolazione paesi e che erano privi di un qualsiasi sentimento o di nozione concettuale di patria e che, erano ben consci del guadagno che avrebbero ottenuto dalla guerra.

Dopo il macello della prima guerra mondiale, l’instaurazione del fascismo ha dato il via ad una serie di politiche nazionaliste che meriterebbero tante riflessioni e alcuni articoli ad hoc, e che portarono ad una sequela di invasioni territoriali che descriviamo di seguito.

Verso la fine degli anni 20 venne completata la conquista della Libia e nel 1928 vennero fatte incursioni per la conquista dell’entroterra etiope. Nel 1936, venne poi inviato un contingente a sostegno delle truppe di Franco nella guerra civile spagnola e tra il 1939-40 le truppe italiane, seguirono le sorti della seconda guerra mondiale, occupando militarmente stati liberi come l’Albania nel 1939, o l’infamia della rappresentata dall’invasione delle Francia nel 1940, della Jugoslavia o della Grecia.

Altro aspetto molto importante per il coinvolgimento di valligiani e che un grande immaginario ci ha riconsegnato è rappresentato dall’invio del contingente italiano in Russia a fianco degli alleati germanici e rumeni, invio conseguente all’operazione Barbarossa, che tratteremo in modo più specifico negli altri articoli. Difficile pensare alla Russia come italico suolo.

Se da un lato possiamo inquadrare storicamente il fenomeno del colonialismo e dare il giusto giudizio politico al ventennio fascista, oggi non possiamo che dare un giudizio di condanna di quel fenomeno e dei presupposti su cui si fonda e pertanto non possiamo considerare “patrio” un territorio occupato per lo sfruttamento delle genti e delle risorse naturali e quindi possiamo certamente dire che nessuna di queste guerre sia stata condotta in difesa ma tutte in offesa.

Pertanto, quando l’Italia ha difeso i propri confini?

Possiamo certamente dire che siano stati difesi dai Partigiani sia prima che dopo l’8 settembre del 1943 durante l’occupazione nazista supportata dagli alleati fascisti dello stato fantoccio chiamato repubblica sociale italiana.

Possiamo dire che sia stata difesi dai disertori renitenti, sabotatori che forse nemmeno avevano il concetto di patria nelle proprie teste e che, con grande sacrificio, si opposero nei mezzi e nei modi alle guerre sopracitate.

E vogliamo aggiungere che ci furono altri che oggi sono italiani che una volta difesero i propri confini da truppe invasori. Furono le genti trentine triestine e tirolesi, che a seguito del tradimento italiano e della conseguente dichiarazione di guerra all’impero austro ungarico nel 1915, e già chiamati alle armi sui fronti galiziani e russi nel 1914, per effetto del Landlibell stipulato nel 1511 da Massimiliano I d’Asburgo furono richiamate a difendere i propri paesi, o forse meglio il proprio Heimat, fino alla fine della guerra. Popoli assoggettati poi al regno italiano con tutti i soprusi e le contraddizioni conseguenti. Ma questa forse è un’altra storia.

E come conclusione possiamo dire che la difesa dei patrii confini o forse meglio la difesa della propria libertà, storicamente è stata attuata verso quel cancro che divora e divide genti uguali fomentato l’odio basato su supposte diversità chiamato nazionalismo e le sue conseguenze e verso i poteri economici che da sempre hanno visto nella guerra e nella propaganda nazionalista un’occasione per aumentare i propri profitti.

E consci di ciò non possiamo che augurarci un mondo senza confini, patrie e frontiere dove nessuno è straniero.

Al prossimo articolo. Valsabbin* Refrattar*

Condanna e vendetta

Ottobre 31st, 2019 by currac

Lo scorso 9 ottobre, la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo ha bocciato il ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza del 13 giugno che bocciava il regime dell’ergastolo ostativo, il cosiddetto “fine pena mai”.

La motivazione che la Corte ha addotto è che l’ergastolo ostativo si pone in contrasto con l’art. 3 della Convenzione che vieta la tortura, le punizioni degradanti e disumane, con ciò negando di fatto la possibilità per il detenuto di intraprendere un percorso rieducativo, in quanto “al soggetto detenuto non è possibile eliminare anche la speranza di un recupero sociale, ma a costui va riconosciuta la possibilità di pentirsi e di avere una possibilità di miglioramento delle proprie condizioni”.

Il ricorso presentato dall’Italia, sul tema di ergastolo ostativo di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, aveva posto l’accento sulla pericolosità di certe condotte criminali, come quelle legate alle mafie e con ciò legittimando una reazione severa nei confronti di coloro che, aderendo ad una organizzazione mafiosa o terroristica, avessero come obiettivo quello di destabilizzare lo Stato.

Questa decisione, ricordiamo non vincolante per l’Italia, crea sicuramente un precedente importante che, oltre a mettere lo stato dinnanzi alle proprie responsabilità, potrebbe aprire la strada a numerosi altri ricorsi da parte di altrettanti detenuti che oggi versano appunto in condizioni disumane.

Questa sentenza ha avuto molto risalto sui media nazionali e ha scatenato tante reazioni, spesso rabbiose, tra le più comuni 2 domande, come si possa sconfiggere la mafia visto che la lotta si basi su queste pene e come chi è stato vittima possa avere davvero giustizia e vedere i colpevoli pagare per i propri crimini.

Pensare che una legislazione così possa sradicare un fenomeno sociale come è la mafia, nelle sue diverse denominazioni, che fonda le sue radici sulle ingiustizie sociali, è assolutamente folle; sono 30 anni che queste leggi sono attive e quei fenomeni non sono certo calati, anzi, e questo perché ne colpiscono solo i risultati e non certo le cause.

Per quanto riguarda la giustizia richiesta dalle vittime deve essere fatta una considerazione di premessa: i condannati all’ergastolo, possono usufruire di permessi “premio” dopo avere trascorso almeno 26 anni in prigione e questi possono essere accordati o meno. L’ergastolo ostativo, introdotto durante gli anni della legislazione di emergenza e di lotta alla mafia e terrorismo, nega di fatto la possibilità di usufruire di semilibertà o permessi e quindi in destino dell’ergastolano è quello di morire in carcere.

Queste persone devono trascorrere un periodo minimo di 26 anni in custodia dello stato che quindi avrebbe tutto il tempo avviare quei programmi di reinserimento, di recupero sociale che di fatto potrebbero portare in modo quasi naturale ad un cambiamento, all’ammissione e al pentimento. Ma le scelte finora adottate sono state quelle di definire queste persone eternamente colpevoli e quindi non meritevoli di alcun percorso o non meritevoli nemmeno della speranza.

Fatta questa premessa ci risulta davvero difficile comprendere come con questa vendetta rappresentata dal regime ostativo possa dare giustizia a chi è stato vittima e di come privando di qualsiasi legame con l’esterno, spesso anche sensoriale e sentimentale si possa pensare che un a persona possa “redimersi” o possa scegliere di collaborare con lo stato, in quella situazione con la veste di aguzzino. Il carcere duro fortifica gli animi e ne estremizza i tratti ed è fucina per nuovi e vecchi integralismi.

Questo concetto è stato ben espresso da Agnese Moro, che al di là della vicenda personale che l’ha coinvolta, ha saputo rendere l’idea di quale sia la reale intenzione di queste leggi o di chi con la bava alla bocca si augura di vedere marcire persone in una gabbia.

“Ci sono purtroppo tante vittime e il dolore terribile di chi resta che deve essere accolto e curato. E’ una responsabilità di tutti noi farlo. Ma, per esperienza, so che non si attenua e non passa perché il colpevole soffre; ma caso mai perché capisce le proprie responsabilità e cambia. Mi amareggia sempre vedere come, invece, il dolore delle vittime sia troppo spesso sfruttato come un’arma, da utilizzare contro provvedimenti che, se approvati o applicati, potrebbero far perdere qualche voto. Salvo poi dimenticare quelle stesse vittime quando chiedono piena applicazione delle leggi che le riguardano, l’apertura di archivi ancora inaccessibili e un po’ di ricordo e di affetto reale per quelli che furono e saranno sempre i loro cari.”

Scrivendo questo articolo non può che venirci in mente Mario Trudu, la cui storia è stata raccontata in questo articolo http://www.vallesabbianews.it/notizie-it/Morir%C3%B2-il-99/99/9999-50563.html e nell’articolo che trattava della presentazione della mostra che si è svolta a Salò dal 12 al 19 ottobre dei suoi libri e disegni.

Mario purtroppo non potrà vedere gli effetti di questa sentenza perché a seguito di alcune complicazioni successive all’operazione per un tumore, mal diagnosticato e non gestito per tempo, ha dovuto aspettare molti mesi per una tac, ci ha lasciati pochi giorni fa, dopo quasi 41 anni di carcere ininterrotto e senza potere vedere uno spiraglio di giustizia in tutta la sua vicenda.

Il nostro pensiero va a lui e a chi oggi, cerca giustizia, perché non è con le leggi o con la vendetta che si può sperare di vivere in un mondo giusto.

Valsabbin* Refrattar*

L’Italia sostiene la guerra

Ottobre 31st, 2019 by currac

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

L’Italia oggi, ha impiegato più di 6000 militari in 40 missioni militari, 24 di occupazione di stati liberi quali Libia, Somalia, Niger, Afganistan, Iraq e Libano, missioni causa delle migrazioni degli ultimi decenni.

Il costo annuo per le spese militari è pari a 27 miliardi di euro ovvero un obolo di 70 milioni al giorno, spese in costante aumento in questi ultimi anni. Una cifra astronomica, che equivale al costo di una manovra economica, pari a vari multipli del costo sostenuto per la manovra degli 80 euro, il cosiddetto reddito di cittadinanza o la quota 100.

Un costo anche sociale, che inquina l’economia e le imprese costringendole alla produzione di armamenti e bloccandole poi con la scusa del ricatto occupazionale, ci si informi sull’attività degli stabilimenti della Leonardo o della RWM in Sardegna e Ghedi, e sulle recenti mobilitazioni portuali a Genova, e che inquina anche la scuola, con le università che si trasformano in fucine finalizzate alla programmazione e progettazione dei più raffinati sistemi tecnologici di morte,

 

Basterebbe solo questo stillicidio di dati per farci rendere conto di quanto la costituzione venga puntualmente disattesa per degli interessi economici e l’articolo 11 non fa certo eccezione.

L’Italia promuove la vendita di armi e la fornitura di tecnologie militare a paesi in guerra e colpevoli di crimini contro l’umanità come l’Arabia Saudita impiegata in un terribile guerra in Yemen, e la Turchia, con la fornitura dei micidiali elicotteri A129 Mangusta, fiore all’occhiello della Leonardo, in grado di sparare più di 600 colpi al minuto e che proprio in questi giorni sta portando avanti un’offensiva contro le popolazioni del Rojava, il territorio curdo nel nord est della Siria.

Proprio la Turchia che grazie anche alle armi italiane sta attuando una pulizia etnica contro uno stato impotente e con l’ennesima minoranza, quella dei curdi.

Vittime come sempre, civili e bambini.

I curdi sono popolazione multietnica che negli anni recenti oltre ad aver combattuto e sconfitto daesh ha dato prova della capacità di costruire una società diversa, nella quale l’uguaglianza delle diversità è elemento fondante e la democrazia qualcosa di tangibile, tanto da mettere in vita molteplici progetti umanitari e ugualitari all’interno del confederalismo democratico.

L’Italia di fronte a questa ennesima guerra ha cercato di salvare la faccia dichiarando, successivamente ad altri stati europei, di avere sospeso la vendita forniture militari alla Turchia, embargo tardivo e ipocrita che ci fa davvero riflettere sulle responsabilità e sui reali interessi che muovono queste scelte.

Perché gli interessi economici impongono costante espansione, impongono avanzamento oltre ogni sentimento, umanità, senso, oltre ogni vita e la guerra è il modo migliore per fare avanzare sempre questa crescita.

Potrebbe essere per questo che sostenere la guerra turca contro uno stato impotente e soprattutto una minoranza pacifica, venga giustificato come chissà quale progetto politico internazionale o con la lotta a dei fantomatici terroristi, come vengono definiti i curdi dai turchi nonostante abbiamo contribuito a sconfiggere i veri terroristi dell’isis in quei territori.

Perché la ragion di stato, direzionata dalla ragione economica prevale su ogni senso di umanità, facendoci chiaramente comprendere la realtà, che l’Italia sostiene la guerra, l’ha sempre sostenuta e senza una chiara presa di posizione individuale la sosterrà, alla faccia di tutte le leggi, le morali e di tutti i pezzi di carta tra cui la costituzione…

Valsabbin* Refrattar*

 

Sui Curdi spariamo anche “Noi”

Ottobre 20th, 2019 by currac

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Questo l’articolo 11 della costituzione. L’Italia ripudia la guerra. Questo dovrebbe bastare ad impedire la vendita di armi ed il sostegno economico e militare a Paesi in guerra e colpevoli di crimini contro l’umanità come l’Arabia Saudita in Yemen (ci si informi sull’attività degli stabilimenti RWM in Sardegna e sulle recenti mobilitazioni portuali a genova) e la Turchia, che da ormai molti giorni sta invadendo e bombardando la Siria avvalendosi del fatto che nel nord-est, territorio del Rojava a maggioranza curda è in atto un progetto di amministrazione autonoma, convivenza e rivoluzione sociale multietnica, egualitaria e concretamente democratica.

 

Dovrebbe bastare ma non basta, perché gli interessi del capitale impongono costante espansione, impongono avanzamento oltre ogni sentimento, umanità, senso, oltre ogni vita.  Non basta e infatti la seconda parte di questo bellissimo articolo spiega che “promuove le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”… Potrebbe essere per questo che sostenere la guerra Turca contro uno stato impotente e soprattutto una minoranza venga giustificato come chissà quale progetto politico internazionale. In realtà come sempre ci sono altre ragioni come quella del petrolio, come sempre, e poi al potere è sempre interessato più uniformare che concedere modi – e mondi- diversi di società.

Il punto è che qualunque sia la forza politica al governo, c’è anche nel nostro Paese un apparato bellico-militare industriale che fa affari e si muove in maniera indipendente con la tendenza a porsi al di sopra della “cosa pubblica” e bypassare il parlamento e anche le leggi costituzionali il cui valore viene evidentemente smentito dalla realtà dei fatti.  Un esempio è quello della legge 185 del 1990 che disciplina il commercio delle armi e vieta la vendita a stati in guerra. Sarà per collezionismo che la Repubblica Italiana investe nella spesa militare 27 miliardi di euro l’anno cifra pari a 70 milioni al giorno?

Aziende come Iveco, Beretta, Oto Melara, Fincantieri, Selex ES, Piaggio Aerospace, Leonardo (ex Finmeccanica), Augusta Westland, RWM producono aerei militari, elicotteri, veicoli corazzati, bombe, cannoni, munizioni, radar, avionica, missili, artiglierie. La guerra – 36 se ne contano sparse per il mondo in atto in questo momento – non è mai finita, si è solo spostata.

E a giocarle, sulla pelle dei vinti, sono sempre le stesse forze.

 

Banche armate. Per quanto riguarda le banche i dati sulle transizioni in ambito di armamento sono di parziale tracciabilità, comunque anche se dichiarati genericamente raggiungono tra cosiddetti importi segnalati e non, valori di miliardi di euro annui. Un dato per quanto riguarda la Banca Valsabbina, banca armata attiva sul nostro territorio, è nel 2018 un totale di più di  93 milioni di euro tra importi e importi accessori segnalati tra cui una rilevante operazione da 25 milioni relativa alla fornitura di 19.675 bombe aeree della classe MK 80 da parte di RWM Italia all’Arabia Saudita. Come pubblicato dal sito ufficiale di disarmo.org la modalità di pubblicazione attuale dei dati relativi all’export militare non consente un concreto controllo da parte di parlamento e opinione pubblica su un argomento così delicato.

 

La guerra oggi come ieri è il terreno in cui le potenze dispiegano i surplus di forze economiche e tecnologiche, sono il campo di prova e sperimentazione di quello che poi viene trasferito in campo civile, in termini di controllo e repressione ma specialmente in campo chimico-farmaceutico, alimentare, industriale, etc. La maggior parte dei pesticidi e insetticidi prodotti da potentissime multinazionali nascono come armi chimiche tali e quali ora vengono utilizzati in campo agricolo. Armi per le forze dell’ordine, sistemi di controllo e vigilanza urbana ed extraurbana, droni per i censimenti della popolazione, telecamere di riconoscimento facciale, e chissà cosa ancora ci spetta.

WAR IS PEACE, FREEDOM IS SLAVERY, IGNORANCE IS STRENGHT.

 

FONTI

disarmo.org

www.retekurdistan.it

www.banchearmate.it

Decreto insicurezza bis

Agosto 15th, 2019 by currac

Con il presente scritto vogliamo proseguire l’analisi delle politiche securitarie approvate dal governo giallo verde in perfetta continuità con i precedenti governi, analisi trattata in questi quattro articoli pubblicati su questo giornale negli scorsi mesi.

Lo scorso cinque agosto il senato, con votazione compatta della maggioranza (movimento 5 stelle e lega) e voto contrario dell’opposizione, dato più da posizioni politiche che di reale opposizione nel merito, ha approvato il decreto sicurezza bis.
Lo stesso è stato immediatamente firmato dal presidente della repubblica Mattarella, che, subito dopo averlo firmato ne ha espresso particolari rilievi, chiedendo al parlamento di apportarvi alcune modifiche.
Analisi svolte da enti terzi hanno riscontrato evidenti violazioni della Costituzione e, come se non bastasse, hanno riscontrato violazioni anche di una decina di accordi e trattati internazionali, tra cui la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), la Convenzione europea sui diritti dell’uomo (1950), la Convenzione sullo Statuto dei rifugiati o Convenzione di Ginevra (1951), la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966), la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (1979), la Convenzione Onu sul diritto del mare (1982), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000).
Il contenuto del decreto e le sue criticità erano ben note, la firma del presidente della repubblica poteva e doveva essere evitata, a maggior ragione quando queste politiche vanno a influire sulla vita o sulla morte di uomini e donne. La più alta carica dello stato questa attenzione la doveva avere.
Ma queste forse non sono valutazioni di nostra competenza quindi vediamo nel dettaglio cosa è il decreto sicurezza bis.
Il testo è composto da diciotto articoli che vanno a normare le due tematiche a cuore di questo governo, l’emigrazione e la repressione del dissenso nelle sue diverse forme di espressione.
Sul tema emigrazione sono state inasprite le sanzioni per chi offre solidarietà, con pene assolutamente sproporzionate.
E’ prevista una sanzione va da 150 mila euro fino a un milione per il comandante della nave “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane” con l’aggiunta del sequestro della nave.
Non deve essere dimenticato che in gioco ci sia sempre la vita di qualche disperato.
Sono inoltre stati stanziati 500 mila euro per il 2019, un milione di euro per il 2020 e un milione e mezzo per il 2021 per il contrasto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per operazioni di polizia sotto copertura.
Ma la cosa forse più vergognosa è che questo decreto abbia dato proprio al ministro dell’Interno (con un piccolissimo conflitto di interessi) il potere di applicazione di queste norme; testualmente, il ministro dell’interno “può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” per motivi di sicurezza, quando si pensa che sia stato violato il testo unico sull’immigrazione e sia stato compiuto il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
I dati dello stesso ministero, dipartimento di pubblica sicurezza, pubblicati il quattordici agosto certificano che dal primo gennaio siano sbarcate in Italia 4269 persone.
Che questi decreti, queste politiche, siano fatti per puri interessi elettorali è alquanto palese.
Per quanto riguarda la repressione del dissenso sono state praticamente raddoppiate tutte le pene per chi, durante manifestazioni pubbliche, compie atti che potrebbero comportare un pericolo della sicurezza dei partecipanti come il travisamento, l’utilizzo di petardi o fuochi e ed è stata aggravata la posizione per i condannati per devastazione e saccheggio.
Devastazione sono le grandi opere come il tav o il disastro del ponte Morandi, e saccheggio è l’ilva di Taranto o le tangenti legate alle grandi opere.
Il decreto sicurezza bis ha inoltre introdotto l’obbligo di comunicare all’autorità di pubblica sicurezza entro le ventiquattro ore, le generalità delle persone ospitate negli alberghi o in altre strutture recettive. Un passo avanti verso il grande fratello.
Sul tema repressione vogliamo ricordare che è dai fatti di Genova del 2001, dove lo stato italiano è stato condannato dai tribunali internazionali per tortura per i fatti della scuola Diaz o della caserma di Bolzaneto che si è più volte chiesto, oltre ad un’assunzione di responsabilità, una legge che la rendesse illegale e parallelamente è da molto che si chiede che le forze dell’ordine siano dotate dei numeri identificativi, come tra l’altra accade in quasi tutti i paesi europei.
Ma la risposta è che la sicurezza è un fatto unidirezionale.
Significativa è la storia di Paolo Scaroni che nel 2005 è stato macellato dalle fdo in stazione a Verona dopo la partita Verona Brescia e reso invalido al cento per cento e che, dopo quattordici anni non abbia visto alcuna condanna per i suoi carnefici. A luglio sono stati assolti per insufficienza di prove ed ha avuto un risarcimento di più di un milione di euro.

Lo stato che si assolve e che è pronto a pagare un rimborso, perché la vita delle persone, siano esse migranti, solidali o vittime di soprusi per lo stato è una mera questione economica.

La solidarietà espressa e praticata da chi lotta per un futuro migliore, non può essere monetizzata, troppo alti sono quei sentimenti di libertà e solidarietà, troppa è l’umanità per questa classe politica ben rappresentata da chi, con la bava alla bocca, brama sicurezza trovando sempre nel più povero il nemico da combattere.

Un pensiero per tante e tante riflessioni.

Valsabbin* Refrattar*

Morirò il 99/99/9999

Agosto 2nd, 2019 by currac

Ciao, sono Mario Trudu, sono nato l’undici marzo del 1950 ad Arzana in Sardegna ed ho poche cose certe nella vita, tranne una: morirò il 99/99/9999.

Mario non è un profeta, non lo era nemmeno Andrea Pazienza, che aveva previsto la sua morte il 6 gennaio 1984 ma che ci ha lasciati nel 1988, Mario, assieme ad un migliaio di altre persone, molto più semplicemente è un ergastolano condannato all’ergastolo ostativo.

Il codice penale prevede due forme di ergastolo, quello “normale” che dopo 26 anni di pena espiata, dà la possibilità di accedere alle varie forme di libertà condizionali e quello ostativo, il fine pena mai o il fine pena il 99/99/9999 che esclude qualsiasi forma di beneficio.

Mario non lo abbiamo mai incontrato e purtroppo non lo incontreremo mai, ma Mario da qualche tempo è sempre con Noi.

L’abbiamo conosciuto attraverso i suoi disegni e i suoi racconti che stanno girando con una splendida mostra per il Trentino e per il nord Italia, ma anche attraverso i libri che ha scritto e che raccontano la sua vita e la sua storia.

La storia di un pastore sardo che, figlio dei suoi anni e della legislazione di emergenza è stato condannato, prima per un fatto di cui si è sempre dichiarato innocente e poi per essersi preso la responsabilità di un sequestro terminato purtroppo con la morte dell’ostaggio durante le concitate fasi della liberazione e di non avere rivelato i nomi dei suoi complici, pagando a caro prezzo, ossia col regime ostativo, quella scelta.

La sua storia l’abbiamo vissuta attraverso i disegni, fatti con la penna scura, nera, perché il tempera matite per questioni di sicurezza in regime ostativo è vietato, ricordano il suo bel paesello, gli attrezzi che venivano usati dai contadini di allora, le persone, i nomi e i soprannomi in sardo, definiti con un dettaglio memonico incredibile, ma trattano anche dell’esperienza carceraria, della lontananza dagli affetti e dell’isolamento dal mondo che il carcere porta.

Una memoria che dopo 40 anni viene meno; Mario racconta che durante il permesso per il funerale del cognato, permesso di un paio d’ore, 120 minuti in una vita, la memoria faceva scambiare i nipoti per gli zii, le figlie per le madri, e che indica quanto un regime carcerario così porti solo a svilire l’essere umano.

Vederli e sentire le sue vive parole ha toccato tasti che non ci potevano lasciare indifferenti.

In maggio Mario ha compiuto 40 anni di carcerazione e tolto una breve latitanza di 6 mesi e pochi di permessi di qualche ora, ha trascorso tutti questi anni rinchiuso in vari carceri continentali e solo nel 2017, per gravi problemi di salute e a seguito di molte richieste, è potuto tornare in Sardegna, sempre in carcere ma almeno vicino alla sua famiglia.

Le condizioni di vita da murato vivo, hanno portato allo sviluppo di alcune patologie, una fibrosi polmonare conclamata (endemica nelle carceri) e recentemente gli è stato diagnosticato un tumore alla prostata. Il primo agosto il suo avvocato ha denunciato che da più di due mesi Mario sta aspettando una Tac per potere capire la gravità del tumore e più di un anno fa, considerate le precarie condizioni di salute, incompatibili con la vita carceraria, ha richiesto che Mario potesse scontare la pena a casa della sorella, ma Mario deve ancora pagare caro il suo silenzio, e dalla domanda non ha avuto alcuna risposta.

Di fronte alla possibilità di trascorrere tutto questo tempo in carcere ha chiesto allo stato che la sua pena detentiva si potesse tramutare in pena di morte, ma lo stato italiano non la prevede, preferisce farti morire giorno per giorno isolato in una cella.

La pena di morte creerebbe molto più clamore e scandalo, come in passato è successo (basti pensare a Sacco e Vanzetti), il fine di questa detenzione è annullare le persone ma anche il loro ricordo.

Ma Mario, come Carmelo Musumeci (per chi non lo conoscesse l’unico ergastolano a cui è stato tolto il regime ostativo, divenuto recentemente noto scrittore) e tanti altri e tante altre, ai tentativi di annullamento di qualsiasi impulso umano insiti nel sistema carcerario hanno voluto reagire, gridando al mondo cosa sia realmente la situazione detentiva fatta di soprusi, abusi e di domandine per qualsiasi cosa, anche per le necessità essenziali di una persona; un sistema che nemmeno lontanamente mira ad una qualsiasi forma di riabilitazione ma soltanto al contenimento fisico e psicologico.

Loro questa vita la stanno vivendo dentro e con piena consapevolezza delle privazioni che quella situazione porta. Per meglio cogliere quanto la vita vissuta “dentro” debba farci riflettere, riportiamo le parole di Carmelo Musumeci che alla notizia della carcerazione prima e della scarcerazione poi di uno dei pochissimi colletti bianchi finiti dentro, nello specifico Formigoni, ha reagito con un semplice:” bene, visto il sovraffollamento uno in meno, qualcuno starà più comodo”.

Mario non morirà il 99/99/9999, il suo corpo, come tutti, lascerà questo mondo terreno prima, ma le sue opere e le sue parole una volta incontrate non ci lasceranno mai e il suo sentimento di libertà e la sua integrità nemmeno.

Indipendentemente dal motivo che porta alla carcerazione, l’ergastolo ostativo rappresenta l’ennesimo buco nero di un sistema carcerario finalizzato solo alla detenzione e costrizione, rappresentato perfettamente da chi vuole vedere uomini o donne marcire in carcere quando di fronte alle proprie responsabilità risulta vile e servile nei confronti dei suoi padroni, risultando macchietta al cospetto di chi non ha nulla se non la propria dignità.

E di fronte a tanta mediocrità, col cuore colmo d’amore, non possiamo che essere i megafoni della loro libertà.

Valsabbin* Refrattar*

Per chi volesse approfondire:

Tutta la verità. Totu sa beridadi. Storia di un sequestro Mario Trudu 2015

Cent’anni di memoria. Elogio dei miei vecchi Mario Trudu 2016

Emigrazione: tra percezione e realtà

Maggio 14th, 2019 by currac

Alcuni dati statistici che definiscono un chiaro trend, ci hanno spinti a scrivere questo articolo che ha la sola pretesa di raccontare dal nostro punto di vista la situazione migratoria italiana

I primi dati considerati sono quelli elaborati dal centro studi Idos (organizzazione indipendente sponsorizzata tra gli altri da Unar, Caritas e Chiesa Valdese) che, nel 2017, ci dicono che se ne sono andati dall’Italia circa 285 mila cittadini.

È una cifra enorme e che si avvicina al record di emigrazione del dopoguerra, quello degli anni ‘50, quando a lasciare il Paese erano in media 294 mila Italiani l’anno.

L’altro dato è stato riportato dal direttore generale per gli Italiani all’Estero della Farnesina Luigi Maria Vignali, presentando il nuovo romanzo di Chiara Ingrao “Migrante per sempre”:

«Negli ultimi cinque o sei anni abbiamo registrato un aumento di oltre un milione di italiani negli schedari consolari», ha detto Vignali, ricordando che all’ISTAT «parlano di 115-120mila partenze all’anno».

E ha commentato: «Gli italiani che partono e che sono all’estero sono molti di più di quello che le cifre ufficiali non dicano».

Grazie ai vergognosi accordi stipulati dal governo italiano nella persona dell’ex ministro degli interni Minniti (Pd) e i vari Ras libici, che hanno portato alla creazione di veri e propri lager, gli “sbarchi” negli ultimi 2 anni sono crollati, attestandosi nel 2019 a 335 persone sbarcate al 15 marzo scorso (dati ministero degli interni).

Stime parlano di 700 mila o un milione di uomini e donne bloccati in Libia, in condizione inumane.

Una situazione che non può che metterci davanti alla realtà africana ma anche a quella italiana, di un paese che emigra e che, incapace di affrontare i propri problemi, preferisce cadere nella facile illusione che il problema sia sempre qualcun altro, sia esso l’Europa o gli altri emigranti.

Un paese che pian piano sta cadendo nella trappola della paura.

La paura che fa odiare il diverso, chi puzza come noi di fame, perché è facile e comodo prendersela con una famiglia Rom, come sta accadendo vergognosamente a Roma ed è facile seguire le campagne elettorali basate sul nulla ma condite dall’odio del diverso, che prendersela con chi queste situazione le crea se non favorisce.

E i fascisti di oggi e di allora sanno come cavalcare la paura del più debole, nella loro mediocrità sanno chi li protegge e contro chi possono andare.

Certo è molto più difficile prendersela con chi nella quotidianità sfrutta il nostro tempo chiedendoci di lavorare gratis con stage o tirocini o con stipendi da fame, chi ci fa morire sul lavoro o ci fa ammalare per risparmiare o meglio guadagnare di più, chi alla prima rata che salta ci sfratta e chi con i comportamenti clientelari e corrotti ci nega un futuro dignitoso e ci sta obbligando ad emigrare.

 

Non dimenticate che i vari fascisti o i leghisti quando vi trovate in queste situazioni di difficoltà non li troverete mai al vostro fianco.

Vi vogliamo invitare a chiedere a chi se n’è andato dall’Italia quali siano state le motivazioni che li hanno spinti a partire.

Noi l’abbiamo fatto e vi assicuriamo che tra le prime motivazioni, non c’è la paura del diverso, perché sanno benissimo che uscendo dai nostri paesi sono diventati loro stessi “diversi”.

Dei diversi con un grande potenziale umano da sviluppare e forse molto meno diversi di quanto una persona si possa sentire diversa qui da noi.

Chiedetelo e abbiate il coraggio di ammettere quanta mediocrità ci sia in certe scelte, scelte spesso fatte di compromessi, fatte di soldi in nero, di favori dati o ricevuti, di maggiore sicurezza a scapito della libertà e fatta di paura.

La paura che spinge a chiedere di essere protetti rafforzando i controlli delle frontiere respingendo barconi di disperati in mezzo al Mediterraneo o costruendo muri.

Perché non è alzando muri o inasprendo i controlli ai confini che si possono interrompere i flussi migratori, la gente non si è mai fermata e mai si fermerà.

Queste linee immaginarie tracciate su dei pezzi di carta chiamate confini non servono ad impedire all’umanità migrante di muoversi.

La “democratica” Ungheria di Orban ci deve essere di monito: appena è stata terminata la barriera che separa l’Ungheria dalla Serbia il parlamento ha approvato una legge speciale per innalzare le ore annue di straordinari obbligatorie da 250 a 400.

Dobbiamo davvero chiederci se quel muro, quella lunghissima rete, sia fatta per rendere impossibile l’entrata o l’uscita dall’Ungheria.

Pezzi delle nostre vite, dei nostri affetti e del nostro presente se ne stanno andando alla ricerca di un futuro fatto di dignità, uguaglianza e libertà e tanti altri pezzi di altre vite stanno arrivando intrecciando le nostre.

E noi tra questa umanità migrante e chi cade nella trappola della paura, sappiamo davvero da che parte stare.

 

Con Rabbia Valsabbin* Refrattar*

25 Aprile Sempre

Aprile 25th, 2019 by currac

È proprio prendendo spunto dal nome della neocostituita rete che vogliamo partire per fare una riflessione su cosa può significare oggi questa giornata e quali sentimenti ci devono accompagnare affinché le idee, l’esempio e i sentimenti portati dalla Resistenza possano davvero essere parte integrante delle nostre vite.

I sentimenti che guidavano i partigiani della banda Dante della Val Caffaro e delle tante altre bande montanare che hanno portato i disertori tedeschi fuggiti dagli ospedali o dalle strutture di cura del Garda o i prigionieri russi, inglesi, americani fuggiti tra i tanti dal campi di concentramento di Vestone fino in Svizzera. Gli stessi sentimenti li troviamo nelle persone che oggi aiutano altre persone braccate dalla legge ad attraversare quelle linee immaginarie chiamate confini. Li troviamo ai valichi alpini con la Francia, militarizzati per impedire a queste persone a questa umanità di pretendere ciò che noi abbiamo già e un futuro migliore e dignitoso.

Ieri come oggi i sentimenti di solidarietà spingono giovani interzionalist* in Kurdistan ad inseguire un sogno fatto di giustizia uguaglianza e liberà, mettendo in gioco la cosa più importante per ognun* di noi, la vita.

La stessa messa in gioco da Ippolito Boschi “Ferro” che con lo stesso sentimento di fratellanza che unisce popoli lontani e che lo univa al comandante “Renato” catturato da nazifascisti e piantonato da 4 guardie all’ospedale a Salò, ha partecipato con un piccolo commando alla liberazione di Renato ed è morto.

La vita l’hanno rischiata anche le donne che hanno murato in casa il corpo del ribelle per amore morto; ma è stata rischiata anche dagli uomini e dalle donne comuni che allora hanno protetto, difeso e accolto nelle povere case di montagna i partigiani e i renitenti e che in cambio hanno avuto altra violenza, la deportazione o peggio la morte, come per gli internati nei campi di concentramento tedeschi morti per stenti e privazioni.

Chi forse non rischia la vita ma rischia sicuramente la propria libertà è chi si oppone al potere costituito prendendosi un daspo urbano per avere interrotto una pubblica assemblea con a tema l’ennesima grande opera e le devastazioni del territorio connesse, come è successo per gli amici e le amiche no tav del Garda, come chi viene accusato di associazione a delinquere per avere creato una rete in solidarietà a chi è povero e non può permettersi una casa o come chi la libertà l’ha persa e oggi è in carcere accusato di terrorismo o associazione sovversiva.

Questi compagni e queste compagne, dalla Sardegna, da Torino o da Trento sono accusati di fatti che se paragonati alla Resistenza verrebbero esaltati come atti di sabotaggio. Sono accusati di avere creato spazi liberi di discussione e di libero movimento per gli emigranti o sono accusati di danneggiamenti contro la più grande fabbrica italiana che è l’esercito, contro la grande opera del Tav, contro l’università di Trento che invece di creare idee e vita crea sistemi di morte o contro una sede della lega, il partito più razzista e fascista che la storia repubblicana conosce e che non a caso boicotta apertamente questa giornata.

lo stato li chiama terroristi ma sappiamo chi è il vero terrorista.

Lo sappiamo e non lo diciamo solo come slogan ma lo diciamo convintamente. Chi utilizza le università per delle ricerche finalizzate a migliorare i sistemi gps e offensivi o tecnologie per la marina o la difesa sta creando tecnologie di morte e di terrore o chi devasta territori solo per interessi economici come deve essere definito?

Queste privazioni della libertà le vediamo applicate dalle stesse istituzioni “democratiche” che affibbiano provvedimenti senza che ci siano processi, in modo arbitrario, costruendo teoremi, e in questo vediamo chiaramente come l’idea fascista della società, basata sul controllo e sull’obbedienza anche nei nostri paesi è perpetrata contro chi pratica in modo diretto il dissenso. Non è un caso e ci deve fare riflettere, che buona parte di questi provvedimenti provengano dal codice Rocco approvato in piena era fascista e recapito in toto se non acuito durante la legislazione di emergenza degli anni ’70, in pineo allarme terrorismo.

Un po’ come accadeva per i provvedimenti fascisti di confino degli oppositori politici e non, o come i provvedimenti di libertà vigilata che ieri venivano affibbiati agli oppositori politici o a chi si opponeva alla dittatura e oggi viene data a chi è andato a respirare un’aria pura e di libertà come quella della rivoluzione curda.

E proprio parlando di questi odierni partigiani internazionalisti ci congediamo con le parole estratte dalla toccante lettera d’addio scritta da Lorenzo Orsetti, internazionalista fiorentino ucciso dall’Isis in Siria.

“Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quanto tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni”. “E’ proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate che “ogni tempesta comincia con una goccia”. Cercate di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole”

E noi cerchiamo di esserla, il 25 Aprile e Sempre!

 

I Compagni e le Compagne

Lorenzo Orsetti

Marzo 19th, 2019 by currac

Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non
rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo
più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e
libertà. Quindi nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo, e
sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di
meglio. Vi auguro tutto il bene possibile, e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto)
decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo
l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so,
ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche
quando tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili,
cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la
vostra luce serve. E ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate
di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.
Serkeftin! Orso, Tekoser, Lorenzo

Decreto insicurezza: Pronti via!

Febbraio 28th, 2019 by currac

Neanche il tempo di terminare le riflessioni sul tema e sono subito arrivati i primi effetti nefasti del decreto n°113 il cosiddetto “decreto sicurezza” approvato lo scorso 5 ottobre e analizzato in 3 articoli su questo giornale.

Due i fatti che abbiamo voluto collegare in questo articolo, la rivolta dei pastori sardi e il recente arresto di 2 imprenditori bresciani accusati di caporalato.

In questi giorni abbiamo assistito alle manifestazioni dei pastori sardi che si sono mobilitati e hanno bloccato l’intera isola, articolate attraverso pratiche diverse sempre non violente, che hanno visto blocchi stradali, blocchi dei tir carichi di merci estere e le eclatanti scene del latte gettato in strada.

Nell’immaginario più romantico il pastore è la raffigurazione della sacra tradizione ancestrale, del sacrificio, del lavoro, della famiglia. Ma attenzione. Un insieme di valori su cui è facile edificare l’ “italianità”. A pensarci bene non si tratta di valori italiani, ma di valori universali, riconducibili a donne e uomini di qualsiasi colore o provenienza, accomunati dal solo desiderio di provvedere al futuro dei propri figli e della propria casa, radicati nella propria terra (fino a quando non gli viene espropriata). Non credete?

Lavoro e sacrificio. Se non ci sono bandiere, ci si sente solidali con chi si rivolta in preda alla disperazione di non arrivare a fine mese.

Purtroppo, questo vale maggiormente se chi si rivolta è bianco ed è un lavoratore. Come è valso per i gillet gialli in francia (tutt’ora proseguono le manifestazioni), la cui protesta è dal primo momento parsa legittima al giudizio dell’opinione pubblica che ormai si misura facilmente sui social. E’ iniziata con il pretesto del prezzo della benzina, ma ha visto estendere le proprie rivendicazioni in termini di salari, tasse e diritti assistenziali ed è fortemente intenzionata a far cadere il governo Macron.

Ebbene, da noi la sommossa riguarda i pastori sardi e le proteste sono scoppiate per la richiesta dei pastori di reddito e dignità, chiedendo un prezzo del latte in linea con una vita dignitosa e un blocco dell’importazione di alimenti esteri che, costando meno, provocano il crollo dell’economia dell’isola.

Protesta cavalcata da chi è sempre in prima linea e a cavallo dell’opinione pubblica, ed è bravo a prendersi la parte. “Nessun manganello contro ai sardi”.

In realtà quella che si sta compiendo è una trattativa economica sui prezzi basata su vendita-acquisto. E’ bene non farsi prendere troppo dall’immagine bucolica del contadino contro i poteri politici (in questo caso, cosa mai dovrebbe rappresentare chi ha vinto le elezioni?). Si tratta di uno scontro legato a problemi di mercato, che vede i pastori come l’ultimo anello della catena di produzione per cui producono solamente la materia prima.

Questo trae origine dal fenomeno di colonnizazione della Sardegna, quando le industrie del nord italia operarono una privatizzazione crescente del territorio distruggendo quell’economia di sussistenza che integrava diverse attività agro-pastorali in un sistema comunitario.

Insomma erano sì poveri ma, si può dire, autosufficienti.

Si è poi affermata o meglio dire imposta, la produzione del pecorino romano la quale è destinata per la maggior parte a coprire i grossi consumi americani e che rende l’economia della Sardegna in stato di dipendenza.
Questo fenomeno è per intenderci lo stesso per cui in Africa le multinazionali impongono monocolture di cacao soppiantando foreste, boschi, villaggi, famiglie. E’ una tra le principali cause dell’emigrazione e quindi dell’impossibilità di sviluppo indipendente di paesi economicamente sottomessi. (Si digiti “land grabbling” per approfondire).


Le motivazioni di questa protesta non possono essere limitate alle seppur giuste rivendicazioni economiche; dietro a queste proteste c’è anche la forte critica all’occupazione militare della Sardegna, occupazione che vede i pastori dovere chiedere permesso ai militari per pascolare le greggi in terreni inquinati dal materiale bellico e che non possono neppure denunciare gli effetti catastrofici di questo inquinamento in primis agli animali e poi ai pastori stessi per non rischiare di vedere il prezzo di latte, formaggi e agnelli crollare. Alla faccia dei padroni a casa nostra.

La protesta dei pastori sardi ha suscitato sentimenti di empatia e solidarietà certamente anche da parte di noi valsabbin*.

 

Ma arriviamo al punto. Grazie al decreto Sicurezza, finito il clamore della protesta e passato il gran circo mediatico delle elezioni sono immediatamente scattate le denuncie per blocco stradale, reato depenalizzato nel 1999, ripristinato col decreto sicurezza e che prevede pene fino ad un massimo di 12 anni.
Effetto esattamente contrario di chi a parole mette prima la sicurezza o prima gli italiani e nella realtà è sempre stato dalla parte di chi mette prima il guadagno alla dignità.

Di chi non usa i manganelli sui sardi ma passa direttamente alle manette.

 

Veniamo ora all’altra notizia, proprio fresca fresca di questi giorni, che è l’arresto di 2 imprenditori brescianissimi accusati di caporalato.

Senza voler essere giustizialisti con la bava alla bocca, pare che i 2 titolari della società Demetra, supportati da novelli capò indiani, reclutassero operai da impiegare nelle imprese agricole conniventi tra la franciacorta e la bassa bresciana. Imprese agricole ovviamente italianissime.

La notizia di per sé non ci stupisce molto, la stagionalità e la durezza di certi lavori agricoli è stata spesso terreno fertile per queste forme di sfruttamento anche se il fenomeno è sempre stato più diffuso al sud che al nord.

Quello che ci deve fare riflettere è che, i luoghi di reclutamento di questi nuovi schiavi sono diventati i centri di accoglienza, e questi nuovi schiavi sono diventati questi emigranti che, peggio di prima, col taglio della formazione, dell’inserimento lavorativo e la trasformazione di permessi di soggiorno umanitari in lavorativi si trovano in balia del padronato sfruttatore.

Lavoratori privi di qualsiasi forma di sostegno e sostentamento costretti a lavorare per meno di 5€ all’ora in lavori stagionali, quindi concentrati in pochi giorni o poche settimane  che non garantisce la possibilità di avere un alloggio e che successivamente li costringe ad andare in mezzo ad una strada aumentando così la percezione dell’insicurezza.

Per capire quanto possano essere pagati, pensate che nella piana di Rosarno dove vengono sfruttati gli immigrati, un kg di arance destinate alla produzione delle lattine di aranciata viene acquistato dalla Coca Cola a meno di 7 cent.

Due eventi diversi tra di loro ma legati dalla volontà dello stato che, con la scusa della sicurezza, reprime qualsiasi manifestazione di dissenso, anche quelle mosse dal desiderio di una vita dignitosa e

della difesa del “made in Italy”,repressione che ha come fine la restaurazione di vecchie e nuove forme di schiavitù sempre a favore del potere economico.

Una vergogna verso cui non abbassiamo la guardia!

Alla prossima.

Valsabbin* Refrattar*