La giornata del 25 Aprile è sempre stata un cardine e un punto di riferimento dell’attività di partecipazione attiva. Questo interesse si è tramutato in impegno che 2 anni fa è in parte confluito in progetto più ampio, la Rete 25 Aprile Sempre Garda e Valsabbia che seppur in divenire ha portato l’anno scorso ad organizzare 4 eventi sulla sponda del bresciana e trentina del lago di Garda, da Arco a Desenzano. Noi, come gruppo di amici e amiche dell’alta Valle sabbia e Valle del Chiese, abbiamo partecipato a quello di Toscolano e nel discorso che abbiamo preparato abbiamo voluto ricordare e parlare di chi, secondo noi, oggi porta avanti i valori di solidarietà, umanità e desiderio di libertà, gli stessi che hanno contraddistinto la Resistenza.
Abbiamo parlato di chi oggi con azioni dirette si oppone alla devastazione e al saccheggio dei nostri territori, contro le grandi opere o contro chi sta rubando il nostro futuro come la presenza delle forze armate che stanno inquinando la vita economica con l’industria della morte e ora anche le università, con la formazione dei loro quadri dirigenti. Abbiamo parlato di chi mette in pericolo la propria libertà aiutando delle persone ad attraversare quelle linee immaginarie chiamate confini, chi aiuta i migranti e attraversare la milky way e di chi ha messo e mette in pericolo la propria vita andando a sostenere le lotte di libertà di altri popoli.
E quel discorso terminava con un ricordo ai partigiani di oggi, con un estratto della toccante lettera testamento di Lorenzo Orsetti, partigiano, anarchico e internazionalista fiorentino ucciso dall’Isis in Siria.
E in perfetta continuità con quel discorso oggi il primo pensiero va a loro, ai compagni e alle compagne che in prima persona hanno sostenuto la causa curda. In un mondo per certi versi estremamente ingiusto nei confronti dell’ambiente, delle donne e delle minoranze qualsiasi esse siano, portare avanti la causa ambientalista, antisessista e con una visione per certi versi libertaria è davvero rivoluzionario. Ed oggi queste persone sono state oggetto dell’ennesimo provvedimento repressivo, la sorveglianza speciale. Provvedimento che, come la diffida, l’isolamento carcerario e il daspo urbano, viene direttamente dal codice Rocco approvato nel 1930, in pieno ventennio fascista e inserito perfettamente nell’assetto democratico delle istituzioni.
Il primo pensiero va a loro perché pensare che il processo di liberazione sia finito il 25 Aprile 1945 è davvero fuorviante e loro sono un esempio lampante di questa cosa.
In tempi di reclusione domestica stiamo provando cosa possa significare la privazione delle libertà più o meno garantite dalla costituzione ma senza volere soffermarsi su questo aspetto, questa situazione di reclusione ci fa capire come le dinamiche che regolano le nostre vite non siano più nazionali ma internazionali e come la solidarietà debba essere elemento fondante del nostro vivere comune e debba farci riscoprire un’identità più che mai ultra nazionale.
Sono due i sostantivi che voglio considerare come parole chiave di questa riflessione.
Solidarietà e internazionalità.
L’essere internazionali oggi significa ribaltare anche le dinamiche di lotta su quella dimensione. E l’esempio ci arriva anche dalla Resistenza. Il motto dei primi resistenti ai fascismi, ossia dei volontari internazionalisti in Spagna era “Oggi in Spagna, domani in Italia” a significare che la lotta per la liberazione già allora aveva assunto un respiro ampio che travalicava i confini nazionali e regionali.
E consapevoli che probabilmente questo ampio respiro internazionale fosse proprio solo di una parte piccola del grande ventaglio dei protagonisti della Resistenza italiana e chiaramente anche di quelli dei nostri paesi rende chiaro quanto oggi sia importante abbattere le barriere nazionali.
Oggi le dinamiche di lotta sono internazionali, dall’Egitto alla Turchia, dal Cile del popolo dei Mapuche alle rivendicazioni dei nativi e dei neri nordamericani, la solidarietà è il vero motore che ci deve aggregare e che da forza a quelle idee. Esempio sono le grandi opere che travalicano i confini nazionali e la loro nefasta ricaduta è presente in tutti i paesi che attraversano.
La solidarietà non ha confini e non ha colore nemmeno tricolori. Gli stessi come abbiamo visto spuntare come funghi negli ultimi tempi. Perché purtroppo anche il tricolore è simbolo divisivo, sotto l’idea dell’unità nazionale, della difesa dei confini e sono state compiute e vengono compiute le peggiori violenze e sopraffazioni (i lager in Libia del precedente governo e del ministro del’interno Minniti sono un esempio lampante) e conosciamo i risultati della solidarietà “parziale”, rivolta solo ad una parte precisa di popolazione.
La solidarietà del ventennio ce l’ha insegnato, prima era rivolta solo agli italiani, poi solo a quelli “amici” del regime, poi a quelli si omologavano e pian piano quella finta solidarietà si è trasformata in ciò che è: un cancro che divide le genti.
Forse oggi parlare di patria o di tricolore è ridurre di valore questa festa, perché oggi sappiamo che la liberazione c’è se è collettiva, non può più considerarsi continentale, nazionale, regionale, bresciana o trentina, c’è se è internazionale. O siamo liberi tutti o nessuno davvero lo è. E l’enfasi posta sul tricolore e sulla patria dalla retorica dei vari nazionalisti e sovranisti, siano essi di destra che di sinistra, oltre al fine riscrivere la storia è collegata anche con la visione parziale della solidarietà, che nel loro caso è funzionale al mantenimento dello status quo al comando.
E l’attacco che è in corso alla solidarietà è continuo e costante, l’abbiamo visto anche durante questi giorni di pandemia in cui le istituzioni hanno spesso favorito e incentivato la delazione rispetto a comportamenti il cui giudizio di pericolosità è stato privo di fondamento e chiaramente alimentato dal sospetto. Tipico atteggiamento volto a dividere le genti non a creare consapevolezza o corresponsabilità e nemmeno ad unirle.
Ma parallelamente, in questi giorni, abbiamo assistito ad un fiorire di solidarietà dal basso, attiva e diretta, verso chi, indipendentemente dal colore della pelle, religione, censo o dal luogo fisico in cui si trova, ha auto bisogno di aiuto. Perché, in fondo, il mondo è oggi come allora diviso tra oppressi e oppressori. Tra chi chiede pane e riceve piombo.
Solidarietà e internazionalità sono due elementi essenziali non ascrivibile a un sentimento nazionale ma di rivalsa dell’intera umanità e sono una strada per raggiungere l’utopia massima: la Libertà.
Strada che ha trovato un momento di svolta e di gioia il 25 Aprile di 75 anni fa e che la ritrova oggi, con la consapevolezza che quel sentiero lo dobbiamo percorrere e attraversare assieme e che quel sentiero sarà lungo e tortuoso, che va dalle montagne brulle del Curdistan, prosegue nelle praterie cilene, nei terreni agricoli devastati dal Tav, nei luoghi di lavoro, che entra nelle celle delle carceri ma che parte sempre dallo stesso luogo: dal nostro cuore.
Perché è dal quel luogo misterioso che nasce la nostra Libertà.
Dal libro 1984:
“Avrebbero potuto analizzare e mettere su carta, nei minimi particolari, tutto quello che s’era fatto, s’era detto e s’era pensato; ma l’intimità del cuore, il cui lavoro è in gran parte un mistero anche per chi lo possiede, restava imprendibile”.
Buona Festa della Liberazione.